AGGRESSIVITA’ INFANTILE

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RICHIESTE DI CONSULENZA

martina Età: 37 Vorrei sapere come posso interpretare e correggere il comportamento di mio figlio 5 anni. sembra molto calmo e ha attegiamenti di sfida verso la maestra dell’asilo e talvolta verso di me. con le cattive non risolvo nulla se invece gli vado dietro con calma riesco adottenere qualcosa. la maestra mi dice che spesso risponde male lo mette in castigo ma lui se ne frega come posso atteggiarmi? grazie

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nichi Età: 55 Salve, sono una nonna un po preoccupata per il nipotino di 3 anni. Da quando aveva 5, 6 mesi ha avuto manifestazioni di irritabilità, per esempio ci afferrava gli occhiali, il telefonino , igiocattoli e li buttava a terra, o li lanciava, passerà abbiamo pensato, invece continua a farlo e in più rovescia i cassetti, sbatte tutto per terra, lancia calci,il tutto con rabbia, con forza. E’ in continuo movimento dalla mattina alla sera. La famiglia di mio figlio è composta dalla moglie,e da una sorellina di 7 mesi, che però giulio non maltratta fortunatamente, anche se all’inizio ha mostrato un pò di gelosia facendosi la pipi addosso, mia nuora e mio figlio hanno un atteggiamento conciliante verso questo bambino, gli lasciano fare tutto, lo rimprovarano pochissimo, dicono che assomiglia alla mamma quando era piccola. So che non devo immischiarmi, ma sono preoccupata e con me il nonno, e la zia, sara una questione di educazione o il bimbo ha qualche problema? La ringrazio la saluto una nonna ansiosa

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lori Età: 6 Salve, sono la mamma di un bambino di quasi 6 anni, li compie a fine marzo. Il bambino ha iniziato a frequentare proficuamente la prima elementare. Il problema è questo: a casa, o a scuola, quando mio figlio si arrabbia o pensa che gli venga fatta un’ingiustizia si comincia a dare dei pugni in testa, o dei calci alle caviglie, e una volta ha sbattuto la testa per terra. Inizialmente mi arrabbiavo, poi gli ho cominciato a dire che forse lui doveva fare degli esercizi di respirazione per calmarsi quando sentiva arrivare la rabbia. Sicuramente è un problema di aggressività ma come posso aiutarlo senza farlo sentire a disagio? Grazie delle Vostre risposte

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L’aggressività infantile è una problematica abbastanza ricorrente nei bambibi odierni ed è legata, principalmente, all’intolleranza verso le frustrazioni. Spesso, però, è il sintomo di un disagio ben più profondo o è una richiesta d’attenzione. Quando l’aggressività si manifesta in maniera forte ed intensa potrebbe anche essere il sintomo di una psicopatologia. In ogni caso prima ancora di punire e reprimere bisogna ascoltare non solo ciò che il bambino dice a livello verbale ma che tutto quello che non dice.

Riflettete su questi versi:

“Dici:

è faticoso frequentare i bambini.

Hai ragione.

Aggiungi:

perchè bisogna mettersi al loro livello,

abbassarsi, scendere, piegarsi, farsi piccoli.

Ti sbagli.

Non è questo l’aspetto più faticoso.

E’ piuttosto il fatto di essere costretti a elevarsi

fino all’altezza dei loro sentimenti.

Di stiracchiarsi, allungarsi, sollevarsi

sulle punte dei piedi.

Per non ferirli.”

Janus Korczak

Dott.ssa Rosalia Cipollina

IL DRAMMA DEL GAMBERO

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Winnicott affermava: “Il gioco ha uno spazio e un tempo. Non è al di dentro, in alcun senso del termine, né è al di fuori, nel senso che non è parte del mondo ripudiato, del non-me, di quello che l’individuo ha deciso di riconoscere (Dio sa con quale difficoltà e con quale sofferenza) come veramente esterno… E’ un’esperienza vissuta in una continuità di spazio-tempo, una modalità fondamentale del vivere”.

Il gioco allora si pone come fattore essenziale e congeniale per uno sviluppo globale e armonico dell’uomo: sappiamo infatti come i bambini che non hanno la possibilità di sviluppare pienamente la propria dimensione ludica subiscono un arresto dell’evoluzione affettiva, psicomotoria, relazionale proprio perché il gioco investe categorie esistenziali quali la corporeità, la temporalità, la spazialità.

Gli elementi essenziali per il gioco nel bambino (come nell’adulto) sono:

  • a) i giocattoli; devono essere adatti all’età e allo stadio di crescita e di sviluppo. Non devono essere troppo pochi, perché in questo caso il bambino non sarà sufficientemente stimolato, né troppi, perché egli si troverebbe confuso e incapace di concentrare l’attenzione.
  • b) lo spazio di gioco; ogni bambino deve anche possedere un piccolo “territorio” personale che egli sa essere unicamente suo e che costituisce quindi per lui una base sicura e familiare.
  • c) il tempo di gioco; esso deve essere sufficientemente tranquillo e prevedibile. Dovrebbe essere di una lunghezza tale da permettere al bambino di portare a termine l’attività in cui è momentaneamente interessato
  • d) i compagni di gioco;
  • e) l’imprevedibilità; il gioco è anche il contenitore di eventi che nascono dalle continue sperimentazioni con gli oggetti, con le persone e con i fatti. Chi gioca non può conoscere quello che succederà. Il concetto è semplice: se un giocatore conosce come si svolgeranno gli eventi, se sa già la soluzione non vuole più giocare.

Se si ha bisogno di costruire un gioco, se si vuol giocare noi stessi, bisogna porsi in un terreno da esplorare, uno spazio nuovo dove sia data la possibilità di muoversi e agire, diversamente se ne va gran parte del significato ludico che sottostà al bisogno di giocare.

Concludo con le parole di Winnicott “…importante caratteristica del giocare è che mentre gioca e, forse soltanto mentre gioca, il bambino o l’adulto è libero di essere creativo, di fare uso dell’intera personalità ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il Sé”.

Dott.ssa Rosalia Cipollina

PSICOANALISI INFANTILE

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A. Freud , Il trattamento psicoanalitico dei bambini

Le prime difficoltà le incontriamo già nel costruire la storia della malattia in base ai ricordi consci del paziente. Nel caso di un paziente adulto ci asteniamo, di norma, dal raccogliere informazioni dalla famiglia e facciamo affidamento esclusivamente sulle notizie che egli stesso ci può fornire. Questa limitazione, che ci imponiamo di proposito, di solito è motivata con il fatto che le informazioni date dai familiari sono perlopiú inattendibili e lacunose perché falsate da una concezione troppo personale e soggettiva della personalità del malato. Ma il bambino non ci sa dire granché sulla storia della sua malattia. Finché non gli si viene in aiuto con l’analisi, egli non è in grado di risalire con la memoria molto addietro nel tempo. Egli è cosí assorbito dal presente che per lui il passato quasi svanisce. Non saprebbe dire da quanto tempo ha incominciato a essere fuori della norma e diverso dagli altri bambini. Non ha bastante maturità per paragonarsi con gli altri e ancora meno è in grado di porsi spontaneamente dei compiti con cui le sue insufficienze possano misurarsi. Quindi l’analista infantile ricava in effetti la storia della malattia del piccolo paziente da ciò che gli dicono i genitori e non può fare altro che tener conto delle eventuali imprecisioni e deformazioni, dovute a motivi di ordine personale.

L’interpretazione dei sogni, invece, ci offre un campo che è di competenza tanto dell’analisi infantile quanto dell’analisi dell’adulto. Nel periodo dell’analisi il bambino sogna né piú né meno dell’adulto e la trasparenza o l’oscurità dei contenuti onirici sono regolate nell’uno come nell’altro dall’intensità della resistenza. I sogni del bambino sono certamente piú facili da interpretare, anche se non sono sempre cosí semplici come gli esempi forniti nell’Interpretazione dei sogni. Vi troviamo tutte le deformazioni dei desideri insoddisfatti corrispondenti alla complicata struttura nevrotica del piccolo paziente. Ma è facilissimo farne capire l’interpretazione al bambino. Quando un bambino mi racconta il primo sogno gli faccio notare che il sogno non può nascere dal nulla, che esso ricava evidentemente i suoi elementi da qualche parte; e mi metto con lui alla ricerca di dove provengano. Egli si diverte a rintracciare i vari elementi come in un gioco di incastri e ritrova con molta soddisfazione le immagini o le parole del sogno nei fatti della sua vita reale. Forse questo avviene perché il bambino è piú vicino dell’adulto al mondo dei sogni o forse non si stupisce di trovare un significato nel sogno perché non ha mai sentito sostenere scientificamente la teoria che i sogni non hanno significato. In ogni caso, se l’interpretazione riesce, ne è molto fiero.

[…]

Nell’analisi infantile, accanto all’interpretazione dei sogni veri e propri, ha una grande importanza anche quella delle fantasticherie. Molti dei bambini su cui ho raccolto le mie esperienze erano dei grandi sognatori a occhi aperti, e il racconto delle loro fantasticherie mi è stato di grande aiuto nell’analisi; è inoltre molto facile indurre i bambini di cui si è conquistata la fiducia in altri campi a raccontare le loro fantasie. Le raccontano con disinvoltura, perché evidentemente se ne vergognano meno dell’adulto, che le considera “infantili”. Mentre l’adulto di solito tarda a riferire nell’analisi le sue fantasticherie e lo fa con molte esitazioni, proprio perché se ne vergogna e disapprova la cosa, la loro rivelazione, fatta dal. bambino nei delicati stadi iniziali dell’analisi, è spesso di grande aiuto. Gli esempi che citerò sottopongono al lettore tre tipi diversi di fantasticheria.

Il tipo piú semplice è la fantasticheria in quanto reazione a un avvenimento della giornata. La piccola sognatrice di cui ho parlato, per esempio, in un periodo in cui la competizione con i fratelli era della massima importanza per l’analisi, reagí a una supposta ingiustizia con questo sogno a occhi aperti: “ Vorrei non esser mai venuta al mondo, vorrei morire. A volte immagino di morire e poi di nascere di nuovo sotto forma dl animale o di bambola. Ma, se venissi di nuovo al mondo sotto forma di bambola, so bene a chi vorrei appartenere, a una bambina da cui era prima la mia bambinaia, una bambina tanto gentile e buona. Sí, vorrei proprio essere la bambola di questa bambina e non mi importerebbe niente di essere sballottata come si fa con le bambole. Sarei un delizioso bambolotto, mi laverebbero, mi vestirebbero, mi farebbero tutto. La bambina mi preferirebbe a tutte le altre sue bambole, e se anche a Natale gliene regalassero un’altra, io sarei sempre la prediletta. Non vorrebbe mai bene a un’altra bambola come al suo bambolotto .” È superfluo dire che i fratelli sui quali soprattutto si appuntava la sua gelosia erano quelli piú piccoli di lei. Nessuna spiegazione esplicita, nessuna associazione avrebbe potuto rivelare la sua situazione meglio di questa fantasticheria.

[…]

Un altro ausilio tecnico che, accanto all’interpretazione dei sogni e alle fantasticherie, ha spesso una parte di primo piano in parecchie mie analisi infantili, è il disegno: in tre dei casi riferiti esso sostituí addirittura, per un certo periodo, quasi tutti gli altri modi di comunicare.

[…]

Temo però di aver tracciato finora un quadro troppo ideale delle condizioni in cui si svolge l’analisi infantile. La famiglia è pronta a fornire tutte le informazioni necessarie; il bambino dimostra una gran passione per l’interpretazione dei sogni e sforna a getto continuo fantasticherie e una gran quantità di interessantissimi disegni da cui trarre tutte le conclusioni che si vogliono sui suoi impulsi inconsci. Se cosí fosse non si capirebbe perché fino ad oggi si è considerata l’analisi infantile un campo particolarmente difficile della tecnica analitica e perché tanti analisti dichiarino di non riuscire nel trattamento dei bambini.

Non è difficile dare la risposta. Il bambino neutralizza tutti i predetti vantaggi perché si rifiuta di fare associazioni. L’analista è messo quindi in imbarazzo perché con lui non può mettere in pratica lo strumento su cui si fonda la tecnica analitica. Evidentemente è contrario alla natura infantile assumere la comoda posizione sdraiata prescritta all’adulto, eliminare con consapevole volontà tutte le critiche alle idee che affiorano, comunicare tutto senza nessuna esclusione, e in tal modo esplorare l’intera estensione della propria coscienza.

È vero che quando si è riusciti, nei modi che ho descritto, a creare con un bambino dei solidi legami di affetto e a rendersi indispensabili, gli si può far fare qualunque cosa. Quindi qualche volta, esortandolo, si riuscirà a fargli fare delle associazioni, benché solo per breve tempo e per compiacere l’analista. Questo sporadico inserimento di associazioni potrà senz’altro essere di grande aiuto e chiarire a scolte una situazione difficile. Ma avrà sempre il carattere di un aiuto eccezionale, né potrà mai essere una base sicura su cui fondare l’intero lavoro di analisi.

A. Freud, Il trattamento psicoanalitico dei bambini , Boringhieri, Torino, 1972, pagg. 41-42, 44-45, 47-49, 50-51

Dott. Rosalia Cipollina

MASTURBAZIONE INFANTILE

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Freud ci ha familiarizzati con l’idea che una vita sessuale esiste fin falla prime ore di vita, che il bambino prova piacere sessuale nel poppare e che gradualmente il piacere erotico dalla bocca si trasferisce ai genitali. Di conseguenza la masturbazione del bambino è una scoperta naturale; dapprima non è una scoperta molto importante, perché per un bambino i genitali non offrono lo stesso piacere della bocca o anche solo della pelle. E’ esclusivamente la proibizione da parte dei genitori che rende la masturbazione un complesso radicato. Quanto più rigida la proibizione, tanto più profondo il senso di colpa e tanto maggiore l’impulso a soddisfarsi.

Alexander S. Neill – « Summerhill un’esperienza educativa rivoluzionaria », Rizzoli

Come si evince dal brano sopraindicato la masturbazione infantile non è da considerare una malattia o qualcosa di “riprovevole”. E’ un comportamento che può avvenire nel bambino anche molto piccolo a fini di autoesplorazione ma soprattutto di autoproduzione di sensazioni piacevoli, calmanti. Un comportamento “punitivo” da parte degli adulti può solo rafforzare il comportamento del bambino che si masturba. Inoltre vale la pena di domandarsi che funzione può avere mettendolo in relazione con altri comportamenti del bambino stesso (ricerca di relazioni con figure affettive, pianto, etc). In questo caso è utile instaurare un diaologo aperto con il bambino al fine d’individuare, appunto, problematiche sottese al comportamento masturbatorio.

In ogni caso per poter valutare come “anormale” un comportamento masturbatorio infantile è necessario misurarne intensità, frequenza e durata nel tempo.

Dott.ssa Rosalia Cipollina

TESTIMONIANZE

Ho una bimba di otto anni che spesso a scuola ha atteggiamenti riconducibili ad una masturbazione. La pediatra ha confermato che non ha sintomi di pubertà precoce. Lo psicologo ha constatato , dopo colloqui e test, che la bimba non ha altri problemi che l’ansia da prestazione. Dato che l’atteggiamento della bimba dà fastidio alle maestre che l’hanno isolata mettendola in fondo alla classe, mi consiglia cosa posso dire alle maestre e come devo comportarmi nei confronti di mia figlia? Grazie, Franca

salve,sono la mamma di un bimbo di dieci anni che da qualche tempo ha iniziato a masturbarsi;sono paziente e comprensiva pero’ un po’ mi preoccupa il fatto che lo fa davanti a noi senza vergogna.Vorrei sapere cio’ che e’ giusto dire in questi casi senza cercare di ferire la sua intimita’…grazie PS non sono affatto d’accordo con il comportamento delle maestre che al contrario dovrebbero imparare pure loro a parlare di sesso con i bimbi facendolo nel modo piu’ naturale possibile per evitare pensieri sbagliati!

anch’io ho un bambino di 8 anni che ha cominciato non totalmente a masturbarsi ma comunque si tocca le parti intime anche in nostra presenza (anche della sorella di 5 anni).Vorrei sapere come fargli capire che puo’ farlo tranquillamente, ma non in pubblico. Arrivederci e grazie

anche io ho cominciato a masturbarmi molto piccola, avrò avuto sì e no 5 anni… i miei genitori cercarono di bloccare la cosa con il risultato che ho continuato la masturbazione cercando di non farmi più vedere da nessuno… alle mamme preoccupate posso dire che io personalmente non ho poi avuto problemi di nessun genere, anche ora che sono adulta e ho una vita sessuale regolare non ci sono stae influenze negative dovute alla masturbazione in età precoce

PAURE INFANTILI

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Succede spesso che il bambino piccolo si svegli di notte in preda a qualche brutto sogno (che magari si riferisce a uno spettacolo televisivo appena visto) e chiami la mamma per trovare conforto e protezione. Le paure infantili sono alimentate molte volte dagli stessi adulti, dai loro racconti e dalle loro minacce di abbandono o di far venire il lupo o l’uomo nero “se fai il cattivo”. La via per aiutare il bambino a superare uno stato di ansia non e certo quella di minimizzare o, peggio ancora, di deridere i suoi timori, ma quella di creargli intorno un’atmosfera di serenità e di sicurezza.

Possiamo dividere le paure infantili nei seguenti sottogruppi: (a) stato generale di ansia, che si acutizza in modo eccessivo in certe situazioni, come quando il bambino si procura una piccola ferita, oppure viene lasciato solo nel suo lettino. Vi comprendiamo anche casi di spiccata incapacità di sopportare una separazione dalla madre; di pianto isterico nel tentativo di unirsi ad un gruppo di bambini e l’intolleranza di qualunque cambiamento di abitudini; (b) terrori notturni, sia che si tratti di paura di qualcosa di ben determinato, sia che il bambino viva uno stato confuso e indefinito di terrore; (c) fobie specifiche, ad esempio, di insetti, di cadere da un precipizio, di personaggi grotteschi come Punch e Yudy, di immagini di animali con i cappelli, delle risate degli adulti, della pioggia e dei temporali, di fare il bagno, dell’acqua che scorre via dalla vasca da bagno, di farsi lavare i capelli, dei cappelli, degli aerei, delle cose che volano, delle bambole un po’ grandi, di qualunque cosa fatta di gomma (un bambino si rifiutava di giocare vicino ad un tavolo sul quale era posata una bambola di gomma), del ragazzo che porta i giornali, delle campane della chiesa, di scendere le scale, delle nuvole, delle lezioni di storia, delle narrazioni bibliche, di prendere le medicine, delle persone alte vestite di scuro, di tutti coloro che sono affetti da qualche infermità fisica, di certi fiori, come le bocche di leone, del telefono, del vaso da notte, del sedile del WC, di una motocicletta nera, paura che la madre esca perché si teme che ella si faccia del male. Tutte queste paure possono diventare talmente gravi  da costituire un problema serio per le famiglie. Ecco alcuni esempi di queste paure infantili.

” Per sei giorni la bambina (2 anni) era stata allegra e felice, dormiva tranquillamente e profondamente come al solito; poi comincio a svegliarsi anche sei o sette volte per notte, chiamando ” mamma, mamma “; per tutto il giorno non faceva altro che correre su e giù irrequieta; ben presto la sua agitazione durante la notte peggioro e non riuscivamo più a controllare il suo pianto e le sue grida. (Tra l’altro devo aggiungere che era una bambina che normalmente non piangeva mai). L’ottavo giorno comincio a rifiutare il cibo, il decimo e l’undicesimo non volle ne mangiare, ne bere, a dispetto di tutti i tentativi. Un medico la visitò il nono giorno e disse che si trattava di un caso preoccupante; un altro, chiamato l’undicesimo giorno, la esamino più accuratamente e ci disse che la bambina non avrebbe potuto essere più sana di così, ma che si trattava di un soggetto ipersensibile e inquieto. La bambina era così deperita che il medico ordino di riportarla a casa quella stessa notte. Aveva perso due libbre (più di una libbra negli ultimi cinque giorni). Andai a prenderla e trovai al posto della mia bambina rosea, ricciuta ed allegra, una bimba pallida, silenziosa, con i capelli lisci e l’aspetto patito. Essa diede un grande sospiro di sollievo e contentezza nel vedermi, ma non sorrise per oltre mezz’ora. Poi a poco a poco si rilassò e dopo un piccolo spuntino che gradatamente riuscii a farle mangiare, si addormento profondamente per diverse ore. (Non aveva ne mangiato, ne dormito affatto per due giorni ed assai poco nei quattro precedenti). Essa migliorò rapidamente, riprese a mangiare avidamente e in due giorni era ritornata allegra come un’allodola “.

” Negli ultimi tre mesi il mio bambino (di quattro anni e mezzo) ha cominciato a svegliarsi molto spesso durante la notte o meglio nelle prime ore del mattino gridando, con voce disperata, di vedere delle ” brutte cose”. Inoltre, di frequente, quando sta per addormentarsi, diceche ” ha paura di chiudere gli occhi, perché vede delle cose “.

Sembra incapace di descriverle; sa soltanto ripetere che sono ” molto brutte” e talora aggiunge che ” mordono “. Quando affettuosamente cerchiamo di rassicurarlo che non vi e niente che possa far del male a un bambino, quando la mamma e il papa gli sono accanto, egli risponde ” Si, questo lo so, ma a quelle cose credo “.

” La mia bambina ha appena diciannove mesi, e fino ad una settimana fa aveva sempre amato molto fare il bagnetto prima di essere coricata. Poi all’improvviso, senza alcun motivo apparente, ha cominciato a rifiutare con tutte le forze di lasciarsi fare il bagno. Si irrigidisce e grida come se fosse terrorizzata. Ho provato con tutti i mezzi, vezzeggiandola, prendendola a sculaccioni, promettendole dei premi, ma non sono riuscita ad ottenere che rimanesse seduta, o almeno in piedi, nell’acqua”.

” La mia bambina di due anni e mezzo ha un enorme terrore delle donne, o meglio, di tutte le donne che non conosce molto bene. È sempre stata così fino da piccolissima, e per un certo tempo non abbiamo dato gran peso alla cosa; pensavamo che sarebbe riuscita a superare questi stati d’animo, ma adesso ci sembra che vada sempre peggiorando. Non credo che la si possa definire timida, perché. chiacchiera con tutti quanti, quando la portiamo fuori in carrozzina, pur mostrando sempre una preferenza per gli uomini. I problemi nascono, quando riceviamo visite; se si tratta di un uomo la bambina si comporta in maniera ineccepibile e se ne sta accovacciata chiacchierando amichevolmente, ma se trova nella stanza una signora che non conosce, dapprima resta in piedi e la osserva per circa un minuto, quindi scoppia in lacrime e ben presto il pianto si trasforma in una specie di attacco isterico; non c’é vezzeggiamento o ragionamento che riesca a calmarla, e siamo costretti a portarla via dalla stanza. Non e una questione di cattiveria o di brutto carattere; la bambina e assolutamente terrorizzata “.

” Vi sono cose che colpiscono il bambino (due anni e quattro mesi) cosi profondamente che ogni traccia di colorito scompare dal suo viso e tutto il suo atteggiamento diventa di paura. La prima volta che notai questo fatto fu quando egli aveva sedici mesi. Aveva visto, fissato sul retro di un’automobile, pendolante ed oscillante, un grande oggetto (circa tre metri) che doveva rappresentare un uomo di gomma – la pubblicità di una certa marca di pneumatico. D. non disse nulla, ed io mi allarmai nel vedere sbiancarsi la sua faccia (egli ha, abitualmente, un leggero colorito roseo) ed i suoi occhi spalancarsi spaventati. Ciò capito di nuovo qualche giorno dopo, quando egli trovo una rivista sulla cui copertina era rappresentato uno ” stregone ” a foschi colori. Non tentai di dare spiegazioni in nessuno dei due casi – le cose erano troppo strane e grottesche -, ma cercai di sviare semplicemente la sua attenzione verso altri interessi. Questo fatto si ripete ogni volta ch’egli vede figure di personaggi caricaturali come, per esempio, Mister York, la figura pubblicitaria del cioccolato York, o minuscole figure di nani, i soliti personaggi delle poesie per bambini”.

” Spesso conduco la bambina (quattro anni) con me quando vado a fare compere e, qualche volta, senza saperselo spiegare nulla rifiuta nel modo più assoluto di uscire dall’automobile. Se cerco di tirarla fuori per entrare in un negozio od altro edificio, strilla terrorizzata continuando a ripetere che e stanca e non le piace il rumore. Una volta insistetti, e la trascinai urlante in un negozio: lei batte i denti per un po’, poi torno vivace e contenta “.

” Quando era piccolo (quattro anni), se un biscotto si rompeva nell’offrirglielo, il bambino voleva assolutamente che lo si “aggiustasse” Si buttava per terra tirando calci e strillando disperato senza che nulla riuscisse a tranquillizzarlo “.

” Ho un figlio (sette anni) che prova terrore ed avversione per tutto ciò che è grottesco e strano e, finche non sa come una cosa funzioni, rimane impaurito. Dopo la spiegazione, tuttavia, quando rivede l’oggetto per la seconda volta, non ne rimane più scosso. La spiegazione, da sola, non sarebbe sufficiente. Il bambino non può tollerare, per esempio, di guardare ” Mickey Mouse ” e le sue strane gesta. Ieri, quando vide per la prima volta Punch e Judy, mentre i bambini più piccoli ridevano rumorosamente, lui diventava sempre più serio fino a scoppiare in lacrime dicendo: ” Li odio, li odio “. Gli ricordai che era invitato, tra qualche giorno, ad un’altra festicciola dove si sarebbero probabilmente esibiti un prestigiatore e forse un ventriloquo, e ch’egli non avrebbe potuto andarci finche non avesse imparato a controllarsi. Egli rispose tranquillamente: ” Non piangerò. Ne ho visto uno due anni fa. Ho pianto allora, ma non ho mai paura di nulla dopo la prima volta ” .

Nei suddetti casi è possibile riconoscere questi sintomi:

a- stato generale di ansia, che può acutizzarsi, quando il bambino si fa una piccola ferita oppure viene lasciato solo nel suo lettino.

Può cadere anche una incapacità di sopportazione dalla separazione con la madre o con un pianto isterico nell’unirsi ad un gruppo di bambini che gioca

b- terrori notturni, sia che si tratti di paura per qualcosa di ben definito, sia che viva uno stato di terrore non reale.

La paura è tale, non per qualcosa di reale ma per come noi percepiamo la realtà esterna.

c- fobie specifiche: di insetti, di cadere, delle risate, dei rumori forti, di fare il bagno

Adesso passiamo ad analizzare come queste paure si presentino nella scuola materna ed elementare.

Scuola dell’Infanzia

Tutti i bambini hanno paura e in maggior ma la provano in forma del tutto irrazionale, distinta, cioè, da un reale pericolo. In questa età, il piccolo soffre ancora dell’ansia da separazione e si dimostra angosciato se la madre o comunque una figura materna, lo lascia anche per un breve periodo. Nonostante i desiderio di autonomia, egli e ancora dipendente, ha bisogno di sicurezza e protezione, e desidera intraprendere le sue esplorazioni almeno Con la certezza di poter sempre ricorrere a qualcuno meno indifeso di lui. Questa, tuttavia, non e la sola paura del piccolo: egli teme, con sempre maggior insistenza di perdere l’affetto delle persone care e ciò e strettamente legato alle punizioni e ai rimproveri in cui spesso incorre. Poi, ci sono quelle “mini’ adoperate con troppa frequenza, che egli crede vere e che alimentano le sue paure: “Se non fai il bravo, l’uomo nero ti porterà via in un sacco.. il naso diventerà lungo lungo… ti venderemo agli zingari ….. non ti vorremo più bene”. A questi si aggiungono i racconti inquietanti, in cui un lupo mangia i bambini, un orco li bolle in pentola o dei piccoli rimangono orfani o si perdono in un bosco. Nella sua piccola esperienza il bimbo crede a quanto gli viene narrato e attribuisce poteri soprannaturali a uomini e animali; in tal modo, potrà generalizzare tali paure ai cani o ai cavalli cosi come ai poliziotti, al postino o a qualunque persona sconosciuta. C’ é da notare, inoltre, che alcune paure sono apprese per imitazione: molte madri, infatti, pur senza rendersene conto, trasmettono le loro ansie ai figli. Essi, cosi, temono i temporali, il fuoco, il dentista, i ladri allo stesso modo della madre e a imitazione del suo comportamento. Alle madri ansiose, poi, e da imputare una gran parte delle paure che il piccolo acquisisce: quelle sempre preoccupate e apprensive, timorose che il figlio possa farsi male, che possa cadere, che non possa riuscire a fare, che si tagli, che si punga, che si scotti, che ingoi qualche oggetto, che prenda una malattia, non solo bloccano il piccolo nella sua naturale espansione verso la vita facendone un disadattato, ma gli infonderanno timori eccessivi e un costante sentimento di pericolo imminente che si trascinerà fin nella vita adulta. Il fatto e che quante più paure un bambino accumula tante più ne accumulerà, a meno che un adulto non lo aiuti, con serenità e affetto, a demolirle di volta in volta. E bene, allora, non chiedere troppo ai bambini, punirli con criterio e adeguatamente, mostrarsi meno allarmati e ansiosi e, soprattutto, rassicurarli spesso del nostro affetto. E poi bisogna rispettare le loro paure, senza derisioni o rimproveri, ma offrendo il nostro aiuto quando e richiesto. Alcuni sintomi chiari, quali il bagnare il letto, succhiare il pollice, balbettare, essere chiuso e introverso, ci dicono tutta l’insicurezza e l’inesperienza del bambino. In tali evenienze e necessario che il piccolo si sviluppi serenamente affinché il persistere di questi stati di apprensione non incida sul suo comportamento anche futuro. Tuttavia, se si eviteranno grossolani errori, le paure infantili, che di solito aumentano sino ai tre anni, decresceranno spontaneamente col proseguire dell’età, con l’accrescersi della sicurezza e col precisarsi della realtà.

Scuola primaria

In questa età, le paure del bambino non sono certo diminuite, ma hanno spostato il loro obiettivo. Siamo ormai lontani dalle paure del neonato per ogni stimolo nuovo ed estraneo, fosse anche la nuova pettinatura della madre o della barba del padre, e anche dalle paure verso le persone non familiari, per il cane nero o per la stanza buia. Le paure infantili si evolvono col tempo e anche il bambino in età scolare ne risente, se pur diversamente. I bambini sono, ora, meno timorosi nei confronti delle malattie, delle eventuali ferite e, di conseguenza, dei medici e dei dentisti, mentre la maggior parte delle paure di questo periodo hanno relazione con la famiglia e la scuola e assumono una caratteristica particolare, rappresentata da simbolismo. E facile, cosi, che i bambini riferiscano di aver paura dei fantasmi, delle streghe, de mostri in generale, come pure di bestie feroci che possono aggredirli o ferirli anche mortalmente mente rappresentano la paura di essere puniti dai genitori; i bambini, in altre parole, temono che possa essere loro inflitto un eventuale castigo per qualche cosa che non hanno ancora fatto, ma che potrebbero fare. Consciamente, non vogliono nemmeno pensare ai genitori come giudici e giustizieri, cosicché nelle loro paure tale timore viene mascherato in modo fantastico. D’altra parte, in questo periodo dello sviluppo, sono frequenti i casi di conflitto con i genitori per vari motivi: il bambino si trova a dover combattere contro l’ambivalenza dei suoi sentimenti nei loro confronti; e avviato verso l’autonomia, ma non ha ancora raggiunto la completa indipendenza; la sua aggressività, inoltre, gli e ora ben nota. Similmente, le paure nei confronti della scuola possono sottintendere l’angoscia della separazione: uno stato emotivo, questo, che spesso si tramuta in panico e che viene vissuto in ugual misura dai genitori e dai figli.

Le madri dei bambini che soffrono di questa paura molte volte temono esse stesse che il figlio si stacchi troppo da loro e lo vedono indifeso e bisognoso di protezione in questo ambiente scolastico così freddo e minaccioso: preferirebbero, cioè, tenerselo sempre accanto. Il bambino, inconsciamente, percepisce questa sensazione della madre e fa suo questo desiderio. Accanto a queste paure inconsce e irrazionali, ve ne sono molte altre legate a esperienze reali. Il bambino, allora, ha paura del gatto perché e stato da questo graffiato; ha paura degli insetti perché un giorno un’ape lo ha punto; ha paura del fuoco perché una volta si e scottato. Molte altre paure sono dovute alle raccomandazioni insistenti dei genitori: “Non toccare le forbici”, “Attento ai cani grandi”, “Non arrampicarti sugli alberi”; esse derivano anche dalle continue lamentele circa lo stato di salute, che fanno temere al bambino la malattia del padre o della madre; oppure nascono dalla iperprotezione dei genitori e dalla conseguente perdita di fiducia in se. I bambini, insomma, oltre a temere ogni cosa, a non rischiare mai, a non intraprendere un compito nuovo, si convincono di non essere in grado di fare, di azzardare, di tentare: le paure, a questo punto, si moltiplicano, vengono accuratamente nascoste o, magari, si manifesteranno più tardi attraverso sintomi disturbanti. L’atteggiamento dei genitori, allora, può influire positivamente o negativamente sulle paure dei figli. È ovvio che, se e bene insegnare al bambino alcune conseguenze dannose dei suoi atti, e altrettanto opportuno non intimorirlo oltre misura – Alle sue paure naturali non vanno aggiunte anche le nostre, ne le nostre preoccupazioni, ne le nostre angosce; le punizioni vanno somministrate con coerenza, affinché egli non tema le conseguenze di ogni suo atto; la fiducia in se va costantemente valorizzata, cosicché il bambino si senta ” capace; non si devono pretendere prestazioni inadeguate alle sue reali capacita e, per esempio, 1’allontanamento da casa, magari per un periodo di vacanza, deve essere preventivamente preparato in vista di un suo buon adattamento. Infine, come regola generale, le paure del nostro bambino vanno rispettate e non certo adoperate come “arma” per farlo crescere o ridicolizzarlo. Spronarlo al coraggio o, a volte, tentare una spiegazione razionale può avere un effetto nullo; le sue paure passeranno certamente ma la medicina adatta alla cura e rappresentata dal nostro rispetto verso di lui, dalla pazienza, dal buon esempio e dall’opportunità che gli daremo di superare attivamente le sue paure.

E possibile individuare le occasioni in cui un bambino e più irritabile e incline all’aggressività e i fattori che favoriscono questi stati emotivi. Il fatto che vi siano visite in casa, che abbia dormito male o abbia bagnato il letto, un raffreddore, una malattia, la fame o uno stato di affaticamento accrescono il livello della frustrazione e, di conseguenza, il bambino reagisce adottando quei comportamenti (per esempio la collera e l’aggressività) che in passato sono stati coronati da successo quando si è trattato di superare un’interferenza. Supponiamo che Alice sia arrabbiata perché vuole un giocattolo della sorella collocato in alto, su una mensola. Come devono comportarsi i genitori per tener testa alla crisi di collera scatenata dal fatto che le hanno negato il giocattolo? Il modo più facile consiste nell’eliminare l’interferenza: i genitori prendono il giocattolo dalla mensola e permettono ad Alice di giocarci. La gratificazione del desiderio fa cessare facilmente l’esplosione di collera, ma non e sempre la soluzione migliore. Come e prevedibile in base ai principi dell’apprendimento, se Alice scopre che le risposte aggressive vengono ricompensate (se cioè ottiene quello che vuole), le ripeterà. In altre parole, concedere al bambino quello che vuole può intensificare le crisi di collera. Un altro modo per affrontare il problema e quello di allontanare la fonte dell’inquietudine: i genitori possono cioè nascondere il giocattolo in un armadietto, sperando che il detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” funzioni. Oppure possono cercare di distogliere l’attenzione della bambina, facendo in modo che si dedichi a un’altra attività. Se trova un’altra occupazione altrettanto attraente, dimenticherà il giocattolo che non ha potuto ottenere. Un altro metodo altrettanto efficace e quello di ignorare la crisi o isolare il bambino, impedendogli per esempio di uscire dalla sua camera. Di solito insistere per convincerlo, consolarlo, ragionare con lui o sgridarlo sono mezzi efficaci solo se affiancati da altri metodi. La regola aurea per i genitori e forse quella di stabilire dei modelli che i figli possano seguire e imporre poi questi modelli in modo abbastanza coerente, tenendo presente lo stato emotivo e fisico del bambino. I genitori dovrebbero ricordare cioè che un bambino stanco o indisposto e più sensibile alle frustrazioni e, quindi, e più incline alle crisi di collera. I modelli imposti, inoltre, non dovrebbero essere accantonati soltanto perché le convenienze o l’umore dei genitori lo richiedono. Dare ad Alice il giocattolo della sorella perché stia tranquilla finche c’é in visita zia Ruth non aiuta certamente la bambina a imparare che le regole vengono imposte in modo coerente. Perché un bambino impari l’autocontrollo e necessario che i genitori stessi si autocontrollino e siano abbastanza fermi e coerenti quando si sforzano di controllare l’aggressività del figlio.

Terapia educativa

L’educazione alcune volte non fa altro che rinforzare i sentimenti di colpa nel bambino, contribuendo così all’instaurarsi di paure ed alcune volte anche di bisogni autopunitivi.

Se tutto si limita a semplici dicotomie tra ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, non è possibile pensare che i piccolopossano crescere indipendenti e sicuri di sè. Può essere che essi arrivino a comportarsi bene solo per paura e solo un rinforzo positivo gli porterà ad agire al meglio, ma questo comportamento sarà da considerare a rischio, in quanto appena l’equilibrio precario salterà il bambino diventato adulto, avrà perso dei parametri di riferimento e di conseguenza potrà crollare.

Vi sarà quindi da parte di questi bambini diventati grandi un bisogno di affiliazione, di corporazione, ed ecco che nell’adolescenza sarà difficile individuare il singolo ma si potrà solo riconoscere il gruppo identificandosi così in un capo.

Il clima familiare in cui cresce il bambino e come l’aria che respira: entra in lui e i suoi effetti sono decisivi, poiché diventano parte integrante del suo carattere. Questo fatto e cosi importante che fa sorgere numerosi dubbi nei genitori più sensibili: sarebbe sufficiente, pero, seguire un comportamento equilibrato sereno e armonioso per essere certi di influire positivamente sulla formazione del carattere del proprio figlio. Lo psicologo tedesco Kurt Lewin, uno dei pionieri delle ricerche sui differenti tipi di “clima” e sulla loro influenza nel corso della formazione della personalità, ha cercato di codificare quelli che, secondo lui, sono gli elementi di un buon clima educativo.

Ecco i “comandamenti” che Lewin ha formulato per i genitori modello:

  1. dare al bambino un senso di sicurezza;
  2. dargli la sensazione di essere amato e desiderato;
  3. evitare la minaccia, la paura, la punizione;
  4. insegnare al bambino l’indipendenza e fargli assumere le sue responsabilità;
  5. rimanere calmi e non adirarsi per le manifestazioni istintive del bambino;
  6. essere il più tolleranti possibile per evitare inutili conflitti;
  7. evitare di far pesare al bambino il naturale stato di inferiorità;
  8. non spingere il bambino oltre quello che gli e naturale e oltre le sue possibilità;
  9. rispettare i sentimenti del bambino anche se non corrispondono alle nostre norme;
  10. rispondere francamente alle domande che il bambino pone, ma fornendo risposte adatte alla sua età;
  11. interessarsi a quello che il bambino fa, anche se non lo giudichiamo direttamente utile;
  12. affrontare le difficoltà del bambino, senza pensare che egli sia anormale;
  13. favorire la crescita e il progresso, piuttosto che la perfezione.

Questa serie di consigli non vuole essere un’elencazione rigida adatta a ogni genitore nei confronti di ogni loro figlio. Certamente, pero, il rispetto di una personalità in formazione e la base su cui impostare una “buona” educazione; l’affetto e la consapevolezza dell’importante compito che ci si e assunti, poi, aiuteranno a trovare i mezzi più idonei per assolverlo.

Dott. Rosalia Cipollina

 

MUTISMO SELETTIVO

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Il termine Mutismo Elettivo fu coniato nel 1934 da Tramer, sostituito poi con”Mutismo Selettivo”, per descrivere un preciso aspetto di alcuni bambini che utilizzano il linguaggio esclusivamente nello stretto ambito familiare caratterizzato dall’ “incapacità” del bambino di parlare in varie situazioni sociali. Non sono muti a causa di deficit di apprendimento, di autismo, di gravi disturbi dell’età evolutiva, di disturbi comportamentali opposizionali. Wilkins ha distinto il mutismo elettivo persistente, molto raro, dal mutismo elettivo transitorio, più frequente, collegato spesso con l’ingresso nella scuola dell’infanzia e lo inquadra nell’ambito dei disturbi emotivi in bambini con personalità nevrotica o con predisposizione genetica ai disturbi legati all’ansia. Circa il 90% dei bambini con MS rispondono ai criteri diagnostici del DSM-IV della fobia sociale. Il loro linguaggio corporeo è “impacciato” quando l’attenzione è rivolta verso di loro. Molti bambini girano la testa altrove, si toccano i capelli, guardano a terra, abbassano la testa, si nascondono in un angolo, si succhino il dito, o in genere trovano qualcosa con cui giocherellare. molti assumono uno sguardo “assente” o mostrano un volto “inesprssivo” e si comportano come se ignorassero l’altro, mentre, in realtà, sono così ansiosi e impauriti che letteralmente non riescono a rispondere. La scuola è di solito il luogo più difficile in cui stare per i bambini selettivamente muti. Gli insegnanti e i pari si aspettano che tutti i bambini partecipino alle attività scolastiche e di solito l’attenzione viene rivolta proprio verso coloro che non partecipano. Questo è piuttosto ironico se si pensa che l’ultima cosa che un bambino con MS vuole è attirare l’attenzione su di sé. “Fare pressioni”, “punire”, “costringere”, “corrompere” un bambino MS per farlo parlare è assolutamente controproducente e inopportuno. Agendo cosè si fa sentire il bambino ancora più ansioso e a disagio, e lo si fa regredire ulteriormente. L’obiettivo principale della scuola dovrebbe essere quello di fare tutto il possibile per far sentire il bambino rilassato e a suo agio. L’insegnante dovrebbe lavorare con i genitori per aiutarli ad alleviare quanto più possibile l’ansia, dovrebbe inoltre cercare di conoscere il bambino in modo assolutamente discreto e con disponibilità. In questo modo, molti bambini progrediscono più facilmente. L’obiettivo NON è di far già parlare il bambino, ma di consentirgli di sentirsi rilassato e a suo agio con voi. Sorridergli, fare cenni, sedergli vicino, parlargli dolcemente. Utile è incontrare il bambino a scuola la mattina prima dell’inizio delle lezioni. Il genitore dovrebbe portarlo a scuola il prima possibile, affinchè non si senta “oppresso” quando nella classe è presente contemporaneamente un altro gruppo di bambini, lasciando che il bambino osservi mentre l’insegnante conversa con la medre indirizzando la conversazione verso il bambino quando questi senbra più a suo agio. Non bisogna aspettarsi che risponda ma far capire che fa parte della conversazione e che ogni tipo di comunicazione non-verbale va bene. E’ importante non far mai sentire al bambino come se si aspettasse che parli, ciò provoca ansia. I bambini non vogliono sentirsi come se stessero deludendo l’insegnante.E’ importante, inoltre, non mostrare “eccessivo entusiasmo”per qualunque verbalizzazione dovesse verificarsi. Molto spesso parlerà prima con un suo pari,in questo casomai dire che “sentite” la sua voce perchè si rischia di allontanare il bambino. Insegnanti, genitori, professionisti qualificati dovrebbero studiare un “piano” comune per aiutare un bambino a superare il MS fatto di piccoli passi e affrontato con pazienza e fiducia.Non esiste una cura miracolosa tuttavia un lavoro cooperativo a scuola e in altri contesti sociali permettono al bambino di emergere gradualmente dal proprio stato d’ansia e di far fronte alle varie situazioni.

LINEE-GUIDA PER LAVORARE CON BAMBINI MS IN CLASSE

  • RIDUZIONE della paura: mai forzare il bambino a parlare,ma stimolare la relazione con i suo coetanei;
  • STIMOLARE la comunicazione non-verbale:attraverso simboli, gesti, cartellini. Questo aumenta la comunicazione generale, facilita il contatto sociale con i coetanei e fa sentire il bambino più sicuro di se stesso;
  • STIMOLARE l’interazione sociale: individuare coetanei adatti con cui far giocare il bambino, far lavorare in piccoli gruppi, pianificare attività dove non siano necessarie attività verbali e che stimolino la socializzazione;
  • STIMOLARE la comunicazione verbale: attraverso un piano comportamentale strutturato, rinfozando il comportamento interattivo e comunicativo,compreso il linguaggio.

Dott.Rosalia Cipollina

ESSERE PADRE

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Che cosa significa essere Padre ?

Lascio la “parola” a questi brani tratti dal libro di Kafka, Lettera al padre

“Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di avere paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te”

“(…) Questa sensazione di nullità che spesso mi domina deriva abbondantemente dalla tua influenza. Io avrei avuto bisogno di un po’ di incoraggiamento, un po’ di gentilezza, di qualcuno che mi lasciasse un po’ aperta la mia strada: invece me la sbarrasti, sicuramente con le migliori intenzioni, quelle di farmene imboccare un’altra. Ma io non ne ero capace”.

“Allora e dappertutto avrei avuto bisogno di incoraggiamento. Già ero schiacciato dalla tua nuda fisicità. Ricordo ad esempio come, frequentemente, ci spogliavamo assieme in cabina. Io magro, debole, sottile, tu forte, alto, massiccio. Già in cabina mi sentivo miserabile, e non solo di fronte a te, ma di fronte a tutto il mondo, perché tu eri per me la misura di tutte le cose”.

“Il coraggio, la risolutezza, la fiducia, la gioia per questo o per quell’altro non duravano fino in fondo se tu eri contrario o se la tua ostilità poteva essere anche soltanto percepita; e percepita poteva essere quasi per ogni cosa che facevo. Questo valeva per i pensieri come per le persone. Bastava che io nutrissi un po’ d’interesse per qualcuno – data la mia natura non accadeva tanto spesso – che tu, senza riguardo alcuno per i miei sentimenti e senza rispettare il mio giudizio, attaccavi con gli insulti, le calunnie, le umiliazioni. Dovevano pagarne le spese persone innocenti e infantili, come l’attore Jiddish Lowy. Senza conoscerlo, lo paragonasti in un modo orribile, che ho già dimenticato, ad uno scarafaggio (…)”.

Dott. Rosalia Cipollina

ENURESI NOTTURNA

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L’ enuresi notturna è un disturbo, più che una malattia, e consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in un’età (5-6 anni) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri. E’ un problema frequente che interessa il 10-15% dei bambini a 6 anni e che tende il più delle volte a risolversi spontaneamente (incidenza solo dell’1% negli adulti). Per enuresi notturna non si intende però la saltuaria e sporadica emissione di urine durante la notte, ma questo problema deve presentarsi con una certa frequenza (secondo alcuni autori è necessario un periodo di osservazione di almeno 2 settimane durante le quali il bimbo deve bagnare per almeno 3 volte a settimana, secondo altri l’osservazione va protratta per 3 mesi con almeno 2 notti bagnate alla settimana).
Nei bambini piccoli è normale bagnarsi la notte perché la vescica  urinaria non ha ancora raggiunto una piena maturazione sia del volume di urina che è in grado di contenere, sia dei meccanismi che permettono al bambino di controllare la fuoriuscita della pipì.

Cause
Sono diverse, tanto è vero che l’enuresi si distingue in:

Primaria: quando il bimbo non ha mai acquisito il controllo notturno. In questo caso l’enuresi si attribuisce a:
• un ritardo di maturazione della vescica urinaria in particolare viene imputata la ritardata maturazione dello sfintere vescicale, un piccolo muscolo che funziona da valvola della vescica e che impedisce alla pipì di fuoriuscire verso l’esterno. Questo controllo si acquisisce normalmente verso il quarto anno di vita.
• un insufficiente controllo ormonale: nel cervello esiste una ghiandola, l’ipofisi, che produce diversi ormoni. Uno di questi è l’ADH, che agisce facendo sì che la notte venga prodotta circa la metà della quantità di urina che viene prodotta di giorno. Ebbene si è visto che alcuni bambini enuretici hanno inizialmente bassi livelli di questo ormone, e che questi tendono a normalizzarsi in ritardo rispetto agli altri bambini.
Entrambi i meccanismi possono essere presenti e prevalere in misura variabile da bambino a bambino.

Secondaria : il bambino, dopo avere raggiunto il controllo della vescica urinaria per almeno 6 mesi, ha ripreso a fare la pipì a letto. Può dipendere da particolari situazioni emotive e stressanti (ad esempio la nascita di un fratellino, l’inserimento a scuola, tensioni familiari…).
Sintomatica : in questo caso l’enuresi compare come conseguenza di una malattia ad esempio un’infezione urinaria o in casi molto più rari diabete mellito, epilessia ecc.

Bambini più predisposti
In età pediatrica vi è una prevalenza nel sesso maschile, ma tale differenza scompare in età adulta. La caratteristica di avere un sonno molto profondo è comune ai bimbi enuretici. E’ stata inoltre dimostrata l’ereditarietà: se infatti uno dei genitori è stato enuretico da bambino, il rischio che anche il figlio ne sia affetto è aumentato.
L’enuresi diventa un problema dopo i cinque – sei anni (per la precisione 5 nella femmina e 6 nel maschio), ma l’età più giusta per prendere in considerazione un trattamento è dopo i 7 anni. Può essere opportuno ricorrere al trattamento anche di quei bambini che, pur non presentando il problema frequentemente, avvertono un significativo disagio soggettivo e compromissione delle normali attività di socializzazione.
Nella maggior parte dei casi il bambino ha problemi solo la notte, ma spesso sono presenti sintomi urinari anche di giorno: aspetta l’ultimo istante per andare a fare la pipì, bagna le mutandine, urina troppo spesso o troppo raramente, non svuota completamente la vescica, si accovaccia e stringe le gambine per trattenere la pipì ecc.

Terapie
Prima di decidere quale terapia sia più corretta per il bambino occorre considerare che l’enuresi è un fenomeno che si risolve, nella quasi totalità dei casi, spontaneamente. Gli interventi che vengono attuati sono tesi ad accelerare la maturazione del controllo della vescica e/o a ridurre il volume totale di liquidi che arrivano alla vescica urinaria durante la notte. Il fine è quello di permettere al bimbo di condurre una vita normale affinché non debba per esempio rinunciare ad occasioni quali campeggi, gite scolastiche, soggiorni in casa di amici, e di evitare che il bambino possa manifestare un disagio a livello psicologico. La terapia può essere di 2 tipi, farmacologica o comportamentale: sta al medico decidere quale sia più adatta al singolo paziente.

Tecniche comportamentali:
• sistemi di allarme: in pratica quando il bimbo va a dormire viene collegato a un piccolo apparecchio a pila. Appena inizia l’emissione incontrollata di urina si ha l’attivazione di una suoneria che sveglia il bambino che può così completare la minzione in bagno. Si ha in tal modo un apprendimento graduale della continenza notturna. Fondamentale è in questo caso naturalmente la collaborazione del bambino.
Se il bambino presenta disturbi anche di giorno occorre fare altro. In caso di frequenti sintomi diurni associati è opportuno procedere a quella che viene chiamata “rieducazione minzionale”, una specie di ginnastica per abituare la vescica a svuotarsi nei tempi e modi corretti. Analogamente si dovrà risolvere una eventuale stitichezza se associata.
• Spiegare al bambino che non appena sente il bisogno di fare pipì deve andare in bagno e, se come il più delle volte accade si rifiuta, programmare almeno 6 momenti della giornata in cui portarvelo.
• A volte è utile abituarlo a gestire il suo bisogno contando fino a 10 prima di iniziare a urinare. Questo lo aiuta a prendere coscienza della propria capacità di controllare lo stimolo.
• Invitarlo a svuotare completamente la vescica: non accontentarsi di poche quantità di urina.
• Per le femmine è importante urinare a gambe ben aperte senza mutandine o con queste ben abbassate.
• Abituare il bimbo ad effettuare ogni giorno minzioni corrette per favorire il controllo della vescica.

Guida per i genitori:

  • il bambino non va mai sgridato: è dimostrato che il rimprovero aggrava la situazione, mentre un atteggiamento comprensivo la migliora
  • nel caso che anche i genitori abbiano sofferto di enuresi, comunicarlo al bambino può avere per lui un effetto rassicurante. Infatti il sapere che anche il papà o la mamma hanno avuto lo stesso problema e lo hanno superato è per lui di conforto e aiuta la guarigione
  • svegliare la notte il bambino per farlo urinare non solo non serve a nulla ma può essere controproducente ed avere una valenza punitiva: meglio mettere un pannolino
  • sapere riconoscere gli eventuali sintomi diurni associati e riferirli al medico: attuare eventualmente con attenzione la rieducazione minzionale
  • in ogni caso abituare il bambino a bere poco la sera per non aumentare il volume di urina nella vescica
  • controllare che prima di andare a letto il bambino svuoti completamente la vescica.

Dott. Rosalia Cipollina

DEPRESSIONE INFANTILE

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La depressione intesa come sintomo si riferisce a un tono dell’umore caratterizzato da tristezza, uno stato d’animo che può pervadere di tanto in tanto la vita di un bambino, spesso per problemi contingenti, quali complicazioni scolastiche, difficoltà ad essere accettato dai coetanei, problemi nell’ambito della famiglia.
La depressione intesa invece come sindrome clinica, in età evolutiva è spesso associata ad eventi particolarmente stressanti quali:

malattia personale (allergie, asma, gravi problemi organici)

ambiente domestico disagiato (confusione, sporcizia, rumorosità)

grave malattia di un genitore o un fratello

ambiente scolastico sfavorevole (competitività, insegnanti inadeguati, compagni prepotenti)

Bisogna tenere presente che la tristezza, in età evolutiva, può esser spesso collegata a una condizione di bassa autostima, un problema che si riscontra frequentemente durante la pubertà e l’adolescenza, in associazione a difficoltà relazionali. In questi casi è improprio parlare di depressione , in quanto siamo in presenza di lievi disturbi dell’umore che sembrano insorgere per cause psicosociali.

Oltre all’umore triste, col termine “depressione” ci si riferisce ad una costellazione di comportamenti che possono includere una perdita di interessa per molte attività, cambiamenti delle abitudini alimentari, senso di stanchezza, agitazione psicomotoria, diminuita capacità di concentrazione, alterazioni del sonno, idee di suicidio. Quando questi sintomi si verificano con un’intensità maggiore di quanto ci si potrebbe aspettare nel caso di disturbo distimico, allora si può ipotizzare un quadro diagnostico corrispondente all’episodio depressivo maggiore.

Un altro disturbo depressivo meno frequente in età evolutiva è il disturbo maniaco-depressivo, detto anche disturbo bipolare. Bambini e adolescenti affetti da tale disturbo attraversano periodi di iperattività, specialmente durante la fase maniacale ed è molto probabile che mostrino comportamenti aggressivi e antisociali seguiti da gravi alterazioni dell’umore di natura ciclica.
Vari studi hanno dimostrato che bambini e adolescenti possono manifestare il sovrapporsi di sintomi di depressione, di ansia, di disturbo della condotta e di disturbo oppositivo- provocatorio.

Alcune ricerche hanno individuato una serie di sintomi che possono comparire sia nella depressione che nell’ansia. Essi sono: irritabilità, difficoltà a dormire, mancanza di concentrazione, agitazione, irrequietezza, senso di stanchezza. Dato il parziale sovrapporsi della sintomatologia non deve sorprendere l’esistenza di un’elevata correlazione tra questionari misuranti il livello di ansia e quelli misuranti il livello di depressione. Nella pratica clinica si riscontra spesso la presenza di problemi di ansia in bambini che sono stati presi in trattamento per un disturbo depressivo, così come non è raro riscontrare un umore depresso in bambini per i quali lo scopo del trattamento era un disturbo d’ansia.
Al fine di massimizzare l’efficacia del trattamento è utile considerare le somiglianze e le differenze esistenti tra queste due categorie di disturbi.
Per quanto riguarda una prima differenziazione sul piano dell’affettività è stata proposta una distinzione che prende in considerazione la positività e la negatività generale delle emozioni sperimentate.
Si è riscontrato che l’ansia è caratterizzata dalla dominanza di affettività negativa (paura, nervosismo, irritazione) malgrado siano presenti anche nei momenti di affettività positiva (eccitamento, entusiasmo, gioia). La depressione invece è caratterizzata dalla dominanza di affettività negativa (tristezza, angoscia, colpa) e da una quasi totale assenza di affettività positiva. Queste osservazioni ci fanno supporre che un bambino ansioso (ma non depresso) ,malgrado esperisca un certo ammontare di emozioni negative, conservi ancora la capacità di divertirsi e di trovare piacere in molte cose. D’altro canto, invece, un bambino che abbia contemporaneamente un problema di ansia e di depressione vivrà una condizione doppiamente sfavorevole, in quanto si troverà a vivere una gran quantità di emozioni negative senza quasi mai avere il sollievo di qualche parentesi emotiva piacevole. Sotto il peso di tale sofferenza, il bambino depresso e ansioso perderà la motivazione a impegnarsi in qualsiasi attività, peggiorando ulteriormente la propria situazione.
Altre considerazioni sulla differenziazione cognitiva dell’ansia e della depressione possono essere effettuate dal punto di vista dello stile attributivo. Si è notato, ad esempio, che nelle situazioni ansiogene i bambini depressi tendono ad effettuare attribuzioni del tipo interno (“Sono io la causa di ciò”) in misura molto maggiore rispetto ai bambini che sono semplicemente ansiosi, ma non depressi. Per facilitare un più rapido cambiamento nel tono dell’umore ed un maggior coinvolgimento nella gestione dell’ansia risulterà allora particolarmente efficace il ricorso ad attività di “verifica empirica” in cui gli assoluti attributivi possono essere messi alla prova e contestati
Gli studi condotti al fine di individuare le caratteristiche cognitive dei bambini e degli adolescenti depressi concordano nell’evidenziare la tendenza ad effettuare distorsioni nella valutazione di sé e nell’interpretazione di eventi presenti e passati. I bambini depressi tendono inoltre ad effettuare attribuzioni negative in misura molto maggiore rispetto a soggetti della stessa età che non presentano sintomi clinici. Alcuni autori hanno dimostrato che nei bambini con diagnosi di disturbo depressivo prevale la tendenza a manifestare un “locus of control” di tipo esterno. Essi cioè non si ritengono capaci di poter influenzare il verificarsi o meno di certi eventi attraverso il proprio comportamento
Concludendo, fondamentale è l’attività preventiva nei confronti della depressione infantile sia di tipo primario, cioè cogliendo i segnali di un’insorgenza della stessa, sia di tipo secondario evitando le situazioni a rischio sopraelencate.

Dott. Rosalia Cipollina

BALBUZIE INFANTILE

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La balbuzie è un disordine del ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono. Consiste in contrazioni spastiche, a carico delle funzioni, della regolarità e del ritmo della muscolatura fonorespiratoria. Essa è un disturbo del linguaggio, tale disturbo è multifattoriale, dipende dalla personalità con rilevante componente psicologica e ambientale, caratterizzato da un’alterazione del ritmo verbale e da un vissuto emotivo condizionato dall’espressione verbale. La balbuzie è sempre e dovunque un disturbo della “relazione verbale” in situazioni di comunicazione perchè un bambino non balbetta giocando e parlando da solo.

TIPOLOGIA

Una sintetica classificazione delle varie forme di balbuzie in età infantile non è così facile, anche perché non esistono al mondo due bambini che balbettano allo stesso modo. Gli studiosi hanno comunque classificato tre differenti tipi di balbuzie, facendo riferimento alla particolare configurazione del “blocco” e al suoni caratteristici che il blocco verbale manifesta nello sforzo articolatorio:

Forma Clonica: Il fenomeno è classificato clonico se comporta la ripetizione di una o più parti iniziali, interne o finali di una parola. E’ solitamente la forma più frequente con cui la balbuzie si manifesta nell’età infantile;
Forma Tonica: Il fenomeno è classificato tonico se si manifesta all’inizio della parola con difficoltà di pronuncia e, nei casi più severi, comporta un vero e proprio “blocco” nella fluenza verbale del bambino;
Forma Palilalica o Mista: un mix delle due forme precedenti caratterizzata dalla presenza di prolungamenti, tonicità e ripetizioni cloniche.

ORIGINI

La Balbuzie non è un fenomeno unico ma bensì determinato a diversi livelli da fattori sia fisiologici che psicologici, sia genetici che derivanti da variabili ambientali. Tutti queste variabili possono giocare un ruolo importante nell’insorgere della balbuzie e può risultare estremamente difficile determinare a priori quale di queste concause sia quella prevalente. Solo un approccio terapeutico di tipo multi-disciplinare permette di valutare e comprendere le variabili che possono entrare in gioco in presenza di fenomeni di balbuzie nell’età infantile.

Come disturbo della relazione e della comunicazione di origine psicologica, la balbuzie esordisce talvolta improvvisamente in età infantile nutrendosi di situazioni traumatiche o avvertite come tali (nascita di un fratellino, situazioni di anaffettivà, perdita di sicurezza, traumi, precari inserimenti), insieme a relazioni difficili e ansiogene avvertite dalla sensibilità del bambino nei primi anni di vita. Altre volte si inserisce nel linguaggio gradualmente insieme ai tentativi del bambino di pronunciare vocaboli e termini foneticamente complessi (tali esitazioni prendono il nome di disfluenze specifiche).

In genere l’intervento di una situazione reattiva (scatenante) rompe il delicato equilibrio psico-emotivo del bambino dando alla balbuzie (sintomo), caratterizzata da pause, interruzioni, prolungamenti, ripetizioni di sillabe o di singoli fonemi, la possibilità di rappresentare ai genitori uno scompenso interno, un disagio latente della personalità e della relazione (balbuzie-sindrome).

Riguardo l’età infantile possiamo affermare che il bambino sceglie (inconsciamente) tra gli innumerevoli sistemi di comunicazione di cui dispone (sistemi non-verbali) una modalità (la parola bloccata, il linguaggio esitante) che gli garantisce una “cassa di risonanza” sicura per attrarre l’attenzione dei genitori, per comunicare il suo stato interno, per “dire” all’adulto del suo disagio riguardo eventi particolari o avvertiti come ansiogeni.

Oggi le differenti argomentazioni sulle cause della disfluenza possono essere suddivise in tre gruppi principali:

Cause Organiciste: la normale fluenza viene ostacolata da un quadro logopatico instabile, da lesioni cerebro-corticali, da insufficienze dell’apparato fonatorio.
Cause Psicogenetiche: la disfluenza del linguaggio ha origine intima, nervosa e il fenomeno, fortemente intermittente, aumenta sistematicamente in situazioni intensamente emotive.
Cause Linguistiche: il normale flusso verbale viene interrotto a causa di incertezze terminologiche, sintattiche e grammaticali, costringendo il bambino a continue varianti rispetto alla elaborazione primaria del pensiero.
In alcuni casi parlare più correttamente di cause imitative, in quanto è ampiamente dimostrata la maggior predisposizione alla balbuzie dei bambini nati in realtà familiari ove vi siano soggetti affetti da tale disturbo.

Alcuni studiosi hanno presentato lavori che dimostrano in modo attendibile un coinvolgimento del sistema nervoso centrale (snc) e hanno quindi avallato la componente neuro-fisiologica della balbuzie.

Si può ritenere che tutte le teorie sopra esposte abbiano un fondamento e che non esiste una balbuzie costantemente specifica e univoca. I fenomeni spesso si sovrappongono e si intersecano nelle forme più svariate ed è per tale motivo che ogni bambino ha un suo personale modo di balbettare, ora minimamente ora più seriamente, a seconda delle circostanze ambientali o emotive.

Nessun bambino nasce con il problema della balbuzie, ma questa si manifesta solo in un secondo momento. Parlare non è cosa facile, e per un bambino lo è ancor meno. E’ assolutamente normale per un bambino di pochi anni avere qualche difficoltà nel trovare la giusta coordinazione fisica, intellettuale ed emotiva necessaria ad un linguaggio fluente. Il bambino che balbetta mostra maggiori difficoltà a controllare i processi di produzione della parola, richiedendo tempi maggiori per coordinare ed organizzare l’atto verbale.

Se è vero che verso i 3/4 anni tutti hanno dei fenomeni di disfluenza dovuti all’apprendimento del linguaggio, è altrettanto vero che, sempre in questo periodo, possono iniziare a manifestarsi fenomeni di vera balbuzie.

Tutti noi abbiamo delle disfluenze occasionali, quando siamo nervosi o emozionati.

Nonostante ciò vi è ancora nella nostra nazione chi considera colui che balbetta come un individuo anormale psichicamente ed eccessivamente emotivo. Ciò non è vero! In realtà gli studi condotti hanno dimostrato che i bambini affetti da balbuzie sono soggetti del tutto normali psichicamente, e con una grandissima sensibilità; inoltre molti terapeuti sostengono che il bambino con problemi di balbuzie ritenuto ha spesso un quoziente intellettivo nettamente superiore alla media.

Spesso i bambini manifestano nel linguaggio uno stress emotivo eccessivo, e ciò è sempre più causato dai ritmi frenetici della loro vita. E’ verso i tre/quattro anni che i bambini manifestano le prime imperfezioni nella fluenza verbale, con ripetizioni o prolungamenti di suoni. Tali imperfezioni nella parola, chiamate dis-fluenze, possono essere del tutto normali e generalmente, con il passare del tempo, tendono a scomparire naturalmente.

Purtroppo anche la vera balbuzie, o dis-fluenza anormale, è un disturbo che generalmente insorge nell’età infantile, collocandosi tipicamente nel periodo 4-6 anni.

TERAPIE

Molto si può fare, anche a livello terapeutico, per migliorare la fluenza verbale di un bambino che balbetta. L’obiettivo primario, specie su bambini dai 3 ai 7 anni, è evitare che la balbuzie diventi nel tempo troppo severa e si “cronicizzi”, adoperandosi quindi per mantenerla ad un livello “gestibile” dal bambino e da coloro che lo circondano.

Ci sono molte persone al mondo che convivono felicemente con la propria balbuzie e per molte di esse, riuscire a controllarla e a mantenere un soddisfacente grado di fluenza verbale può già essere considerato un grande successo terapeutico.

Catalogando i vari “approcci terapeutici” si possono indicare due gruppi principali di tecniche:

Tecniche Logopediche e Foniatriche
Tecniche Psicologiche
Tecniche Miste

Le tecniche Logopediche/Fonoiatriche cercano di agire direttamente sul sintomo migliorando e regolando: la coordinazione del sistema pneumo-fono-articolatorio , l’atto respiratorio, la ripetizione sillabica , la ritmica del linguaggio, l’articolazione dell’atto fonatorio e la coordinazione muscolare.

Le tecniche psicologiche hanno come obiettivo il rafforzamento dell’Io e partono dalla convinzione che sia la repressione di impulsi non coscienti a generare i problemi di controllo dei logo-spasmi. Le tecniche psicologiche si propongono di far evolvere la personalità del bambino considerando come cause principali della balbuzie l’angoscia, il carico emotivo e il senso di solitudine.

Le tecniche miste partono dal presupposto che la balbuzie non ha quasi mai un’unica causa ma è generalmente determinata da un “mix” di fattori inconsci, educativi, sociali, fonetici, motori, emotivi, sociali, culturali, ereditari, ecc. Per tale motivo occorre utilizzare un metodo terapeutico che faccia uso sia di tecniche Logopediche/Fonoiatriche che di tecniche Psicologiche, con modalità e “dosi” differenziate per ogni bambino a secondo della propria specifica patologia e della propria “storia”.

Il ruolo dei genitori quali educatori e primi terapeuti nei confronti della balbuzie infantile è fondamentale. Occorre sopratutto comprendere le difficoltà del figlio ed aumentare l’interazione con esso, ponendoci al di la del sintomo e operandoci per migliorare continuamente la nostra qualità di comunicazione. I genitori possiamo intraprendere tutta una serie di azioni e di comportamenti educativi tesi a favorire la fluenza verbale dei nostri figli. Occorre sopratutto aumentare le “abilità sociali” (social skill) dei bambini.

Non appena si sospetti che le disfluenze del proprio figlio siano più serie del normale occorre rivolgersi ad uno specialista del linguaggio, verificando però che questi abbia una specifica esperienza di studio e di lavoro sulla balbuzie.

Dott. Rosalia Cipollina