TEST SULLA DEPRESSIONE POST-PARTUM

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La Scala di Edimburgo aiuta la paziente ad orientarsi nel valutare la possibile presenza di sintomi depressivi post-partum, sebbene non sostituisca in nessun modo l’anamnesi medica di uno specialista. Non serve a fare diagnosi, si limita a individuare un rischio.

 

Nelle ultime due settimane:

1. Sono stata in grado di ridere e vedere il lato divertente delle cose

Come al solito 0

Non proprio come al solito 1

Quasi mai 2

Per niente 3

 

2. Mi sono posta in modo positivo verso gli eventi

Come al solito 0

Un pò meno del solito 1

Assolutamente meno del solito 2

No, per niente 3

 

3. Mi sono sentita colpevole senza motivo quando le cose non andavano bene

Raramente o mai 0

Qualche Volta 1

Spesso 2

Quasi sempre 3

 

4. Sono diventata ansiosa o preoccupata senza un buon motivo

Raramente o mai 0

Qualche Volta 1

Spesso 2

Quasi sempre 3

 

5. Mi sono sentita spaventata o nel panico senza un buon motivo

Spesso 3

Qualche volta 2

Non molto 1

Mai 0

 

6. Mi sono sentita sopraffatta dalle cose che accadevano

Sì, il più delle volte non sono in grado di affrontarle 3

Sì, talvolta non le affronto bene come al solito 2

No, il più delle volte le ho affrontate piuttosto bene 1

No, le ho affrontate bene come sempre 0

 

7. Sono così infelice che ho delle difficoltà a dormire

Sì, la maggior parte delle volte 3

Sì, qualche volta 2

Talvolta 1

No, non mi sembra 0

 

8. Mi sono sentita triste o avvilita

Sì, la maggior parte delle volte 3

Sì, frequentemente 2

Talvolta 1

Mai 0

 

9. Sono così infelice che ho pianto

Sì, la maggior parte delle volte 3

Sì, frequentemente 2

Occasionalmente 1

Mai 0

 

10. Il pensiero di farmi del male mi è venuto in mente

Abbastanza spesso 3

Qualche Volta 2

Quasi mai 1

Mai 0

 

Se il punteggio ottenuto è superiore a 12 il rischio di depressione post-partum non deve essere trascurato.                  E’ opportuno consultare uno specialista.

TEST REPERITO SUL WEB

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

TEST BETQ SULLE MOTIVAZIONI DELLE ABBUFFATE COMPULSIVE

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Il fatto di soffrire periodicamente di abbuffate è uno dei criteri diagnostici dell’anoressia nervosa, della bulimia nervosa e del binge eating disorder. Risulta quindi importante capire i motivi che scatenano le abbuffate.

Uno strumento utile a questo scopo è il Binge Eating Trigger Questionnaire (BETQ), questionario messo a punto da uno studioso olandese e adattato alla realtà italiana da uno dei più noti ricercatori italiani in materia di disturbi dell’alimentazione (Vanderlinden, J. e Dalla Grave, R.).

Il questionario ha lo scopo di approfondire le situazioni che hanno scatenato l’abbuffata; queste situazioni vengono chiamate “trigger”, che in inglese significa grilletto.

Nel compilare il questionario bisogna indicare per ogni abbuffata il “trigger” che ha preceduto il comportamento bulimico, indicando con una crocetta quella o quelle che più si avvicinano alla situazione che sentite e/o pensate che abbiano provocato l’abbuffata. Sono possibili anche più situazioni “trigger” contemporaneamente e ci sono anche spazi liberi per aggiungere eventuali “trigger” che voi avete sperimentato.

Consigliamo di compilare il questionario il più presto possibile dopo ogni abbuffata indicando anche il grado di sofferenza (ansia, rabbia, stress, tristezza ecc) che avete provato in quella specifica situazione “trigger” e assegnando un punteggio da 0 a 10 (0 nessuna sofferenza, 10 sofferenza estrema)

E’ importante anche segnarsi, almeno in sintesi, in un foglio a parte, quali erano le emozioni dominanti nel momento in cui si è scatenata l’abbuffata.

 

“Trigger” della mia abbuffata

Scegliete tutte le risposte che volete ed annotate per ogni risposta il livello di sofferenza assegnandogli un punteggio variabile da 0 a 10 ed il tipo di emozioni provate nel corso dell’abbuffata.

 

01    Mi sentivo rifiutata

02    Mi sentivo sola

03    Mi sentivo ansiosa

04    Mi sentivo in panico

05    Mi sentivo tesa

06    Mi sentivo depressa

07    Mi sentivo triste

08    Mi sentivo annoiata

09    Mi sentivo vuota dentro

10    Mi sentivo arrabbiata

11    Mi sentivo in colpa

12    Provavo vergogna

13    Mi sentivo senza valore

14    Mi sentivo non amata

15    Mi sentivo incompresa

16    Mi sentivo insoddisfatta

17    Mi sentivo irritata

18    Mi sentivo confusa

19    Mi sentivo frustrata

20    Mi sentivo disgustata

21    Avevo paura di crescere e di diventare adulta

22    Mi sentivo incapace di affrontare le responsabilità della vita

23    Ero preoccupata per il mio futuro

24    Avevo pensieri negativi su di me

25    Non avevo più voglia di vivere

26    Mi sentivo felice

27    Mi sentivo eccitata

28    Mi sentivo apprezzata

29    Mi sentivo amata

30    Mi sentivo una fallita

31    Avevo ricevuto dei complimenti

32    Mi sentivo euforica

33    Sentivo lo stomaco pieno

34    Avevo fame/sete

35    Avevo mangiato dolci

36    Avevo mangiato carne/pesce

37    Avevo affrontato dei cibi che di solito assumo durante le abbuffate

38    Avevo visto certi cibi (ne avevo sentito l’odore)

39    Avevo bevuto certe bevande

40    Avevo bevuto alcol

41    Sentivo l’impulso di mangiare dolci

42    Avevo saltato dei pasti

43    Ero a dieta

44    Avevo mangiato dei cibi “proibiti”

45    Avevo rotto una regola dietetica

46    Avevo sentito l’impulso di abbuffarmi e non sono riuscita a resistere

47    Avevo fumato

48    Avevo preso delle droghe

49    Avevo litigato con uno o più dei miei familiari durante il pasto

50    Fuori c’era buio

51    Avevo sentito delle persone scherzare sulla sessualità

52    Qualcuno mi aveva toccato fisicamente

53    Il mio partner voleva fare l’amore

54    Dopo un rapporto sessuale mi sentivo cattiva/sporca

55    Il dottore mi aveva chiesto di spogliarmi durante una visita medica

56    Mi avevano pesata

57    Ero preoccupata per il mio peso e l’aspetto fisico

58    Mi ero pesata

59    Mi avevano fatto una fotografia

60    Mi avevano ripresa in un video

61    Avevo sentito qualcuno strillare

62    Era un giorno dell’anno che mi ricordava delle esperienze traumatiche

63    Avevo fatto esercizio fisico in modo eccessivo

64    Ero eccitata sessualmente

65    Ero in un periodo nero

66    Avevo le mestruazioni

67    Mi sentivo grassa

68    Avevo pensieri disgustosi sul mio corpo

69    Mi ero vista grassa

70    Mi ero guardata allo specchio

71    Mi ero ricordata di esperienze traumatiche/dolorose

72    Qualcuno aveva fatto dei commenti sul mio aspetto fisico

73    Un uomo mi aveva corteggiato

74    Il mio ragazzo e/o la mia famiglia mi avevano criticato

75    Avevo litigato con il mio ragazzo o con i miei genitori

76    ……………………………………

77    ……………………………………

78    ……………………………………

79    ……………………………………

80    ……………………………………

 

Il risultato del test non è sufficiente per una diagnosi, pertanto si rimanda ad una valutazione specialistica.

TEST REPERITO SUL WEB

Dott. Roberto Cavaliere

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TEST SULLA PERSONALE CAPACITA’ DI ASCOLTO

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Individuate i vostri comportamenti ricorrenti utilizzando la seguente scala:

0 = RARAMENTE         1=QUALCHE VOLTA         2 = SPESSO         3 = SEMPRE

 

  1. Continuo ad ascoltare anche quando quello che dicono non mi interessa
  2. Evito di trarre conclusioniaffrettate prima che l’altro abbia finito di parlare
  3. Se mi sfugge il significato di una parola, chiedo al mio interlocutore di specificare meglio.
  4. Cerco di non lasciarmi influenzare dall’aspetto del mio interlocutore.
  5. Quando mi parlanomi concentro su quello che mi dicono.
  6. Chiedo conferma ( feedback) di quanto ho capito.
  7. Presto attenzione a chi non mi è simpatico.
  8. Guardo negli occhi chi mi parla.
  9. Con le parole e i gesti incoraggio l’altro ad esprimersi liberamente.
  10. Presto attenzione al linguaggio non verbale del mio interlocutore.
  11. Penso che ci sia da imparare qualcosa da chiunque.
  12. Evito di suggerire frasi o parole al mio interlocutore.
  13. Evito di interromperlo.
  14. Gli comunico che sto ascoltando con lievi cenni del capo.
  15. Interrompo subito chi mi aggredisce verbalmente.
  16. Prendo appunti per non dimenticare ciò che mi dicono.
  17. Quando mi parlano, interrompo ciò che sto facendo in quel momento.
  18. Riesco a mantenere la concentrazione senza lasciarmi distrarre da suoni o rumori.
  19. Se non mi è possibile prestare attenzione al mio interlocutore, lo prego di ripassare in un momento più propizio.
  20. Quando ascolto l’altro avverto in me spontaneità nel farlo.
  21. Pongo domande percomprendere meglio quello che il mio interlocutore mi sta dicendo.
  22. Restare in silenzio quando comunico con qualcuno mi fa sentire agitato/ ansioso/ teso poiché sento l’impulso ad intervenire per replicare. (I)
  23. Cambioargomento quando parla il mio interlocutore. (I)
  24. Doconsiglinon richiesti quando l’altro sta parlando. (I)
  25. Quando l’altro sta esplicitando un suo problema,lo interrompo dicendogli che un problema simile c’è l’ho/l’ho avuto anch’io.(I)
  26. Mi impegno attivamente a cercare di comprendere gli altri facendogli domande senza aspettare che vengano da me.
  27. Riesco a controllare l’impulso a dare una spiegazione qualunque quando in realtà non ho al momento una risposta valida.

 

Totale:_____
La sommatoria dei singoli punteggi dei vari items dà il risultato finale del test.

Più è elevato il punteggio più si è bravi ascoltatori.

Nota: per gli items 22 – 23 – 24 – 25 la scala è rovesciata ( cioè 1 = 3; 2 resta = 2 e 3 = 1)

Punteggio minimo del test: 27

Punteggio massimo: 81

Punteggio mediano: 54

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RIMEDI CONTRO IL BULLISMO

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TEST SUL BULLISMO

Di seguito c’è un test per scoprire se sei “vittima” di un “bullo”. Rispondi V se è vero ed F se è falso.

  • 1 Si diverte a tormentarti ? V F
  • 2 Gli piace prenderti in giro o deriderti i? V F
  • 3 Considera divertente vederti sbagliare o farti male ? V F
  • 4 Sottrae o danneggia oggetti che ti appartenengono ? V F
  • 5 Si arrabbia spesso con te ? V F
  • 6 Ti accusa per le cose che gli vanno male ? V F
  • 7 E’ vendicativo nei tuoi confronti se gli ha fatto qualcosa di spiacevole? V F
  • 8 Quando gioca o fa una partita con te vuole essere sempre il vincitore? V F
  • 9 Ricorre a minacce o ricatti per ottenere quello che vuole ? V F

Se hai risposto Vero ad almeno 3 delle domande è molto probabile che tu sia vittima di un bullo, e le indicazioni seguenti potranno esserti utili.

Ecco che cosa devi fare se qualcuno fà il bullo nei tuoi confronti:

  • Cerca di farti vedere calmo e tranquillo, senza arrabbiarti o aver paura, anche se lo sei.
  • Cerca di evitare cose che non desideri fare
  • Non pensare a quello che ti dice, anzi, pensa bene di te
  • Cerca di capire quando è preferibile andare via, evitando il bullo
  • Se non puoi evitarlo, di fronte alla sua violenza verbale, usa l’ironia (ti grida “Sei grasso come un maiale”. Replica “Ti sbagli, assomiglio più ad una Balena”)
  • Se ti senti un po’ solo cerca di farti nuovi amici, con loro sarà diverso
  • Racconta a qualcuno di cui ti fidi quello che sta succedendo (un insegnante, un amico più grande di te, i tuoi genitori).
  • Non avere paura di dirgli quello che succede, non è colpa tua! Parlare con chi ti può aiutare è il modo migliore per risolvere la situazione
  • Non pensare che dicendolo a qualcuno andrai incontro a problemi peggiori, se chiedi aiuto allora non sei più da solo e potete pensare insieme a come risolvere questo problema
  • Spiega chiaramente che la situazione ti crea dei problemi e che per te è importante che venga fatto qualcosa.
  • Continua a parlare di quello che accade finché non otterrai qualche cambiamento.
  • Non accettare che qualcuno sia aggressivo con te! Non è facile fermarlo ma neanche impossibile.

TESTIMONIANZA

serena Età: 23 Ho 23 anni. Sono stata vittima del bullismo quando frequentavo le scuole medie. Adesso credo di aver superato tutto ma di quelperiodo conservo un triste ricordo. Gli anni della spensieratezza purtroppo ioli ho vissuti nella tristezza totale, nell’insicurezza, nell’angoscia. E proprio quegli anni hanno poi condizionato a lungo quelli successivi. Fino a qualche anno prima che io iniziassi le medie non avevo alcun problema coi miei coetanei. Andavo bene a scuola, mi rispettavano. Tutte le mie difficoltà ho iniziato ad averle quando, con la pubertà, ho iniziato ad avere i brufoletti, quando ho messo l’apparecchietto ai denti. Ero molto semplice, non mi truccavo (come invece vedo fare adesso da alcune bambine delle medie) i capelli legati, non tenevo alla mia immagine, ad apparire, perchè… insomma…ero solo una bambina e io mi sentivo tale. Però purtroppo, tutte queste caratteristiche, brufoli, apparecchietto… mi rendevano brutta e quello fu il pretesto che un ragazzino iniziò ad usare per prendermi in giro. Inizialmente, anche se ci rimanevo male, non davo eccessivamente peso. Cercavo di non prendermela. Facevo finta di stare al gioco. Ma poi quel ragazzino iniziò ad essere imitato da un secondo ragazzino, poi da un terzo… e così via.. finchè dopo poco tempo tutta la classe non iniziò ad insultarmi con nomignoli. Quello che più preferivano era scrofa ma ce n’erano anche di altri. Passavo tutta la giornata, per tutti i giorni dell’anno scolastico ad essere presa in giro in questo modo. Mi facevano le canzoncine utilizzando questo aggettivo, scritte alla lavagna, durante la lezione mi lanciavano palline di carta e io di fronte a tutto ciò mi sentivo impotente. Non riuscivo a difendermi. Non ero in grado di farlo. Erano troppe le persone da cui dovevo difendermi. Ho passato 3 annidella mia vita di inferno. Tre anni della mia vita in cui io non ho vissuto affatto. Tre anni in cui io ero sempre triste. Da quando mi alzavo fino aquando non andavo a letto la sera. La mattina mi alzavo già di cattivo umore perchè sapevo cosa mi aspettava… 5 ore di derisione! All’uscita da scuola ero triste per quello che avevo subito. A casa non dicevo niente. Non ne ho mai parlato perchè mi vergognavo a raccontare quello che passavo. E aspettavo la sera, quando tutti erano andati a letto, per piangere da sola e dare sfogo alla mia rabbia. Il giorno dopo si ripeteva la stessa routine. E così per tre anni. A casa mi vedevano sempre cupa, triste, nervosa… mai un sorriso. Mi alzavo da letto che non dicevo neanche buongiorno, ero sempre di cattivo umore. I miei mi rimproverano per il brutto carattere che avevo ma non capivano che alla base c’era una situazione di disagio. Per cui se a scuola ero triste per tutto ciò che subivo, a casa ero altrettanto triste perchè dovevo sentire tutte le critiche da parte della mia famiglia sul mio carattere. Avevo paura di uscire da casa con i miei genitori perchè temevo di poter incontrare i miei coetanei e quindi temevo che mi potessero prendere in giro anche davanti a loro. L’unica volta che mi sono messa a piangere in pubblico fu quando, durante un torneo di pallavolo, tutti i ragazzini presenti (quasi tutta la scuola) invecedi fare il tifo per me dicendo il mio nome, lo faceva coi nomignoli che avevano inventato. Quella fu l’unica volta in cui mi arresi, l’unica volta in cui mostrai a tutti la mia debolezza. Abbandonai la partita e me ne andai piangendo nello spogliatoio. Finite le medie alle superiori le cose cambiarono. Quando la sera prima di addormentarmi piangevo da sola, tra me e me ripetevo sempre una nota frase di Jim Morrison che all’epoca si scriveva sui diari e cioè: “non può piovere per sempre”. Avevo un modo di pensare positivo, per cui mi dicevo che quello era solo un periodo e che prima o poi tutto sarebbe finito. E così è stato. I coetanei del mio paese non li ho mai più frequentati. Finita la fase dell’adolescenza sono diventata una bella ragazza. E adesso a distanza di 10 anni da quegli episodi ne parlo in maniera anonima per la prima volta. Fino a qualche anno fa, anche se nell’anonimato, penso che non ne avrei parlato comunque. Dare un consiglio sinceramente mi riesce difficile. Anche se dico che le vittime devono denunciare ai genitori o agli insegnanti io stessa sono consapevole di quanto sia difficile fare ciò. Io stessa dopo 10 anni ho ancora difficoltà a parlarne. Per cui mi verrebbe di rivolgermi maggiormente agli insegnanti i quali dovrebbero far sì che episodi del genere non passino in modo indifferente davanti ai loro occhi ( come è accaduto per me). Ma nello stesso tempo mi rendo conto anche che gli stessi insegnanti in realtà sono impotenti. Cosa possono fare gli insegnanti se nel momento in cui rimproverano un bambino, il giorno dopo vanno i genitori a difendere la “piccola peste”? (o forse sarebbe più opportuno dire la piccola belva?) che interesse o che gusto avrebbe un insegnante a rimproverare un bambino? Se lo fa è perchè evidentemente lo merita, avrà risposto male o avrà fatto qualcos’altro. La causa di questo fenomeno quindi potrebbero essere i genitori? genitori poco attenti o poco presenti nell’educazione dei loro figli? potrebbe essere… ma non si possono neanche accusare questi. purtroppo nella nostra società per poter “andare avanti”, per poter pagare il mutuo, sia papà che mamma sono costretti a lavorare, sottraendo così tempo all’educazione dei figli. Conclusione: la causa del fenomeno risiede in tutta la società. Non basta che i pedagogisti si rivolgano ai genitori o agli insegnanti, ma è tutta la società che non va. A partire dalle decisioni politiche prese da chi ci governa che obbligano le famiglie a lavorare sempre di più per poter arrivare a fine mese. Sottraendo del tempo per i figli..e così via.Scusate se mi sono dilungata. Sono solo pensieri…

Dott. ssa Rosalia Cipollina

BULLISMO ONLINE O CYBERBULLISMO

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“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni.”

 

Con il termine cyberbullismo o bullismo online si indicano quegli atti di bullismo e di molestia effettuati tramite mezzi elettronici come l’e-mail, le chat, i blog, i telefoni cellulari, i siti web o qualsiasi altra forma di comunicazione riconducibile al web che è arrivato a rappresentare circa un terzo del bullismo totale. Anche se si presenta in una forma diversa, anche quello su internet è bullismo: far circolare delle foto spiacevoli o inviare e-mail contenente materiale offensivo può far molto più male di un pugno o un calcio. In Inghilterra, più di 1 ragazzo su 4, tra gli 11 e i 19, anni è stato minacciato da un bullo via e-mail o sms. In Italia, secondo alcune ricerche sul fenomeno del bullismo in generale, oltre il 24% degli adolescenti subisce prevaricazioni, offese o prepotenze. Tutto ciò che un ragazzo fa online lascia delle tracce su di esso, tracce che possono rimanere nel suo computer o possono essere rilasciate a terzi: più tracce lasci su internet è più è facile che ti trovino.Come il bullismo nella vita reale, il cyberbullismo può a volte costituire una violazione del Codice civile e/o del Codice penale.

Confronto tra cyberbullismo e bullismo  


Rispetto al bullismo tradizionale nella vita reale, l’uso dei mezzi elettronici conferisce al cyberbullismo alcune caratteristiche proprie:

•  Anonimato del “bullo” : in realtà, questo anonimato è illusorio: ogni comunicazione elettronica lascia delle tracce. Però per la vittima è difficile risalire da sola al molestatore, ed ancora più diffcile potrebbe essere reperirlo.

•  Indebolimento delle remore morali : la caratteristica precedente, abbinata con la possibilità di essere “un’altra persona” online (vedi i giochi di ruolo), possono indebolire le remore morali: spesso la gente fa e dice online cose che non farebbe o direbbe nella vita reale.

•  Assenza di limiti spaziotemporali : mentre il bullismo tradizionale avviene di solito in luoghi e momenti specifici (ad esempio in contesto scolastico), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyber bullo

Tipi di cyberbullismo

Flaming : messaggi online violenti e volgari (vedi “Flame”) mirati a suscitare battaglie verbali in un forum.

“Cyber-stalking” : molestie e denigrazioni ripetute, persecutorie e minacciose mirate a incutere paura.

Molestie: spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno.

Denigrazione : “sparlare” di qualcuno per danneggiare la sua reputazione, via e-mail, messaggistica instantanea, ecc.

Sostituzione di persona: farsi passare per un’altra persona per spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili.

Rivelazioni : pubblicare informazioni private e/o imbarazzanti su un’altra persona.

Inganno : ottenere la fiducia di qualcuno con l’inganno per poi pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate via mezzi elettronici.

Esclusione : escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per ferirla.

Molti cyber-bulli agiscono in maniera aggressiva e violenta perché desiderano avere visibilità e fanno di tutto perchè il loro atto venga conosciuto e reso pubblico. La maggior parte dei bulli della Rete infatti, agisce da bullo proprio per attrarre su di sè le attenzioni dei mezzi di informazioni, per ricevere cioè dal mondo esterno tutte quelle attenzioni che non ricevono quotidianamente all’interno della loro famiglia o all’interno del loro gruppo di amici. Più il comportamento violento del bullo viene conosciuto, e più che il bullo ottiene ciò che desidera. Il cyber-bullo agisce non tanto per esercitare una violenza su qualcuno, bensì per attrarre su di sé tutte le attenzioni possibili: con la metodologia del file-sharing oggigiorno è sempre più facile che un video o una notizia venga a conoscenza di tutto il popolo della Rete. Lo sviluppo di siti per la condivisione di file, come quelli video (vedi You Tube), ha infatti dato un contributo notevole a rinforzare il fenomeno del cyber-bullying. Evitare che tali siti diffondino i video di bullismo sarebbe certamente un passo importante per contrastare il fenomeno.

Fra i vari tipi di cyberbullismo il più diffuso è il flaming Il nome flaming esprime uno stato di aggressività durante l’interazione con altri utenti del web . La Rete dà infatti la possibilità di inserirsi in nuove situazioni ed ambienti, in cui ogni utente tende a ritagliare un proprio spazio. Con il passare del tempo, l’attaccamento dell’utente al proprio spazio diviene sempre maggiore; spesso si cerca di intensificare la propria presenza nell’ambiente, postando più messaggi (in un forum) o chattando per ore. Ne consegue che per alcuni individui il fatto stesso di trovarsi in quel luogo diventa un vero e proprio bisogno. Quando un altro utente o una situazione particolare mette in discussione lo status acquisito dall’utente, questo si sente minacciato personalmente. La reazione è aggressiva, e a seconda dei casi l’utente decide di abbandonare lo spazio definitivamente (qualora abbia uno spazio alternativo dove poter andare), oppure attua il flaming (qualora ritenga necessario rimanere nel “suo territorio” dove si è faticosamente creato uno status). Ancora più grave ed insidioso per il forum è quando il flame è uno o più degli stessi moderatori, specialmente anziani, che arrivano a ritenere quello spazio come di loro proprietà. La loro azione diviene dura, chiusa ed ostile; tendono a rendere difficoltoso l’esprimersi e l’inserirsi di figure preparate o semplicemente potenzialmente coinvolgenti gli utenti. Tendono ad esasperare conflittualmente i rapporti interni tra moderatore ed l’Admin al punto di mettere in discussione il Forum stesso inducendo o provocando fratture e lacerazioni. Quando non isolati o allontanati in tempo possono portare all’implosione del Forum

Per prevenire il fenomeno si deve educare gli adolescenti e tutti quei giovani che navigano su Internet a riflettere che, prima o poi, una persona a cui si tiene molto, verrà a conoscenza del comportamento deviante messo in atto. E’ necessario, per esempio, che colui che entra in una chat, o colui che filma le violenze effettuate nel mondo della vita reale con un videofonino (per poi trasmetterlo ad altri o pubblicarlo sul web), sia consapevole che non è assolutamente protetto dall’anonimato, e che le “tracce” del suo comportamento non potranno essere cancellate. Deve essere consapevole che può essere (anche se non facilmente) rintracciato. E’ quindi essenziale che la figura dei genitori, nel loro ruolo sia affettivo, sia educativo, sia sempre presente nella testa di colui che stà per comportarsi in maniera antinormativa. Il cyber-bullo non è altro che un soggetto che indossa una sorta di maschera virtuale, e che sfrutta questa nuova situazione per compiere dei comportamenti disinibiti e aggressivi. E’ importante sottolineare che non solo il bullo ha l’impressione di essere invisibile, ma anche che è la stessa vittima ad apparire tale: entrambi, infatti, assumono identità virtuali e nicknames. Se da una parte perciò il bullo si crede invisibile e quindi non accusabile e non scopribile, dall’altra parte la vittima appare al bullo non come una persona vera e propria, bensì come un’entità semi-anonima e non dotata di emozioni o sentimenti. Mancano cioè, nel rapporto tra cyber-bullo e cyber-victim, tutta quella serie di feedback che fanno capire al bullo che la vittima stà soffrendo. A tal riguardo gli studi di psicologia sociale hanno stabilito che la “distanza sociale” possa essere la causa di atti violenti e orribili. “Distanza sociale” che negli scambi comunicativi eseguiti tramite computer viene amplificata. Infatti vengono a mancare il linguaggio del corpo, il suono della voce, e tutti gli altri aspetti della comunicazione che sono presenti nel mondo reale e conseguentemente il bullo non riesce a capire che il dolore, la frustrazione, l’umiliazione, generata nei confronti della vittima, sono tutti dei sentimenti reali.

Uno dei casi più famosi di cyberbullismo è quello di Megan Taylor Meier vittima statunitense del fenomeno morta suicida nel 2006 all’età di 14 anni.Secondo le informazioni date alla stampa dalla mamma e dai suoi conoscenti, Megan Meier aveva come hobby il nuoto e la musica rap ed amava i cani ed i ragazzi educati. Tuttavia non ebbe un’infanzia facile: alta circa 167 centimetri, pesava 95 kg e questo la obbligava ad una serie di diete ferree che la resero triste e taciturna. Le venne diagnosticata anche la Sindrome da deficit di attenzione e iperattività ed una sindrome depressiva abbastanza acuta. Megan aprì un account su MySpace e nel sito ricevette un messaggio da “Josh Evans”: Josh asseriva di essere un ragazzo 16enne, carino e simpatico, irresistibilmente attratto da lei. Egli inoltre affermava di vivere in un paese chiamato O’Fallon, di essere uno studente e di non possedere un numero telefonico personale.Il 16 ottobre del 2006 Josh cambiò tono nei confronti di Megan e scrisse frasi ingiuriose del tipo “Tutti sanno chi sei. Sei una persona cattiva e tutti ti odiano. Che il resto della tua vita sia schifosa”; “Megan è una prostituta”; “Megan è grassa” e soprattutto “Il mondo sarebbe un posto migliore senza di te”. Disperata da questo cambio repentino di umore, la ragazza si tolse la vita impiccandosi in camere sua.Recentemente si è scoperto che Josh Evans non esiste: ad inventarsi questo personaggio erano stati due vicini di casa ed in particolare una signora di nome Lori Drew: a scoprirlo fu un’altra vicina di casa, che ammise anche le responsabilità della propria figlia (rea, a suo dire, di aver mandato l’ultimo infamante messaggio).Non essendo contemplato in nessun codice penale, il caso non porterà ad un processo (anche se la famiglia Drew sarà monitorata da una telecamera installata nella loro casa, ed i genitori della vittima hanno già annunciato che non faranno causa. Si impegneranno, però, a modificare la legge per rendere questi episodi più rari.

Dott. ssa Rosalia Cipollina

IL BULLISMO

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“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni.” OLWEUS

“E’ malvagio. Quando uno piange, egli ride. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno. Egli odia la scuola, odia i compagni, odia il maestro”. Il“bullo” Franti nel libro Cuore.

La definizione che dà del bullismo Olweus, uno dei massimi studiosi di questo fenomeno, unitamente alla descrizione del bullo Franti nel libro Cuore sono indicativi di tale problematica e di come sia antica. Dalla definizione di Olweus si possono trarre le seguenti caratteristiche presenti in un comportamento di bullismo:

  • Azioni individuali o collettive di tipo:

* fisico: prendere a pugni o calci, prendere o maltrattare gli oggetti personali della vittima;

* verbale: insultare, deridere, offendere;

* indirette: fare pettegolezzi, isolare dal gruppo.

  • Dura nel tempo (settimane o mesi)
  • La vittima è impossibilitata à difendersi

Come abbiamo visto da queste caratteristiche il bullismo può essere attuato da un singolo individuo o da un gruppo e la vittima può essere, a sua volta, un singolo individuo o un gruppo. Si può distinguere una forma di bullismo diretto, che si manifesta in attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima, e di bullismo indiretto, caratterizzato da una forma di isolamento sociale ed in una intenzionale esclusione dal gruppo. Per quanto riguarda la manifestazione degli atti di bullismo si può affermare che la scuola è senza dubbio il luogo in cui questi si manifestano con maggiore frequenza, soprattutto durante i momenti di ricreazione, e nell’ uscita da scuola. Proprio a causa di ciò, le vittime dei bulli spesso rifiutono di andare a scuola. Rimproverati e rimproverandosi continuamente di “attirare” le prepotenze dei loro compagni, perdono sicurezza e autostima. Questo disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. Spesso ragazzi con sintomi da stress, mal di stomaco e mal di testa, incubi o attacchi d’ansia, o che marinano la scuola o, peggio ancora, hanno il timore di lasciare la sicurezza della propria casa, sono le vittime prescelte dal bullo. Le conseguenze di tale situazione sono spesso gravi e possono provocare strascichi anche in età di molto successive a quelle del sopruso stesso.Generalmente le vittime sono più deboli fisicamente della media dei ragazzi. Anche l’aspetto fisico (ad esempio l’obesità) può giocare un ruolo nella designazione della vittima, anche se non è determinante.

La vittima

Le vittime sono, per lo più, soggetti sensibili e calmi, anche se al contempo sono ansiosi ed insicuri. Se attaccati, reagiscono chiudendosi in se stessi o, se si tratta di bambini piccoli, piangendo. Talvolta soffrono anche di scarsa autostima ed hanno un’opinione negativa di sé e della propria situazione. Le vittime sono caratterizzate da un modello reattivo ansioso o sottomesso, associato, soprattutto se maschi, ad una debolezza fisica, modello che viene rinforzato negativamente dalle conseguenze dei comportamenti sopraffattori. Tali conseguenze sono sempre a svantaggio della vittima perché non possiede le abilità per affrontare la situazione o, se le possiede, le padroneggia in maniera inefficace. Solitamente le vittime vivono a scuola una condizione di solitudine, di isolamento e di abbandono. Manifestano particolari preoccupazioni riguardo al proprio corpo: hanno paura di farsi male, sono incapaci nelle attività di gioco o sportive, sono abitualmente non aggressivi e non prendono in giro i compagni, ma hanno difficoltà ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei. Il rendimento scolastico è di vario tipo e tende a peggiorare nella scuola media. Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l’insicurezza, l’incapacità, l’impossibilità o difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti; così le ripetute aggressioni non fanno altro che peggiorare questo quadro di incertezza sulle proprie capacità.

Il bullo

La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella dell’aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli insegnanti. I bulli hanno un forte bisogno di dominare gli altri e si dimostrano spesso impulsivi. Vantano spesso la loro superiorità, vera o presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare le contrarietà e i ritardi. Tentano a volte di trarre vantaggio anche utilizzando l’inganno. Si dimostrano molto abili nelle attività sportive e di gioco e sanno trarsi d’impaccio anche nelle situazioni difficili. Al contrario di ciò che generalmente si pensa, non presentano ansia o insicurezze. Sono caratterizzati quindi da un modello reattivo-aggressivo associato, se maschi, alla forza fisica che, suscitando popolarità, tende ad auto-rinforzarsi negativamente raggiungendo i propri obiettivi. I bulli hanno generalmente un atteggiamento positivo verso l’utilizzo di mezzi violenti per ottenere i propri scopi e mostrano una buona considerazione di se stessi. Il rendimento scolastico è vario ma tende ad abbassarsi con l’aumentare dell’età e, parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo verso la scuola. L’atteggiamento aggressivo prevaricatore di questi giovani sembra essere correlato con una maggiore possibilità, nelle età successive, ad essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali la criminalità o l’abuso da alcool o da sostanze. All’interno del gruppo vi possono essere i cosiddetti bulli passivi, ovvero i seguaci o sobillatori che non partecipano attivamente agli episodi di bullismo. È frequente che questi ragazzi provengano da condizioni familiari educativamente inadeguate, il che potrebbe provocare un certo grado di ostilità verso l’ambiente. Questo fatto spiegherebbe in parte la soddisfazione di vedere soffrire i loro compagni. Questo tipo di atteggiamento è rinforzato spesso da un accresciuto prestigio.

La vittima provocatrice

Esiste un’ “incrocio” tra vittima e bullo: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazione ansiose e aggressive. Possono essere iperattivi, inquieti e offensivi. Tendono a controbattere e possono essere sgraditi anche agli adulti. Hanno la tendenza a prevaricare i compagni più deboli. Non è raro che il loro comportamento provochi reazioni negative da parte di molti compagni o di tutta la classe. Questo tipo di vittima è meno frequente rispetto alle precedenti e le vittime del primo tipo risultato maggiormente esposte a rischio di depressione. Le vittime presentano sin dall’infanzia un atteggiamento prudente e una forte sensibilità.

Condizioni che favoriscono il fenomeno

Vari studi hanno evidenziato alcuni fattori che sembrano essere alla base del comportamento aggressivo. Sicuramente un ruolo importante è da attribuire al temperamento del bambino. Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento, da parte delle persone che si prendono cura del bambino in tenera età, è un ulteriore fattore importante nello sviluppo di modalità aggressive nella relazione con gli altri. Anche l’eccessiva permissività e tolleranza verso l’aggressività manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva stabile. Un ruolo importante è ricoperto anche dal modello genitoriale nel gestire il potere. L’uso eccessivo di punizioni fisiche porta il bambino ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie regole. E’ importante che siano espresse le regole da rispettare e da seguire ma non è educativo ricorrere soltanto alla punizione fisica. Queste non sono sicuramente le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un reticolo di fattori concatenati tra loro. È, comunque, certo che le condotte inadeguate si verifichino, con maggior probabilità quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non hanno saputo fornire adeguatamente i limiti oltre i quali certi comportamenti non sono consentiti. Gli stili educativi rappresentano infatti un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte inadeguate. È interessante sottolineare come il grado di istruzione dei genitori, il livello socio-economico non sembrano essere correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi episodi. All’interno del gruppo c’è un indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono lo possano diventare. Per evitare che un bambino ansioso e insicuro diventi una vittima è importante che i genitori lo aiutino a trovare una migliore autostima, una maggiore autonomia e gli forniscano degli strumenti adeguati per affermarsi nel gruppo dei coetanei.

La prevenzione del bullismo

Risulta poco utile agire sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un intervento preventivo è quindi rivolto a tutti gli alunni e non direttamente ai “bulli” e alle loro vittime, perché, al fine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori. È importante sottolineare questo punto perché, come indicato in letteratura, è inefficace l’intervento psicologico individuale sul “bullo”. Infatti il “bullo” non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, e queste sono un problema soltanto per la vittima, gli insegnanti e il contesto. L’intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del “bullismo”. Quella vittima cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà presto un’altra nel medesimo contesto. Quindi, la prevenzione deve interessare gli alunni, gli insegnanti e i genitori. Questi possono farsi carico dei problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti. Si è evidenziato che l’intervento con bambini e ragazzi, deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Per questi motivi è necessario attuare un programma di intervento pluriennale di carattere preventivo e diretto al gruppo classe/scuola. Questo intervento rappresenta un’occasione di crescita per il gruppo classe stesso che, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventerà risorsa e sostegno per ciascun membro della classe. È inutile sottolineare che per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino, come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione, affinché l’esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di vita per i ragazzi. Il compito degli insegnanti è quindi quello di intervenire precocemente finché permangono le condizioni per modificare gli atteggiamenti inadeguati. Per migliorare la collaborazione con le famiglie è importante che si spieghi anche ai genitori che i loro figli possono assumere diversi atteggiamenti a seconda degli ambienti in cui si trovano. Questo è utile per prevenire la sorpresa delle famiglie nello scoprire modalità di comportamento differenti a casa e a scuola.

BULLISMO FEMMINILE

Un accenno vorrei farlo riguardo al “bullismo femminile”. Esso viene poco considerato perchè molto meno vistoso rispetto a quello maschile, ma a causa di ciò più subdolo. Esso si manifesta meno “fisicamente” e di più “verbalmente” ed “indirettamente”. Di solito la “bulla” s’atteggia ad “ape regina” e si circonda di altre api isolando che non le è gradita. Inoltre mette in atto nei confronti dell’ “esclusa” un vero e proprio comportamento persecutorio fatto di pettegolezzi e falsità infondate. Per la vittima diventa difficile chiedere aiuto, perchè il comportamento bullistico e poco evidente e si tende ad attribuire l’isolamento della vittima ad una sua eventuale timidezza. Si può facilmente immaginare quali possano essere gli esiti per la propria autostima, esiti che possono anche comportare quei disturbi del comportamento alimentare tanto frequenti fra le ragazze.

TEST SUL BULLISMO

Di seguito c’è un test per scoprire se sei “vittima” di un “bullo”. Rispondi V se è vero ed F se è falso.

  • 1 Si diverte a tormentarti ? V F
  • 2 Gli piace prenderti in giro o deriderti i? V F
  • 3 Considera divertente vederti sbagliare o farti male ? V F
  • 4 Sottrae o danneggia oggetti che ti appartenengono ? V F
  • 5 Si arrabbia spesso con te ? V F
  • 6 Ti accusa per le cose che gli vanno male ? V F
  • 7 E’ vendicativo nei tuoi confronti se gli ha fatto qualcosa di spiacevole? V F
  • 8 Quando gioca o fa una partita con te vuole essere sempre il vincitore? V F
  • 9 Ricorre a minacce o ricatti per ottenere quello che vuole ? V F

Se hai risposto Vero ad almeno 3 delle domande è molto probabile che tu sia vittima di un bullo, e le indicazioni seguenti potranno esserti utili.

Consigli per il bambino

E’ accaduto che qualcuno ha fatto il prepotente con te o con qualche tuo amico? Forse sarà successo. Viene chiamato bullo chi fa il prepotente o cerca di fare del male ad altri sia con le parole che con le azioni.

Hai di fronte un bullo se qualcuno:

  • 1. E’ aggressivo nei tuoi confronti picchiandoti, sputandoti, ti dà dei morsi, prende le tue cose.
  • 2. Ti insulta, ti fa fare cose che tu non vorresti fare, ti fa sentire uno stupido, ti fa stare male
  • 3. Ti provoca, ti scrive biglietti offensivi, mette in giro bugie su di te
  • 4. Cerca di convincere anche i tuoi amici a isolarti e prenderti in giro
  • 5. Minaccia di picchiare te o qualcuno a cui vuoi bene

Il bullo cerca di usare la violenza per avere quello che vuole, cercando una “vittima” che non riesce a difendersi da solo o che considera “inferiore” a lui.
Il bullo può essere qualcuno della tua scuola, o qualcuno che consideravi un amico.
L’ intenzione del bullo è quella di spaventare, di mettere paura, perché in questo modo si sente grande e forte, vuole che gli altri pensino che è potente, che ha successo, che tiene tutto e tutti sotto controllo. In realtà spesso è una persona che non ha nessuna di queste “qualità”, anzi cerca di nascondere i suoi “difetti”.

Gli effetti del bullismo
Quando qualcuno fa il prepotente con te e ti fa stare male, potresti sentirti:

Di valere poco o nienteTriste o arrabiatoSenza voglia di giocare o di uscireCon poco appetito o molto appetito
Ti senti male come quando hai la nausea Con mal di testa e mal di stomacoSenza dediderio di andare a scuola
Ecco che cosa devi fare se qualcuno fà il bullo nei tuoi confronti:

  • Cerca di farti vedere calmo e tranquillo, senza arrabiarti o aver paura, anche se lo sei.
  • Cerca di evitare cose che non desideri fare
  • Non pensare a quello che ti dice, anzi, pensa bene di te
  • Cerca di capire quando è preferibile andare via, evitando il bullo
  • Se non puoi evitarlo, di fronte alla sua violenza verbale, usa l’ironia (ti grida “Sei grasso come un maiale”. Replica “Ti sbagli, assomiglio più ad una Balena”)
  • Se ti senti un po’ solo cerca di farti nuovi amici, con loro sarà diverso
  • Racconta a qualcuno di cui ti fidi quello che sta succedendo (un insegnante, un amico più grande di te, i tuoi genitori).
  • Non avere paura di dirgli quello che succede, non è colpa tua! Parlare con chi ti può aiutare è il modo migliore per risolvere la situazione
  • Non pensare che dicendolo a qualcuno andrai incontro a problemi peggiori, se chiedi aiuto allora non sei più da solo e potete pensare insieme a come risolvere questo problema
  • Spiega chiaramente che la situazione ti crea dei problemi e che per te è importante che venga fatto qualcosa.
  • Continua a parlare di quello che accade finché non otterrai qualche cambiamento.
  • Non accettare che qualcuno sia aggressivo con te! Non è facile fermarlo ma neanche impossibile.

Dott. ssa Rosalia Cipollina

SCUOLA SUPERIORE: ATTENTI A NON SBAGLIARE

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(estratto dell’articolo omonimo, redatto con la consulenza della dott. Rosalia Cipollina, pubblicato sul n.28/2008 della rivista “Viversani & Belli”)

 

Scuola superiore: come fare la scelta giusta

E’ tempo di iscrizioni alla scuola superiore o di confermare la prescrizione già effettuata ma, prima di fare la scelta definitiva, è importante riflettere un’ultima volta su quali siano le proprie aspirazioni, sul programma che ci si troverà ad affrontare e sui reali sbocchi consentiti dal corso di studi prescelto. Questo perché, stando alle statistiche, i ragazzi italiani abbandonano molto presto la scuola e molti lo fanno prima di aver conseguito un titolo di studio superiore, così quasi la metà degli italiani ha solo la licenza media ed un’obiettiva difficoltà a trovare lavoro. Le cause dell’abbandono possono essere molteplici, ma, sopratutto una scelta degli studi superiori poco oculata favorisce il verificarsi di tale fenomeno.

Sceglier bene per evitare l’abbandono.

Il quadro dell’istruzione fotografato dall’Istat per «100 statistiche per il Paese – Indicatori per conoscere e valutare» è davvero preoccupante e secondo la ricerca, la fuga dai banchi interessa soprattutto il meridione. In Sicilia e Campania rispettivamente 15 e 14 studenti su cento non completano nemmeno il percorso dell’obbligo, mentre l’anno scorso poco più del 75% dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore . Sono, infatti, i primi ingressi nel sistema scolastico e gli anni di passaggio da un ordine all’altro che costituiscono una soglia critica nel percorso scolastico.

Gli esiti di una scelta sbagliata. In primo luogo, l’interruzione degli studi può essere il risultato dell’impossibilità di proseguire, a causa dei ripetuti fallimenti sul piano del rendimento, di un rifiuto nei confronti di una realtà frustrante (come avere brutti voti all’interno di una classe modello) o di una situazione di disagio psicologico maturato nel contesto scolastico (come il bullismo). In altre situazioni, invece, l’abbandono è il triste epilogo di una scelta scolastica fatta dalla famiglia e non condivisa dal ragazzo. Di solito, in questo caso, lo scarso interesse dello studente è evidente dal suo atteggiamento: lamenta un senso di noia, di scontentezza, a volte circoscritto alla scuola, ma più spesso generalizzato e al quale l’adolescente non sa dare un significato. In questi casi non si verifica immediatamente un vero e proprio abbandono della scuola, ma un abbassamento del rendimento accompagnato da scarsa fiducia nelle proprie capacità.

Fare la scelta giusta

A questo punto dell’anno molti ragazzi hanno già fatto la loro scelta, oppure sono in procinto id confermare la presceiscrizione, ma non è troppo tardi per capire se questa è stata fatta con oculatezza. Ecco cosa valutare per impedire che un indirizzo di studi sbagliato convoli nell’abbandono.

Una scelta personale. In generale, è normale che la famiglia, come pure gli insegnanti della scuola media, consiglino il ragazzo su quale possa essere il percorso più affine alle sue aspirazioni, ma è importante che la scelta definitiva sia stata fatta dal giovane stesso e non da altri al suo posto.

Ma non è facile per un ragazzo di 14 anni operare a tale età una scelta che impatterà sul suo futuro professionale, oltre a non sapere ancora bene che cosa si desidera veramente per sé stessi.. Di fronte a tale difficoltà di scegliere molti finiscono col chiedere consiglio ai genitori. Ed in seguito a questa richiesta di consiglio si nasconde una delega alla scelta in cui l’indicazione fornita dal genitore viene fatta propria, pur non desiderandola del tutto o in parte. Gli stessi genitori nel fornire un consiglio potrebbero essere influenzati, inconsapevolmente, dalle proprie aspettative mancate o da desideri, più o meno consci, sul futuro dei propri figli. Ad esempio un genitore che avrebbe voluto fare gli studi classici al posto di quelli tecnici o scientifici, potrebbe “riscattare” la scelta mancata attribuendola come scelta al proprio figlio. O il genitore che da grande avrebbe voluto fare tutt’altro come professione , il medico al posto dell’avvocato ad esempio, potrebbe strutturare per il proprio figlio un percorso di studi finalizzato a realizzare la professione mancata.

In questi casi serve la maturità dei genitori che non devono lasciarsi nè influenzare dalle proprie aspettative mancate, né tentare di sostituirsi al ragazzo. L’ideale sarebbe aiutarlo a capire le sue inclinazioni e i suoi interessi. Inoltre i genitori nel consigliare si trovano di fronte ad un bivio: ‘scuola utile’ per il futuro lavorativo o ‘scuola interessante’per il ragazzo ?. Nello scegliere bisogna tener conto che il mercato del lavoro cambia velocemente, ciò che è utile oggi potrebbe non esserlo domani, ma se il ragazzo studia senza interesse potrebbe interrompere precocemente gli studi e non sarebbe felice. E’ bene dunque che la famiglia ragioni tenendo sempre come punto di riferimento la personalità del ragazzo, le sue attitudini ed i suoi interessi. Riassumendo: Scelta o consiglio come processo e non come contenuto

Allo stesso modo, bisogna scoraggiare l’adolescente che scelga la scuola da frequentare basandosi unicamente su quello che hanno fatto i suoi amici o ex-compagni di classe. Di solito, questo accade ai giovani più insicuri ed in questo caso, è necessario infondere maggiore fiducia al ragazzo, aiutandolo a focalizzare i suoi punti di forza ed i talenti che lo distinguono e che possono essere valorizzati solo scegliendo un iter scolastico mirato.

Le prime responsabilità. Perché il ragazzo si assuma pienamente la responsabilità del percorso che sta per intraprendere, è fondamentale coinvolgerlo anche nella parte preliminare (dall’iscrizione al corso di studi, fino all’acquisto dei primi libri). In genere, un adolescente alle prese con un’avventura piacevole e motivato verso la propria scelta, è entusiasta di occuparsi personalmente di queste formalità.

Un colloquio preliminare. Anche dopo aver fatto la pre-iscrizione è importante che il giovane faccia un sopralluogo della scuola che ha scelto, fissi un incontro con il preside o con una persona che sia preposta all’accoglienza e si faccia spiegare esattamente quali discipline saranno affrontate non solo al primo anno, ma nell’arco di tutto l’iter che porta al diploma. Spesso, infatti, gli adolescenti si fanno un’idea molto generica dei vari indirizzi di studio, viziata dalle esperienze di fratelli maggiori o di amici o, addirittura, facendo riferimento alla tipologia. Così credono che fare lo scientifico significhi essere molto bravi in matematica, mentre scelgono gli istituti artistici solo se amano la pittura. Trovarsi di fronte a discipline sconosciute o prese alla leggera è uno dei fattori che porta a “lasciare” nell’arco del tempo.

C’è tempo per cambiare. Anche se l’anno scolastico è iniziato ed i libri sono stati acquistati, non bisogna escludere l’opportunità di cambiare scuola. Se fin dai primi giorni, il ragazzo manifesta insoddisfazione verso il nuovo corso di studi, è importante chiedergli di valutare questa ipotesi anche se un leggero smarrimento o una forte tensione possono essere considerate normali per un adolescente alle prese con una nuova esperienza.

Dott. Rosalia Cipollina

CRESCONO BENE I FIGLI DI MEZZO ?

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(estratto dell’articolo omonimo, redatto con la consulenza della dott. Rosalia Cipollina, pubblicato sul n.16/2008 della rivista “Viversani & Belli”)

 

Delicata la situazione dei figli di mezzo, con ad esempio il secondogenito (di tre), tenderà a sentirsi non importante, sottovalutato o messo da parte. Naturalmente, tutto dipende da come genitori hanno saputo relazionarsi coi figli e come questi hanno reagito alla situazione. Al di là della posizione in famiglia, il ruolo del genitore è fondamentale, proprio per evitare che questa, non condizioni la sua vita da adulto.

Se il primo è il figlio dalle numerose aspettative e all’ultimo viene chiesto di ricoprire il ruolo del “cucciolo di casa”, i figli di mezzo sono spesso le figure “intermedie” tra i due fratelli. Ma questa posizione ha anche i suoi punti di forza. Ecco quali sono.

Se i primogeniti sono più tradizionalisti, ambiziosi e hanno uno spiccato senso della responsabilità, i secondi sono spesso più socievoli, creativi e rilassati. Si tratta di una condizione che favorisce, da grandi, scelte più libere e consapevoli, non troppo condizionate dalle aspettative di mamma e papa. Sono in parte “esenti” dal “mandato transgenerazionale” di cui sono investiti i primogeniti.

Se si è in tre, il secondogenito ricopre un doppio ruolo: è un fratello minore per il primogenito e un fratello maggiore per il terzogenito. Questa condizione favorisce le doti di diplomazia e mediazione che sono attribuite, di solito, ai figli di mezzo.

Forti delle esperienze del fratello maggiore ma non vessati dalla attenzioni che i genitori riservano sull’ultimo, i secondogeniti hanno la possibilità di fare subito le loro esperienze, vivendo meno l’ansia che è toccata agli altri due. Gli stessi genitori tendono ad offrire loro maggiore autonomia forti dell’esperienza cha hanno accumulato col primogenito, rendendosi conto che il futuro di un figlio dipende più da lui stesso che dai genitori.

Il figlio di mezzo può trovarsi tra due fuochi: poco considerato dal primo di cui è spesso geloso per la posizione che occupa; in competizione col terzo, il più piccolo, che ritiene investito di maggiori attenzioni da parte dei genitori.

Ma allo stesso tempo il figlio di mezzo può essere anche solidale col primo e col terzo: può manifestare comportamenti regressivi per essere più vicino ed identificarsi col più piccolo o al fine di essere maggiormente vicino al primogenito tende ad identificarsi con quest’ultimo assumendo atteggiamenti da più grande.

Talvolta avviene anche una competizione fra il figlio di mezzo ed il primogenito per la conquista della responsabilità o della preferenza del più piccolo. Ad esempio, quando nasce un maschietto dopo due bambine, c’è la gara a chi deve fare da mamma nei confronti del più piccolo.

Non dimentichiamo che il figlio che è di mezzo, prima di esserlo è stato per un periodo più o meno lungo, secondo ed ultimo. Sarà anche la durata ed il vissuto individuale di questo periodo ad influenzare la nuova “collocazione” familiare, unitamente anche al sesso dell’ultimo arrivato.

Come crescere un figlio di mezzo

Ma perché la ricerca di autonomia non si trasformi una crescita solitaria, ecco a cosa devono stare attenti i genitori nell’educazione del terzo figlio.

Il rapporto con il primo. Anche se il fratello maggiore è abbastanza grande per badare al secondogenito, non si dovrebbe mai lasciare che il ragazzo prenda il posto del genitore nella guida del secondo figlio, perché il più piccolo non si senta trascurato ed il grande non si trovi di fronte ad una responsabilità più grande di lui.

Evitare i paragoni. Si è già detto che il primogenito è quello al quale i genitori “chiedono di più”, così che spesso diventa il figlio più responsabile, ma il fratello maggiore non deve diventare l’esempio da seguire anche per gli altri. In particolare, con il secondogenito, è importante partire dal discorso opposto, cioè valorizzando le sue differenze rispetto agli altri, le potenzialità ed il suo carattere.

Se era l’ultimo. Se il secondo è sempre stato “l’ultimo” coccolato e vezzeggiato e poi è arrivato un fratellino molto più piccolo, è naturale che si verifichi un periodo di smarrimento o anche di capricci. In questo caso, anche se il bambino è già grande va ascoltato e rassicurato, cercando di non dare troppo peso alle sue marachelle. Potrebbe essere utile affidare, inizialmente, di tanto in tanto, l’ultimo nato ai nonni o ad altri familiari, al fine di continuare a far sentire il figlio di mezzo di nuovo l’ultimo arrivato.

Dott. Rosalia Cipollina

ANCHE LE PUPE DIVENTANO BULLE – IL BULLISMO FEMMINILE

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(estratto dell’articolo omonimo, redatto con la consulenza della dott. Rosalia Cipollina, pubblicato sul n.8/2008 della rivista “Viversani & Belli”)

 

UN FENOMENO POCO EVIDENTE Questo tipo di bullismo non è mai troppo evidente, per questo è stato paragonato a una forma di mobbing. Infatti, questo atteggiamento crea le condizioni perché la vittima non possa dimostrare nulla di ciò che è accaduto.Se la ragazza offesa trova il coraggio di chiedere spiegazioni, si trova di fronte a clamorose smentite e spesso finisce per essere accusata a sua volta( per esempio di narcisismo o di soffrire di manie di persecuzioni). Così, in preda alla frustrazione, spesso la vittima arriva addirittura a sentirsi in colpa.

SI SCAGLIANO CONTRO LE TIMIDE La vittima della bulla, in genere, è una coetanea, quasi sempre una compagna di classe, incapace di reagire, di ribellarsi o anche solo di denunciare l’accaduto. Ne mirino delle bulle finiscono più spesso le ragazze timide, con un sano rapporto familiare o molto diligenti. La vittima può essre spinta ad annientare la propria autostima, un problema che trascina con sé anche altri disturbi, come quello deò comportamento alimentare e gli attacchi di panico. In altri casi, nella ragazza oppressa scatta un processo di autodenigrazione, accompagnato dalla bramosia di entrare a far parte del gruppo di bulle

NON E’ VERO CHE……

  • Appartengono al ceto basso : molti casi di bullismo hanno come protagoniste ragazze “bene”, con genitori istruiti o con una posizione sociale. Spesso, spesso proprio gli impegni e l’intensa attività lavorativa di mamma e papà, creano lacune nell’educazione.
  • Hanno vissuto dei traumi: anche se è facile dare la colpa dell’aggressività alla separazione dei genitori o, peggio, alla perdita di uno dei due, le bulle sono per lo più ragazze con una famiglia “normale”, che non hanno vissuto esperienze dolorose tra le pareti domestiche.
  • Sono figlie uniche: solo in pochissimi casi le bulle sono figlie uniche. Anzi, proprio le bambine che hanno conosciuto la prepotenza di un fratello o di una sorella maggiore cercano poi una rivalsa all’esterno compiendo le stesse azioni che hanno subito.
  • Hanno un look aggressivo: uno stile sfacciato può corrispondere a un carattere forte e sicuro così come può, invece, celare una profonda insicurezza. Le bulle, però, si nascondono anche dietro un impeccabile look da collegiale.

CONSIGLI PER I GENITORI

  • Dare il buon esempio: spesso le radici del bullismo affondano nell’educazione ricevuta in famiglia. E’ facile, infatti, che un atteggiamento aggressivo si sviluppi dove è mancato affetto in tenera età o se i rapporti in casa sono sempre stati gestiti con aggressività (magari tra fratelli e sorelle). Ha molto peso anche il modo in cui i genitori hanno gestito il potere in casa. L’uso di punizioni fisiche, accompagnato dalla mancanza di dialogo, porta i figli a usare lo stesso metodo per farsi rispettare all’esterno.
  • Controllare le amicizie: non basta conoscere il carattere della propria figlia, perché anche le compagnie influiscono sul comportamento. All’interno del gruppo c’è un indebolimento del controllo personale e si riduce la responsabilità individuale:cosi, in presenza di ragazze aggressive, lo diventa anche chi di solito non lo è. Per questo motivo è meglio sapere qual è il gruppo che una figlia adolescente frequenta e com’è il suo comportamento a scuola, dove più spesso il bullismo si manifesta.
  • Non essere troppo permissivi: chi ottiene tutto con troppa facilità e ricatta i genitori se non ha ciò che vuole può impostare su queste basi anche altre relazioni e cercare un’altra “vittima” tra le coetanee per imporle di fare quello che le aggrada.
  • Non idealizzare la propria figlia: spesso i genitori non vogliono vedere la realtà e, anche di fronte alle segnalazioni degli insegnanti, ritengono che la figlia sia accusata a torto. Anche se la ragazza non manifesta aggressività in altri ambiti o ha ottimi voti a scuola, idealizzare è molto rischioso: meglio prestare subito attenzione ai campanelli d’allarme.
  • Incanalare la sua aggressività: se una bambina comincia a mostrare atteggiamenti aggressivi, è bene orientarla verso attività che le permettano di sfogarsi rispettando le regole. Gli sport che insegnano la disciplina sono un valido aiuto.

 

Dott.Rosalia Cipollina

CHI CRESCE I BAMBINI ITALIANI

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Brano tratto dall’intervista alla dott.ssa Rosalia Cipollina ed inserito nell’articolo di copertina “Chi cresce i bambini Italiani” pubblicato su “Il venerdì di Repubblica” del 5 ottobre 2007

Rosalia Cipollina, psicologa dell’età evolutiva e maestra elementare, cita Erich Fromm: “La terra promessa traboccante di latte e miele è la madre. La baby-sitter oggi dà il latte, ma la madre deve provvedere al miele: affetto, carezze, dolcezza, tempo libero, ma senza perdere autorevolezza. E’ importante che in questo ménage à trois si stabiliscano i ruoli e ci sia rispetto delle diverse funzioni. Una volta scelta una persona responsabile, capace e paziente, la madre costretta a delegare non deve rovinare tutto con gelosie e sensi di colpa: una donna soddisfatta e sicura non crea difficoltà nel bambino e nelle relazioni famigliari. Deve dare alla tata un copione da rispettare, ma coinvolgerla anche nelle scelte e nel contesto della vita famigliare. E’ normale che la baby-sitter riesca a catturare piccoli momenti della crescita quotidiana del bambino ai quali la madre non può assistere, ma la madre provi a rubare un po’ del suo mestiere e di quei tesori nascosti che creano empatia tra il bambino e la sua tata”.

Dott.Rosalia Cipollina