CONTRIBUTO UTILE SULL’AUTISMO

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Non sono una giornalista.

Le volte che ho impugnato la penna, o più esattamente che ho cominciato a battere, spesso con rabbia, sulla tastiera del computer, l’ho fatto per rispondere a chi, per motivi che continuo a non capire, vorrebbe convincerci che nulla può essere fatto per combattere il male oscuro che impedisce ai nostri figli di aprirsi al mondo circostante, di guardarci negli occhi, di comprendere le nostre parole e di farci ascoltare la loro dolcissima voce.
Queste persone, che spesso sono medici, o presidenti di associazioni di genitori di bambini autistici, o che comunque rappresentano dei disabili, vogliono farci credere che siamo degli illusi, che stiamo buttando via tempo energie e soldi(purtroppo tanti), in cure che non possono aiutare i nostri figli, e lo fanno con una arroganza e una presunzione tale, da mettere in fuga quei genitori che stanno ancora cercando di orientarsi dopo aver ricevuto il colpo di una diagnosi terribile, e che vorrebbero dare un futuro migliore ai loro piccoli.
Qual’è il risultato di tutto questo?
Che molti, moltissimi autistici non ricevono le cure di cui avrebbero bisogno, e perdono così l’opportunità di avere una vita migliore, se non addirittura di uscire dalla diagnosi di autismo. E che noi genitori che stiamo invece curando i nostri figli, siamo costretti a continuare a pagare di tasca nostra, i trattamenti biomedici e comportamentali che dimostrano invece di essere efficaci a trattare
questa “malattia”.
Ma è davvero una malattia quella che stiamo combattendo?
I Neuropsichiatri dicono di si, è pretendono di trattarla con gli psicofarmaci come se fosse una malattia mentale.
Non essendo però riusciti, “drogando i bambini”, a ottenere la remissione della malattia stessa, sono giunti alla conclusione che essa è incurabile. Inutile dire che questa versione è quella accettata dal Sistema Sanitario Italiano. Essa fornisce una comoda scusa per continuare a lasciare le famiglie dei soggetti autistici sole con i loro problemi.
Gli scienziati del D.A.N., e gli altri che come loro lavorano per trovare ogni giorno nuove cure, hanno verificato che alla base di tutto c’è un gravissimo stato di intossicazione, che ha reso il sistema immunitario dei soggetti autistici incapace di reagire in maniera adeguata, e che ha danneggiato in maniera grave molti processi metabolici col risultato che i processi mentali risultano anch’essi compromessi. Tutto ha avuto inizio grazie all’utilizzo di un conservante a base di mercurio utilizzato nei vaccini destinati all’infanzia, il Thimerosal. Esso si è insinuato all’interno dei tessuti grassi dell’organismo, e in particolare nel cervello dove i suoi effetti risultano purtroppo disastrosi ed evidenti. Basta infatti confrontare i sintomi autistici con quelli tipici dell’intossicazione da mercurio, per vedere che essi coincidono in maniera impressionante. Questo metallo, che ricordo è la seconda sostanza piu tossica del pianeta, ha inoltre la capacità di bloccare la naturale capacita dell’organismo di eliminare gli altri metalli pesanti, e ne favorisce quindi l’accumulo nell’organismo accentuando ulteriormente l’effetto neurotossico generale. A complicare il tutto ci si mettono anche i virus, anche loro hanno avuto ed hanno un ruolo importante nell’insorgenza della sindrome autistica. L’idea geniale di fare dei micidiali cocktail mescolando e inoculando insieme ceppi diversi di virus, rappresenta un ulteriore e grave insulto al sistema immunitario del bambino. La cosiddetta trivalente è uno di questi, ma ancora non basta; per ignoranza e pressapochismo, insieme ad essa possono anche venire somministrati altri vaccini, ognuno con la sua micidiale dose di Thimerosal. Roberto, il mio bambino che ora ha quattro anni, ha ricevuto addiritura sette diversi ceppi di virus in un’unica somministrazione, sarà un caso che è diventato autistico?
Sembrerebbe una situazione senza uscita, ma per fortuna non è così; i problemi metabolici possono essere corretti normalizzando carenze ed eccessi. Per farlo in maniera adeguata (visto che gli scompensi sono spesso molto diversi da bambino a bambino) bisogna sapere esattamente cosa bisogna correggere. Dopo aver eseguito numerose analisi, molte delle quali (neanche a dirlo) non sono disponibili in Italia (dobbiamo rivolgerci a nostre spese a laboratori Americani opportunamente attrezzati) si riesce ad avere un quadro della situazione. Si passa quindi alla dieta priva di glutine e caseina, e alla difficile cura della Candida Albicans, troppo spesso sottovalutata da moltissimi medici, e presente invece nell’intestino dei nostri piccoli in una forma devastante capace di insinuarsi in profondità nelle pareti intestinali fino a realizzare delle minuscole perforazioni. L’intestino diventa quindi permeabile, e questa situazione è causa di intolleranze alimentari, e di perdita di importanti nutrienti che non vengono assimilati in quantità sufficiente. Viene inoltre aperta la strada alle particelle indigerite di alcuni alimenti, che in questo modo riescono a entrare nel circolo sanguigno dove diventano tossiche. Il tutto insieme alla presenza di alcuni virus contribuisce a mantenere un grave stato di infiammazione intestinale che è causa di atroci sofferenze per i nostri piccoli. La perdita dei nutrienti viene contrastata grazie alla supplementazione di Vitamine , enzimi, minerali, probiotici e quant’ altro serve a normalizzare la situazione metabolica e immunitaria e a riparare le pareti intestinali. In seguito quando la situazione lo permette si ricorre alla chelazione per rimuovere i metalli tossici.
Ma chi paga per tutto questo? Come sempre noi genitori che ci vediamo anche costretti a farci spedire dall’estero i supplenti perchè non sono disponibili in Italia.
Queste cure non sono riconosciute dal sistema sanitario nazionale, perchè a detta di alcuni suoi autorevoli esponenti non sarebberero scientificamente validate in doppio cieco.
Ma cosa prevede questo sistema cosi scientifico di validazione?
Che a un gruppo venga fatto seguire un trattamento pressoche identico(identiche somministrazioni delle sostanze in esame), e che ad un gruppo di controllo venga invece somministrato un placebo. Dal confronto dei diversi risultati si arriva alla validazione o meno del trattamento. Ma come abbiamo già detto in precedenza l’obiettivo che si prefigge il D.A.N. e la normalizzazione di alterazione metaboliche, che variano, analisi alla mano, notevolmente da bambino a bambino, e che prevede quindi trattamenti personalizzati che non possono non tenere conto delle diverse necessità individuali.
Quello che aiuta un bambino può essere addirittura dannoso se somministrato ad un altro, quali risultati ci sarebbero se venisse meno la personalizzazione come prevede invece la metodica di validazione in doppio cieco?
La realtà è che i nostri bambini opportunamente trattati migliorano, e ricominciano faticosamente ad aprirsi al mondo circostante, a guardarci, e a sorridere. Qualcuno di loro ricomincia a parlare come faceva prima che l’autismo lo rapisse e può cosi raccontarci quanto fosse terribile la sofferenza fisica che accompagnava il suo stato, ma la maggior parte di loro ha bisogno di essere ulteriormente aiutato. Le fasi evolutive che avrebbero dovuto essere raggiunte non si sono verificate, e il perdurare dell’intossicazione ha danneggiato alcune aree del loro cervello, che devono essere opportunamente stimolate per ritornare a funzionare correttamente. E a questo scopo che servono le terapie comportamentali come l’A.B.A. e la logopedia specializzata nel trattamento dell’autismo. Esse risultano indispensabili per riparare, e per far muovere più velocemente quell’ orologio che si era fermato, per insegnare ai nostri figli a giocare, e per fargli conoscere e capire quel mondo che per tanto tempo gli è stato negato.
C’è bisogno di dedicare a questi trattamenti moltissimo tempo dedizione e pazienza, e continuare in ogni momento della giornata a lavorare con i nostri nostri bambini. L’A.B.A. prevede per essere realmente efficace un trattamento di circa quaranta ore settimanali, è una metodica scientificamente validata, ma ancora una volta le famiglie si ritrovano da sole a doverne sostenere tutti gli oneri.
Nei vari centri distribuiti sul territorio, ad eccezione di pochi progetti sperimentali, tale terapia non viene resa disponibile a causa dell’alto costo che essa comporta per le istituzioni.
E’ per denunciare questo continuo stato di abbandono in cui versano le famiglie dei soggetti autistici e per ottenere gratuitamente le cure Biomediche e Comportamentali a cui essi hanno diritto che è nata l’associazione Onlus Area Genitoricontroautismo, di essa parte attiva e integrante i genitori del portale www.genitoricontroautismo.org a cui circa 3000 famiglie fanno riferimento e che da anni si batte per fare arrivare a tutti i genitori il messaggio che l’autismo è trattabile.
Diversi bambini hanno già perso la diagnosi di autismo, moltissimi altri la perderanno, e questa è, e sarà la migliore riposta a quanti si ostinano a mantenere posizioni assurde e dannose.

Quello che vogliamo è che la parola “autismo”, diventi solo un obsoleto termine medico, su qualche polveroso testo di medicina. Moltissimo può essere fatto per prevenire e per curare, ma perchè questo si realizzi abbiamo bisogno di essere ascoltati dalle istituzioni, e abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per riuscire in questo difficile compito.

Atturi Loretta

LINEE GENERALI PER UNA VACCINAZIONE SICURA E CONSAPEVOLE
Autism Research Institute – San Diego

Area – GCA (genitori contro autismo), un’associazione di genitori impegnata nella diffusione di informazioni per la prevenzione e cura dell’Autismo, intende sottoporre all’attenzione dei Pediatri Italiani questa lettera aperta scritta da Bernard Rimland, Ph.D., Direttore dell’Autism Research Institute (ARI) di San Diego Fondatore dell’Autism Society of America, società che coordina circa 400 medici e scienziati e collabora con cinque Università nella lotta e nella ricerca contro l’autismo.

Di Bernard Rimland, Ph.D:

Siamo nel mezzo di un’ enorme epidemia mondiale di autismo: 1 caso su 166.

Nel 1995 scrissi un articolo per l’ Autism Research Review nel quale usai, credo, per la prima volta il termine “epidemia di autismo”. Richiamavo l’attenzione su vari indicatori che suggerivano che le proporzioni dell’autismo stavano aumentando in misura allarmante e mi lasciavano ritenere che stavamo cominciando ad osservare un’epidemia di autismo. Fui immediatamente attaccato dalle autorità mediche, che erano invece certe che non ci sarebbe stata alcuna epidemia. Quando un giornalista chiese ad un professore di Psichiatria di una delle più famose università di Medicina americane che cosa pensasse dell’idea di Rimland che c’era una epidemia d’autismo, il professore rispose dicendo “Stupidaggini! L’autismo è un disturbo genetico e quindi non può esserci alcuna epidemia di autismo”.
Altri attaccarono l’idea di epidemia dicendo che l’aumento non era reale, ma solo dovuto a una maggiore consapevolezza diagnostica sull’autismo.
E’ ora perfettamente chiaro, riconosciuto dalle stesse autorità e istituzioni che prima la negavano, il fatto che l’epidemia di autismo è molto reale e molto molto grave.
Cominciai a studiare l’autismo nel 1958, quando mia moglie ed io diagnosticammo nostro figlio che allora aveva 2 anni come autistico. A quei tempi l’autismo era estremamente raro, contando forse solo uno o due casi ogni 10.000 nati vivi. Il nostro pediatra, che lavorava nel campo da 35 anni, non aveva mai sentito di un bambino come il nostro. Nel 1989, dopo aver esaminato tutte le evidenze disponibili, raggiunsi la conclusione che l’autismo era aumentato fino a raggiungere la proporzione di
circa 4.5 casi ogni 10.000 nati vivi.
Le statistiche più recenti, fornite dall’ U.S. Centers for Disease Control e dall’ American Academy of Pediatrics – istituzioni che avevano negato la realà’ dell’epidema – rivelano una rapporto di 60 casi di autismo ogni 10.000 nati. Un bambino ogni 166 – un enorme incremento nella diffusione!
Nel mio articolo del 1995, quando per primo proposi l’idea dell’epidemia di autismo, menzionai tre possibili cause per l’epidemia. Sono passati dieci anni da quando scrissi il mio articolo originario sull’epidemia e continuo a credere che i fattori causali potrebbero essere: incremento nell’uso degli antibiotici, vaccinazioni e inquinamento ambientale. Oggi, comunque, metterei le vaccinazioni in cima a questo elenco.
Nel 1995 non sapevo che la maggior parte dei vaccini contenessero mercurio, sebbene sapessi che l’avvelenamento da mercurio produce nei bambini gli stessi sintomi dell’autismo.
Moltissime ricerche e studi si sono avviate dal 1995, e ciò che è cambiato è che i tre fattori da me menzionati sono molto più strettamente collegati di quanto avevamo supposto dieci anni fa.
Per esempio, c’è una forte interazione tra antibiotici e vaccinazioni: i bambini a cui sono stati dati antibiotici nel periodo delle vaccinazioni sono stati colpiti 10 volte di più dal conservante al mercurio nei vaccini rispetto a quelli cui non sono stati somministrati antibiotici. Certo è che gli antibiotici amplificano enormemente la tossicità del mercurio che è usato come conservante nei vaccini. Allo stesso modo, il mercurio è la maggiore fonte di contaminazione degli alimenti. Per esempio, molti pesci che sono importanti nella dieta di tante persone nel mondo, sono ora pesantemente contaminate con il mercurio.
Sappiamo che ci sono enormi differenze genetiche tra le persone, essendo alcune capaci di tollerare 10.000 volte più mercurio di altre, apparentemente senza effetti dannosi. Sappiamo che i maschi sono quattro volte più sensibili delle femmine al mercurio, cosa che può spiegare il perchè troviamo quattro volte più autistici tra i ragazzi rispetto alle ragazze.
Così, abbiamo una epidemia di autismo mondiale in atto, abbiamo alcune idee su ciò che causa l’autismo, ma che cosa facciamo in termini di prevenzione?
La maggior parte dei medici dell’Autism Research Institute non sono contro le vaccinazioni, che considerano una delle maggiori conquiste della medicina moderna che ha portato al completo sradicamento di alcune gravi malattie infettive, salvando un infinito numero di vite.
Crediamo però che i vaccini dovrebbero essere più sicuri e suggeriamo attenzione nella loro somministrazione con le seguenti linee guida generali:

LINEE GUIDA PER GENITORI E MEDICI PER VACCINARE IN SICUREZZA

1. Utilizzare solo vaccini senza Thimerosal;

2. L’unico modo per sapere con certezza se un vaccino è senza Thimerosal o mercurio è leggere attentamente il bugiardino, la scatola e la fiala: è certo che i vaccini contenenti mercurio vengano ancora prodotti o distribuiti!! Dovete essere sicuri al 100%! Nota: ho sentito dire moltissime volte che genitori, professionisti ed altri hanno indicato che il Thimerosal è stato rimosso dai vaccini dal 1999. Per piacere accertatevi di leggere con i vostri occhi le informazioni riportate sul bugiardino, sulla scatola e sulla fiala! Produttori diversi metteranno le informazioni in POSTI DIVERSI.

3. Evitare tutti i vaccini combinati se non necessario;

4. Distanziare le vaccinazioni – non somministrare vaccinazioni multiple nello stesso giorno. (Questo vale anche per le singole dosi contenenti molteplici virus! Dividete le somministrazioni!);

5. Separare le 3 componenti del vaccino MMR: iniziare con il morbillo tra i 12-15 mesi, parotite a 18-21 mesi, rosolia a 24-27 mesi;

6. Utilizzare vaccini contenuti in fiale monodose piuttosto che quelli contenuti il fiale multidose, che contengono dosaggi meno uniformi;

7. Non vaccinare i bambini appena nati. Quando arriva il momento delle vaccinazioni, stabilite un programma di vaccinazione più lento, nel rispetto delle politiche di sanità pubblica;

8. Evitare di vaccinare ancora dopo una precedente reazione negativa;

9. MAI vaccinare bambini ammalati o bambini appena guariti da un’infezione;

10. Utilizzare il virus della polio inattivato (la puntura e non la somministrazione orale);

11. Non somministrare vaccini contenenti virus vivi in bambini immunosoppressi;

12. Non somministrare vaccini in caso di allergia a questi componenti:
• Lievito – Epatite B;
• Uova – MMR ;
• Neomicina – MMR o Varicella;

13. Evitare il vaccino della varicella fino a 10-12 anni e se il bambino non si mostra immune alla Varicella;

14. Verificare l’immunizzazione prima di eseguire i richiami (molte persone diventano immuni dopo una sola dose. Si continuano a somministrare dosi multiple CHE POTREBBERO NON ESSERE NECESSARIE. Verificare gli anticorpi mediante le analisi del sangue per il controllo dell’immunizzazione);

15. Somministrare vitamina C, 150 – 300 mg due volte al giorno secondo l’età, per tre giorni prima e tre giorni dopo la vaccinazione;

16. Somministrare vitamina A (1250 – 5000 I.U. a seconda dell’età. La fonte migliore è il Cod Liver Oil) per tre giorni prima e tre giorni dopo la vaccinazione.

http://www.genitoricontroautismo.org

Questa lettera è un appello a quelli tra voi che possono sfruttare il potere dei media per fare del bene, per dire la verità e migliorare la vita di tanti bambini ammalati di Autismo. Questi bambini hanno bisogno di voi!

L’AUTISMO E’ TRATTABILE

L’Autismo è una disabilità dello sviluppo che in genere comporta ritardo e danni nelle abilità sociali, nel linguaggio e nel comportamento; è uno “spectrum disorder”, cosa che significa che colpisce le persone in modo differente. Alcuni bambini possono parlare, altri invece hanno un linguaggio scarso o del tutto assente. Casi meno gravi sono diagnosticati come Disturbo Generalizzato dello Sviluppo (PDD) o come Sindrome di Asperger.

Lasciati senza cure, molti bambini con autismo non sviluppano abilità sociali e possono non imparare a parlare o a comportarsi in modo appropriato. Oggi, per la prima volta nella storia, ci sono bambini autistici curati con successo – che giocano, parlano, studiano – che vivono in mezzo a noi e godono delle loro vite. Questi bambini normalizzati, che non portano più la spaventosa etichetta di “autistico”, devono la loro liberazione dall’autismo a modalità di trattamento che erano, e ancora sono, purtroppo sconosciute alla maggioranza dei medici italiani anche se il nuovo approccio curativo sta rapidamente convincendo studiosi e ricercatori.

Alcuni trattamenti portano a eccezionali miglioramenti in molti bambini, e la nostra associazione AREA-Genitoricontroautismo, intende dedicare tutti i suoi sforzi a fare in modo che essi diventino un diritto per tutti, anche di quei bambini, e sono un numero esorbitante, che non possono permetterseli per motivi economici.

Quello che intendiamo pubblicizzare è che L’AUTISMO E’ TRATTABILE.

Questo è anche il nome della campagna promossa quest’anno dal DAN! (defeat autims now!), un movimento di medici e ricercatori internazionale nato negli USA circa 10 anni fa. Due volte l’anno questi medici e ricercatori, provenienti da tutto il mondo, si riuniscono in congresso per portare tutte le ultime conoscenze e novità, per far si che la ricerca non continui per compartimenti stagno, e per portare a conoscenza di tutti le varie problematiche inerenti l’autismo: dall’immunologo al gastroenterologo, all’allergologo, all’esperto in avvelenamento da metalli pesanti ecc.

I bambini con autismo in Italia PURTROPPO non possono godere di questi trattamenti medici, perché l’autismo in Italia è relegato nelle mani dei neuropsichiatri, che sono quelli che si occupano della diagnosi, ma che, avendo studiato decine di anni fa su libri vecchi di altre decine di anni vedono l’autismo solo come un problema PSCHIATRICO e affrontano il disturbo come un disturbo mentale e non medico, curando i nostri bambini esclusivamente con terapia farmacologica (psicofarmaci) senza invece andare ad indagare sulle loro problematiche biochimiche.

Questa visione rende l’autismo e i disordini dello Spettro una condizione senza speranza.

Il fatto che la maggior parte dei bambini (se non tutti) ha manifestato i primi sintomi dopo le vaccinazioni è visto come una coincidenza.

Il fatto che la maggioranza dei bambini (se non tutti) soffre di straordinarie patologie metaboliche, intestinali, immunologiche e allergiche è visto, di nuovo, come una coincidenza.

Recenti sviluppi della ricerca mostrano chiaramente che con interventi biomedici e terapie comportamentali precoci e aggressive (in termini di numero di ore) i bambini possono fare enormi progressi esprimendo tutto il loro potenziale.

E’ cambiata proprio la concezione dell’autismo: quella che era prima vista come una condizione senza speranza è ora vista da un folto gruppo di ricercatori come un complesso scompenso, come un malfunzionamento del sistema metabolico dei nostri bambini, ed è da questo scompenso che nascono i loro problemi comportamentali e di apprendimento.

Trattando ogni sintomo, ogni errore del sistema metabolico che possiamo trovare con opportuni test nel nostro bambino, ricostituendo il sistema immunitario, ripristinando un corretto metabolismo dei metalli, è possibile un cambio graduale e un miglioramento delle condizioni di salute e del comportamento.

Noi genitori italiani abbiamo il diritto di curare i nostri bambini e di investigare i loro problemi fisici, abbiamo il diritto di far eseguire loro le necessarie analisi senza doverci recare negli USA con spese elevatissime e stress per la famiglia intera, abbiamo il diritto di vedere migliorare i nostri bambini.

Chiediamo che finalmente anche in Italia ci sia data la possibilità di curare questi bambini che, se non trattati, sono destinati a peggiorare e diventare adulti con gravissimo handicap, mentre se trattati possono arrivare ad avere delle vite autonome, felici e soddisfacenti. Se voleste discutere questi temi ulteriormente, saremo contenti di ricevere una vostra visita al nostro portale http://www.genitoricontroautismo.org, saremo contenti di ricevere le vostre email e di raccontarvi le nostre storie personali.

Una generazione di bambini e le loro famiglie hanno bisogno di voi. Cercate la verita’, aiutate i nostri bambini.

Associazione Onlus

AREA-Genitoricontroautismo

Atturi Loretta

Dott. Rosalia Cipollina

AUTISMO INFANTILE

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L’autismo infantile fa parte del gruppo dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (D.G.S.), sindromi caratterizzate da compromissione grave di più aree dello sviluppo infantile, insieme alla Sindrome di Asperger, alla Sindrome di Rett ecc.

E’ molto più frequente nei maschi (rapporto 5:1) con un’età di insorgenza prevalentemente intorno ai tre anni e può essere preceduta da un periodo di apparente normalità di sviluppo.

Nel disturbo autistico sono particolarmente compromesse:

l’area del linguaggio e della comunicazione in generale e l’area dell’interazione sociale, ma sono presenti sintomi appartenenti ad altre aree, che si manifestano in misura variabile a seconda del livello di sviluppo e dell’età del soggetto.

A livello linguistico vi può essere assenza totale di linguaggio oppure questo può essere usato in modo anomalo (per esempio il bambino non usa il pronome Io, ma parla di se stesso in terza persona singolare). Possono essere presenti verbalizzazioni incongrue, giochi di parole ripetitivi e stereotipati, ripetizione ecolalica delle parole degli altri.

Nell’area della comunicazione comportamentale i primi sintomi di allarme sono rappresentati da un rapporto evitante di sguardo, una gestualità non finalizzata al rapporto con l’altro, l’apparente indifferenza per le richieste dell’ambiente (sembrano bambini sordi), l’assenza di un gioco simbolico, il disinteresse per le persone accompagnato ad uno spiccato interesse per meccanismi, specie se in movimento.

Gli interessi e le attività sono limitate, focalizzate in maniera ossessiva su pochi oggetti o parti di oggetti o su pochi argomenti di cui vengono trattati solo aspetti classificativi. Anche il gioco è povero e ripetitivo, senza rappresentazioni simboliche né gioco imitativo ed i bambini mostrano un elevato livello di angoscia se vengono distolti dalla loro ritualità ossessiva.

A livello motorio possono mostrare anomalie o bizzarrie (camminare sulle punte dei piedi, sfarfallamento delle mani, posture corporee bizzarre). Spesso hanno un comportamento motorio ipercinetico, ma afinalistico.

Il livello intellettivo può essere modicamente compromesso, ma più spesso il profilo cognitivo è caratterizzato da una disarmonia, con profonde disabilità in alcuni settori e performance eccezionali in altri (per es. può presentare memoria prodigiosa per i numeri, ma non saper leggere).

Altri sintomi associati possono essere:

un alta soglia per il dolore con fenomeni autolesivi,

ipersensibilità ai suoni,

aggressività improvvisa per minime frustrazioni,

anomalie dell’alimentazione,

disturbi del sonno,

mancata percezione dei pericoli.

CAUSE
Per quanto riguarda le cause eziopatogenetiche l’Autismo infantile rappresenta ancora un’incognita.Esistono forme primarie in cui non si riesce a evidenziare alcuna anomalia ed esistono forme secondarie ad altre affezioni.

Si tratta comunque di una malattia a genesi multifattoriale a cui concorrono cause:

neurologiche (malformazioni, sclerosi tuberosa, encefaliti ecc.),

psichiche (psicosi in fase iniziale),

metaboliche (fenilchetonuria),

genetiche (sindrome dell’X-fragile, anomalie del cromosoma 22 ecc.),

sensoriali (sordità)

mediche generali (intolleranze alimentari).

CURE

Trattandosi di una eziologia multifattoriale, l’indagine diagnostica è particolarmente complessa e deve necessariamente essere fatta in un Centro di alta specializzazione e con la consulenza integrata di vari specialisti.
Anche il trattamento richiede interventi multipli integrati sia a livello familiare sia a livello individuale, di tipo psicologico, riabilitativo e farmacologico.

TEORIE PSICOLOGICHE

Le teorie sull’origine dell’autismo infantile sono molteplici, le più importanti sono frutto delle ricerche di quegli studiosi che hanno dedicato molti sforzi per la comprensione del problema. Margaret Mahler dedico i suoi sforzi alla comprensione dello sviluppo dei bambini entro i primi due anni di vita durante il quale molta importanza rivestono comportamenti motori i quali dovrebbero avere un’elevata qualità empatica. La Mahl pone una differenziazione tra nascita “biologica” e nascita “psicologica”. Inizialmente il bambino è un essere biologico(fase dell’autismo normale) e l’investimento libidico è strettamente viscerale. In seguito si ha una fase “simbiotica”, fino a circa due anni e mezzo, in cui è presente una una fusione allucinatoria di tipo onnipotente con la rappresentazione con la madre. Al termine di questo stadio si ha una fase di “separazione-individuazione che porta alla costruzione dell’identità individuale. Un cattivo funzionamento di questi stadi può indurre un blocco o una regressione a stadi precedenti. Se il bambino si fissa o regredisce allo stadio autistico, svilupperà la psicosi di tipo autistico mentre se ciò avviene allo stadio simbiotico, si verificherà una psicosi simbiotica. Nella simdrome autistica il bambino non percepisce la madre come tale ma tende ad identificare il proprio sé corporeo con gli oggetti inanimati dell’ambiente. Anche lo sviluppo linguistico risulta compromesso, essi lottano con qualsiasi richiesta di contatto umano e sociale. Tutte le psicosi infantili, secondo la Mahler, avrebbero dunque un origine in comune cioè un errore nello sviluppo dell’identità individuale,entro i primi due anni di vita.Ifattori principali sono due: 1)un bambino costituzionalmente vulnerabile con una predisposizione allo sviluppo di una psicosi; 2) una madre non in grado di reagire adeguatamente ai comportamenti del bambino. questo darebbe vita ad un circolo vizioso che comprometterebbe lo sviluppo dello stadio di separazione-individuazione.

Una delle teorie più affascinanti sull’autismo è quella di Bruno Bettelheim, uno dei maggiori psicoanalisti infantili, descritta nell’opera “La fortezza vuota”. Prendendo spunto dai comportamenti schizofrenici dei prigionieri traumatizzati dalla realtà esterna , per i bambini autistici è la realtà interna a creare traumi. I bambini non sono in grado di comprendere la differenza tra la realtà interna ed esterna, vivendo l’esperienza interiore come una rappresentazione reale del mondo. L’isolamento rispetto al mondo esterno e la rassegnazione rispetto agli eventi costituirebbero vie di fuga da una realtà altrimenti insopportabile. Secondo Bettelheim ciò sarebbe determinato dall’interpretazione da parte del bambino dell’attitudine negativa con la quale gli si accostano le figure più significative del suo ambiente (1967). Il bambino proverebbe una sorta di forte rabbia che provocherebbe un’interpretazione negativa della reltà. Il neonato, cioè, interpretando negativamente i sentimenti e le azioni della madre, si distaccherebbe da lei progressivamente, provocando anche un distacco della madre da lui. Si genera così un’angoscia sconvolgente per il bambino che si trasforma presto in panico provocando l’interruzione del contatto con la realtà. Per arrivare a questo punto é necessario che il bambino percepisca la fonte dell’angoscia come immodificabile. Non esclude comunque che possano esistere altri fattori che facilitano l’insorgenza dell’autismo come alcune lesioni organiche. Oltre a cercare le cause scatenanti della patologie, Bettelheim dedicò molta parte della sua vita ad educare questi bambini; alla base del rapporto educativo c’era l’empatia cioè la condivisione delle emozioni.

Secondo alcune recenti ricerche condotte da vari studiosi l’autismo sarebbe una coseguenza derivata dal mancato sviluppo della “teoria della mente”. Ognuno di noi è in grado di relazionarsi in maniera adeguata,conoscendo una persona possiamo intuire come agirà, se ne osserviame le azioni possiamo capire quali sono i suoi desideri. La teoria della mente ci aiuterebbe a capire il meccanismo psicologico delle persone alla base di una sana vita di relazione. Gli autistici quindi avrebbero un deficit specifico che riguarderebbe la comprensione della mente nelle altre persone.

Dott. Rosalia Cipollina

AMORE MATERNO

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Di seguito riporto un brano, significativo di che cosa vuol dire “Amore Materno”, tratto dal libro “L’arte di amare” di Erich Fromm. Lascio a voi le riflessioni sul brano stesso.

 

“L’amore materno …è un’affermazione incondizionata della vita del bambino e dei suoi bisogni. Ma è necessario fare un’importante aggiunta a questa definizione. L’affermazione della vita del bambino ha due aspetti; uno è rappresentato dalle cure necessarie alla preservazione della vita e alla crescita del bambino. L’altro aspetto va oltre la pura e semplice conservazione: è l’attitudine che instilla nel bambino un amore per la vita, che gli dà questa sensazione: è bello essere vivi, è bello stare su questa terra! Questi due aspetti dell’amore materno sono espressi in modo molto semplice nella storia biblica della creazione. Dio crea il mondo e l’uomo. Ciò corrisponde alla semplice affermazione della esistenza. Ma Dio va oltre. Ogni giorno dopo che la natura, o l’uomo, sono stati creati, Dio dice: “È bello.” L’amore materno, in questo secondo giardino fa sentire al bambino che è bello essere nato; instilla nel bambino l’amore per la vita e non solo il desiderio di restare vivo. La stessa idea può essere applicata ad un altro simbolismo biblico. La terra promessa (terra è sempre simbolo di madre) è descritta come “traboccante di latte e di miele”. Il latte è il simbolo del primo aspetto dell’amore, quello per le cure e l’affermazione; il miele simboleggia la dolcezza della vita, l’amore per essa, e la felicità di sentirsi vivi. La maggior parte delle madri è capace di dare “latte”, ma solo una minoranza di dare anche “miele”. Per poter dare latte una madre non deve soltanto essere una “brava mamma”, ma una donna felice, e non tutte ci riescono. L’amore della madre per la vita è contagioso, così come lo è la sua ansietà; ambedue gli stati d’animo hanno un effetto profondo sulla personalità del bambino; si distinguono subito tra i bambini – e gli adulti – coloro che ricevono soltanto “latte” e coloro che ricevono “latte e miele”.

In contrasto con l’amore fraterno e con l’amore erotico, che sono amori sullo stesso piano, i rapporti della madre col bambino sono, per la loro stessa natura, su un piano diverso, in cui uno ha bisogno di aiuto, e l’altro lo dà. È per questo carattere altruistico che l’amore materno è stato considerato la più alta forma d’amore e il più sacro dei vincoli affettivi. Tuttavia la vera conquista dell’amore materno non sta solo nell’amore della madre per il neonato, ma nel suo amore per la creatura che cresce. In realtà, la grande maggioranza delle madri sono madri amorose finché il bambino è piccolo e completamente legato a loro. Quasi tutte le donne desiderano avere figli, sono felici coi loro piccoli e sono premurose con loro. E questo ad onta del fatto che non ” ottengono ” niente in cambio, tranne un sorriso o l’espressione soddisfatta nel viso del bambino. Sembra che questa forma d’amore sia radicata sia negli animali che nella razza umana. Ma, qualunque sia il peso di questo fattore istintivo, nell’amore materno hanno molta importanza alcuni fattori psicologici. Uno di questi è l’elemento narcisistico. Finché il neonato continua a far parte della madre, il suo amore e il suo attaccamento possono essere una soddisfazione al suo narcisismo. Un altro elemento può essere costituito dal bisogno di possesso della madre. Il bambino, essendo debole e completamente soggetto alla sua volontà, è un oggetto naturale di soddisfazione per una donna autoritaria e tirannica.…Ma il bambino deve crescere. Deve emergere dal grembo materno; diventare un essere completamente indipendente. La vera essenza dell’amore materno è di curare la crescita del bambino, e ciò significa volere che il bambino si separi da lei. Qui sta la differenza con l’amore erotico. Nell’amore erotico, due persone distinte diventano una sola. Nell’amore materno, due persone che erano una sola, si scindono. La madre deve non solo tollerare, ma desiderare e sopportare la separazione del figlio. 16 solo a questo stadio che l’amore materno diventa un compito così difficile da richiedere altruismo, capacità di dare tutto senza chiedere niente e di non desiderare niente altro che la felicità dell’essere amato. È anche a questo stadio che molte madri falliscono nel loro compito. La narcisista, l’autoritaria, la tirannica può riuscire ad essere una madre “amorosa ” finché il bambino è piccolo. Solo la donna veramente ” amante “, colei che é più felice di dare che di ricevere, può essere una madre amorosa durante il processo di separazione del bambino.L’amore materno per il bambino che cresce, amore fine a se stesso, è forse la forma d’amore più difficile a raggiungersi, ed è anche la più ingannevole, a causa della facilità con cui una madre ama la propria creatura. Ma proprio a causa di questa difficoltà, una donna può essere una madre veramente amorosa solo se può amare; se è capace di amare H proprio marito, altri bambini, il prossimo, tutti gli essere umani. La donna che è incapace di amare in questo modo, può essere una madre affettuosa finché il bambino è piccolo, ma non può essere una madre amorosa. La condizione per esserlo è la volontà di affrontare la separazione, e, anche dopo la separazione, la capacità di continuare a amare.”

Sempre tratto dallo stesso libro questo brano sulla concezione dell’ “altruismo materno”

“La natura dell’altruismo si manifesta in modo particolare nell’effetto che la madre ” altruista ” ha sui propri figli. È convinta che il suo altruismo insegnerà ai figli a provare che cosa significhi essere amati, e ad apprendere, a loro volta, che cosa significhi amare. L’effetto del suo altruismo, tuttavia, non corrisponde mai alle sue aspettative. I bambini non mostrano la felicità delle persone convinte di essere amate; sono tesi, timorosi del giudizio materno, e ansiosi di appagare le sue speranze. Di solito, sono colpiti dall’ostilità repressa della madre verso la vita, ostilità che essi sentono oscuramente, restandone spesso influenzati. Nell’insieme, l’effetto della madre “altruista” non è troppo diverso da quello della madre egoista anzi, spesso è peggiore, perché l’altruismo della madre impedisce ai figli di criticarla. Si sentono nell’obbligo di non deluderla; imparano, sotto la maschera della virtù, il disprezzo per la vita. Chiunque abbia possibilità di studiare l’effetto di una madre dotata di genuino amore per se stessa, può vedere che non c’è niente di più utile che dare a un bambino l’esperienza di ciò che è amore, gioia, felicità, che solo può ricevere il bambino amato da una madre che ama se stessa.”

Dott. Rosalia Cipollina

RIMUGINIO PATOLOGICO E CO-RUMINAZIONE

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“Co-rumination” è il nome che alcuni psicologi americani hanno coniato per indicare l’ossessiva abitudine delle donne, soprattutto le adolescenti, di parlare di tutto e per tanto tempo con le proprie amiche.

Il nome del disturbo è evocativo: ruminare infatti vuol dire masticare una seconda volta il cibo facendolo risalire dallo stomaco al rumine prima di digerirlo. Con le amiche, quindi, si tende a rimasticare per una seconda, terza, quarta volta (tendendo all’infinito) cio che è successo nella propria vita per poterlo digerire una volta per tutte. Ma è un’attitudine sana? Secondo gli psicologi non proprio. Non quando è eccessiva. Su questo oltre agli psicologi sarebbero d’accordo anche tutti gli uomini per i quali, pare, il rischio di co-rumination è sensibilmente più basso. Sono le adolescenti ad incappare più spesso in questo tipo di ossessione e dipendenza dal “parere dell’amica”. “L’adolescenza è il periodo in cui per le ragazze esistono solo le amicizie e il rapporto con i pari; tendenzialmente tutti gli adolescenti preferiscono passare ore al telefono a parlare con i propri amici per poi ammutolirsi all’ora di cena quando mamma e papà chiedono come è andata la giornata”, sottolinea Amanda Rose, la psicologa che ha coniato il termine “co-rumination” e che ha rilasciato un’interessante intervista al New York Times.

“Il punto è che a volte questo atteggiamento sconfina nella dipendenza e nella perdita di contatto con la realtà che per tutti, ma in particolar modo per gli adolescenti, può essere molto pericolosa e può compromettere una normale socialità”, continua la Rose. “In questo senso è importante il ruolo di mediazione di un adulto, che nei casi normali è uno o entrambi i genitori; talvolta però è necessario il parere di un esperto”, aggiunge la Rose. “Per le donne adulte il discorso non è poi molto diverso; la tendenza a parlare tanto tra amiche è costituzionale. Sebbene non ci siano i rischi di commettere errori dettati dalla scarsa esperienza come per le più giovani, anche le donne adulte possono rimanere ingabbiate nei discorsi tra amiche e costruirsi una visione parziale e complicata del mondo”, conclude la Rose.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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VIGORESSIA O COMPLESSO DI ADONE

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MITO DI ADONE Adone nacque dalla relazione di sua madre Mirra con il nonno Cinira. Mirra era una fanciulla che si innamorò di suo padre Cinira. Mirra era disperata, e un giorno pensò persino di suicidarsi, ma la vecchia nutrice la fermò e dopo averla a lungo interrogata la vecchia riuscì a capire il dramma di Mirra e le promise un incontro d’amore con il padre. Durante i festeggiamenti in onore di Cerere, la madre della ragazza aveva fatto un voto di castità che le impediva di andare a letto con il marito. La nutrice allora propose a Cinira di accoppiarsi con una giovane vergine. C’era però una condizione posta dalla ragazza, quella di non farsi mai vedere. Tutto andò bene e padre e figlia si accoppiarono per nove notti di seguito, Mirra ne uscirà d’altronde incinta. Una notte Cinira spinto dalla curiosità guardò la sua giovane amante e si accorse che era sua figlia. Spinto ora dalla rabbia, prese una spada e la inseguì per tutta la casa e i boschi vicini. Mirra chiese aiuto agli Dei, che la trasformarono in un albero. Dopo nove mesi si aprì la corteccia dell’albero e ne uscì un bambino: Adone.

Adone fu raccolto da Afrodite che lo consegnò a Persefone, il quale se lo tenne. Con gli anni Adone divenne uno splendido ragazzo, di cui si innamorarono tutte le donne. Di lui si innamorarono persino Afrodite e Persefone che diedero vita ad una disputa che giunse all’orecchio di Zeus. Zeus decise che la disputa la chiarissero le muse che decisero: Adone resterà 4 mesi con Afrodite, 4 mesi con Persefone, e 4 mesi con chi vorrà lui. Afrodite indossò la cintura della seduzione che faceva innamorare chiunque, e convinse Adone a passare con lei i quattro mesi di sua pertinenza. Persefone si recò da Ares che fuori dalla rabbia si mutò in un cinghiale e durante una partita di caccia uccise Adone. Si dice che Afrodite versò tante lacrime quante erano le gocce di sangue che uscivano dal corpo del suo amato, e da ogni lacrima nasceva poi un fiore. In quei giorni furono visti lunghissimi cortei di donne vagare per i boschi, perché erano molte le donne che si erano innamorate vedendo Adone.


La vigoressia o complesso di Adone è un ossessiva attenzione per la propria forma fisica e lo sviluppo muscolare che colpisce sopratutto i maschi tra i 25 e i 35 anni , seguiti da quelli tra i 18 e i 24 anni., dediti ad una intensa attività fisica.
Sebbene l’attività fisica sia uno dei pilastri importanti per mantenere uno stato di buona salute sia fisica che mentale, come in ogni cosa, se viene praticata in eccesso, può convertirsi in un’ossessione e pregiudicare la salute.

Il culto e l’attenzione per il corpo nel senso di vedersi bene e non tanto sentirsi bene ha portato molti giovani a sviluppare condotte ossessive e compulsive come si riscontrano nella bulimia e nell’anoressia generalmente interessanti le donne. Al contrario di quello che accade alle ra gazze anoressiche, che si vedono grasse anche se pesano meno di 40 chili, gli uomini che soffrono di vigoressia (o sindrome di Adone) si percepiscono sempre come troppo magri, poco muscolosi.

Le caratteristiche principali dei soggetti affetti sono:

– trascorrere ore e ore in palestra, sottoponendosi ad esercizi di potenziamento muscolare,

– scrutarsi continuamente allo specchio per valutare lo sviluppo dei singoli      muscoli,

– sottoporsi a diete iperproteiche, pesarsi in continuazione e utilizzare  integratori e, nei casi più gravi, farmaci anabolizzanti.

La difficoltà a procurarsi farmaci anabolizzanti obbliga a ricorrere al mercato nero, dove queste sostanze, oltre ad essere di per se dannose, sono spesso prodotte senza alcuna garanzia sanitaria.

Questo non infrequentemente porta ad investire discrete somme in denaro, creandosi spesso problemi economici.

In contrasto con il loro aspetto fisico eccessivamente muscoloso, il vigoressico continua ad essere insoddisfatto dei propri muscoli che continua a vedere gracili e flaccidi.

Ai problemi di tipo psicologico, quali bassa autostima, isolamento sociale, stato depressivo si aggiungono problemi fisici derivanti da un’alimentazione sbilanciata, troppo ricca di proteine, che può, se prolungata per molto tempo, portare ad alterazioni della funzione renale, problemi ossei ed articolari derivati dagli eccessivi sforzi muscolari e da un’alimentazione povera di calcio per la quasi totale abolizione di latticini, problemi di impotenza derivanti dall’uso di anabolizzanti.

La cosa difficile può essere riuscire a far comprendere a chi soffre di vigoressia che questi eccessi sono il sintomo di una profonda insicurezza. Per uscirne, può essere d’ aiuto un percorso di psicoterapia unitamente all’intervento del medico, che prescriverà gli esami da fare e le eventuali terapie.

Da un punto di vista più strettamente medico segnaliamo che la vigoressia fu identificata nel 1993 da Pope HG Jr, Katz DL, Hudson JI in un articolo dal titolo “Anorexia nervosa and “reverse anorexia”. Il termine reverse anorexia fu proposto in considerazione del fatto che, con modalità uguali e contrarie all’anoressia, chi soffre di questo disturbo continua a vedersi gracile e smilzo nonostante abbia una muscolatura fuori dal comune.
Il disordine fu denominato più tardi dagli stessi autori dismorfia muscolare, e come tale potreste trovarlo citato. Divulgativamente Pope ha chiamato il disturbo Complesso di Adone in un libro uscito nel 2000.
La catalogazione diagnostica è incerta: fra la dismorfofobia, i disturbi alimentari non altrimenti specificati (NAS) e il disturbo ossessivo-compulsivo.

LEGGI ED ASCOLTA L’INTERVISTA RADIOFONICA AL DOTT. CAVALIERE SU RADIO1 DEL 10/6/2008

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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VOMITING

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Il vomiting è una forma compensativa tipica delle patologie del comportamento alimentare con tratti misti anoressico-bulimici. Consiste nel rituale segreto del vomito (auto-indotto) dopo avere consumato un pasto. Si tratta di un tipo di anoressia mascherata, e sostanzialmente manifesta un simile disagio con un opposto rapporto con il cibo.
Il vomiting è una pratica che tende ad evolversi, trasformandosi da episodio eccezionale in pratica abituale (quasi di dipendenza); il meccanismo, che dovrebbe essere naturale e funzionale in determinati casi di sofferenza organica, viene talmente compromesso da arrivare al punto da produrre il vomiting con facilità. Per questo motivo, all’inizio il vomito è indotto e solo in momenti successivi diventa spontaneo.
Un elemento per distinguere una persona “vomitatrice” o potenziale, da una persona anoressica è il modo in cui parla del cibo. In generale la persona anoressica non ama parlare del cibo, è un argomento che tenta sempre di schivare perché le provoca disturbo psichico. Il cibo rappresenta per la persona anoressica qualcosa di negativo e non si soffermerà mai a parlarvi di quello che mangia, di come mangia, delle sue possibili preferenze culinarie, perché sono sempre sensazioni di disgusto. Nei casi più gravi la persona anoressica finisce ospedalizzata perché non riesce a consumare nemmeno il minimo indispensabile in termini di cibo, per garantire una condizione di vita appena sufficiente, sia dal punto di vista plastico, sia dal punto di vista energetico. La persona con sindrome da vomito, al contrario, vi parlerà del cibo come se parlasse di qualche cosa di molto piacevole, con gusto e non negherà di indicare quali sono i cibi che preferisce.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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SINDROME DI PINOCCHIO: IL BUGIARDO PATOLOGICO

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Non sono infastidito dal fatto che tu mi abbia mentito, sono infastidito perché d’ora in poi non posso più crederti.
(Friedrich Nietzsche)

Chi è bugiardo patologico, affetto dalla cosidetta sindrome di pinocchio, manifesta un vero e proprio disagio psicologico, di cui tende a escluderne la gravità, fino ad arrivare a non riconoscerlo neanche. Ciò causa molta sofferenza a sé stesso ed agli altri.

Le principali caratteristiche del bugiardo patologico sono:

  • Mentono gratuitamente, anche se non è necessario
  • Sono impazienti
  • Sono manipolativi nei confronti degli altri
  • Sono seduttivi e disinibiti
  • Sono intolleranti alle critiche
  • Pretendono perché è tutto dovuto loro
  • Non provano nessun rimorso
  • Sono incapaci di relazioni affettive mature

Il comportamento di chi “subisce” un bugiardo psicologico prevede tre strategie in tre tempi diversi:

  • Non tollerare assolutamente le bugie, anzi bisogna smascherarle sistematicamente, affrontandone l’onere di farlo, senza nessuna indulgenza.
  • Chiedere al bugiardo patologico l’auto-riconoscimento del proprio stato patologico ed invitarlo a chiedere un aiuto esterno per combatterne cause e sintomatologia.
  • Nel caso che le prime due strategie non siano accettate, prendere in considerazione l’opportunità di “abbandonare” il bugiardo patologico. Spesso questa si rivela l’unica strategia efficace nei confronti di chi è affetto da Sindrome di Pinocchio. Infatti il bugiardo patologico non accetta di rimanere solo.

Dal punto di vista clinico il bugiardo patologico può essere affetto da disturbo istrionico di personalità che è caratterizzato da un tipico quadro pervasivo di emotività eccessiva, ricerca di attenzione, ed appaiono a prima vista attivi, interattivi e disinibiti.

Per essere diagnosticato come disturbo il DSM IV prevede che deve manifestarsi in una varietà di contesti con la presenza di almeno cinque dei seguenti sintomi:

  1. la persona è a disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione
  2. l’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da comportamento sessualmente seducente o provocante
  3. manifesta un’espressione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale
  4. costantemente utilizza l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sé
  5. lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli
  6. mostra autodrammatizzazione, teatralità, ed espressione esagerata delle emozioni
  7. è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze
  8. considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente.

 

Consulenza

Trilly Età: 35 Buongiorno, sono sposata da 7 anni, e ho 2 meravigliosi bambini, ma mio marito è un bugiardo patologico, non posso credere a nulla di quello che mi dice, siano esse cose importanti o banalità prive di importanza, non riesco più a fidarmi di lui e questo ha messo in forte crisi il nostro matrimonio. Vorrei riuscire ad aiutarlo, ma non so proprio come, ho provato con la calma, a spiegargli che per me, e per i bambini, la sincerità è importante, ma nulla, ho provato ad arrabbiarmi e a minacciarlo di lasciarlo e neanche questo è servito.Vorrei provare a trovare uno specialista, ma penso che non ci andrebbe, magari raccontandomi che in realtà ci va.

Dott. Roberto Cavaliere

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ORTORESSIA

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L’ortoressia (dal greco orthos -corretto- e orexis -appetito-) è una forma di attenzione eccessiva alle regole alimentari, alla scelta del cibo e alle sue caratteristiche. Può essere dovuta ad una paura, a volte maniacale, di ingrassare o di non essere in perfetta salute, e conduce proprio, di norma, a un risultato opposto con conseguenze negative sul sistema nervoso, avvertite con difficoltà dal soggetto colpito e in modo evidente da chi lo circonda.

È classificata come disturbo dell’alimentazione, ma non ancora ufficialmente riconosciuta dal mondo psichiatrico. È stata descritta per la prima volta da Steve Bratman nel 1997, dietologo che si autodefinisce ex-ortoressico e che ha formulato un questionario allo scopo di identificare questa psicopatologia.

La psicologia tende a dare sempre più peso a questa forma di mania per le regole eccessive, rivolte in particolare al cibo, ritenendo che si stia diffondendo silenziosamente e coinvolga in maggior misura individui di sesso femminile.

Sono stati riconosciuti diversi livelli di ortoressia, a partire da forme più lievi e transitorie fino ad arrivare a situazioni quasi maniacali, ma non sono stati ancora canonizzati in termini clinici.

In primo luogo l’ortoressia è un problema sociale, che impedisce il soggetto colpito di avere rapporti equilibrati con l’esterno, in particolare con il partner, creando un meccanismo circolare di insoddisfazione che alimenta il problema stesso.

In secondo luogo l’ortoressico cambia a poco a poco stile di vita, oppure si isola in un proprio stile standardizzato e dettato esclusivamente da regole precise e imprescindibili, difendendosi da chi non comprenda le sue scelte, non condivida in pieno le sue idee e in genere lo irrida o lo contraddica; vive in uno stato di ansia che “supera” con la convinzione che le sue scelte siano assolutamente le uniche “giuste”.

L’ortoressico in genere non è dotato di una buona informazione né di una grande competenza nei campi in cui decide le proprie regole, ma si basa più sulle sue deduzioni e sul “sentito dire” che possa coincidere con le proprie idee; si annoia o rifugge una maggiore cultura o un confronto che gli consenta di capire le vere cause dei problemi; ritiene giusto solo ciò che capisce e talvolta capisce solo teorie semplicistiche. Questa comprensione gli dà, però, la forza di schierarsi “anche contro un premio Nobel”, anzi la scienza ufficiale è spesso vista come qualcosa di irrisorio, soprattutto nei casi in cui confuti le sue “fondatissime” teorie.

Anche quando il soggetto è culturalmente elevato (come Bratman), preferisce rinnegare ciò che ha appreso perché nella semplicità di poche regole trova un’illusoria serenità e un’apparente pace. Questo atteggiamento psicologico porta a manifestare una spiccata incapacità di trovare piacere, nel cibo in particolare, e spesso anche nella sfera sessuale.

Nei casi più importanti, laddove la patologia diventa maniacale, la conclusione del soggetto arriva frequentemente ad essere “tutto dipende dal cibo”.

Le cause portanti di questa malattia della psiche sono da ricercarsi nei ritmi di vita forzati della società moderna e dai modelli di bellezza e salute sempre più rivolti al consumismo piuttosto che a una reale attenzione per l’individuo. In particolare per i soggetti di sesso femminile, le scale di valutazione del rapporto salute-bellezza-autostima vengono spesso mescolate e stravolte, risultando spesso più importante apparire belle che essere davvero in salute.

Il soggetto ortoressico ricade ripetutamente in una sorta di circolo vizioso, nel quale a fronte di una forte insoddisfazione personale, egli cerca di ristabilire il proprio ordine e la propria autostima ricercando e attuando regole eccessivamente rigide, che, se trasgredite, comportano un senso di colpa molto forte che porta di riflesso ad inasprire ulteriormente le regole stesse (soprattutto in ambito alimentare) trovando un’apparente realizzazione proprio in quegli aspetti della vita dove le regole vedono il loro maggiore sviluppo (regime alimentare, lavoro, business, competizioni, studio) e tralasciando quasi totalmente la propria sfera privata, personale e affettiva.

Questo porta il soggetto ad incontrare difficoltà nell’appagare se stesso e i propri sensi,imponendosi talvolta persino di provare disgusto per cibi, che in realtà appagherebbero il suo palato, solo perché convinto che quegli stessi cibi possano essere dannosi per la sua salute o portare all’aumento di peso.

Come per l’alimentazione, allo stesso modo i rapporti interpersonali e di coppia vengono spesso incrinati qualora il soggetto sia convinto che i rapporti medesimi non siano più adatti o convenienti, anche qualora non vi sia un rilevante motivo.

Questa condizione porta l’ortoressico a non riuscire a provare un reale appagamento personale (se non a tratti) ed a percepire uno stato d’insofferenza e delusione che lo portano spesso a sentirsi più insicuro e in ogni caso a ricadere nel ciclo di insoddisfazione. Il soggetto tende, in questo modo, ad isolarsi ed a fidarsi tendenzialmente solo più delle proprie forze e delle proprie regole.

In ultima analisi il ragionamento compiuto dall’ortoressico si ripercuote in una mera incapacità di vivere il proprio presente, poiché il futuro diviene un’ansia continua di prevenzione per ogni aspetto personale e alimentare, mentre il passato si connota in una raffigurazione costante di occasioni mancate, nostalgie e rimpianti.

L’ortoressia è quindi una patologia che si manifesta con evidenza nelle abitudini alimentari, ma che riguarda in realtà l’insieme della nostra sfera personale.

La terapia dell’ortoressia si rifà alla stessa per gli altri disturbi del comportamento alimentare, prevedendo un approccio globale (psicoterapia + seguimento dietologico) da parte di terapeuti esperti in tale campo.

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NOTIZIE SULL’ORTORESSIA

Ortoressia, malattia del cibo sano – Quando mangiare è un problema

Una nuova ossessione alimentare, analoga a bulimia e anoressia

MILANO – Nelle verdure ci sono i pesticidi, lo zucchero provoca la carie, il burro e la carne rossa aumentano il colesterolo. Si potrebbe fare un elenco interminabile di divieti alimentari, una lista da cui non si salverebbe alcun tipo di cibo. Ma bisogna far attenzione a non esagerare per non cadere nell”ortoressia nervosa”, un nuovo tipo di disordine alimentare: persone ossessionate dalla ricerca di un’alimentazione sana.

Portando all’estremo i dettami di un’alimentazione salutistica, gli “ortoressici” arrivano a sviluppare proprie regole alimentari sempre più specifiche e fanno di tutto per restarvi fedeli, costringendosi a pianificare i pasti anche con diversi giorni di anticipo. Quando escono, tendono a portare con sè un “kit di sopravvivenza” con i loro cibi, perché non si fidano a mangiare piatti preparati da altri per timore di grassi e altre sostanze. E se “sgarrano” dalla dieta, i sensi di colpa diventano insostenibili.

L’ossessione della qualità. L’allarme è stato lanciato oggi dall’European Food Information Council (Eufic), una organizzazione no-profit le cui informazioni sono garantite da un comitato scientifico formato da ricercatori istituzionali e universitari di vari paesi europei. L’Eufic, nel descrivere il fenomeno, cita Steve Bratman, che ha descritto per primo l’ortoressia nel 1997. Secondo lo scienziato, questa malattia induce un comportamento simile a quello delle persone che soffrono di anoressia o di bulimia nervosa. Con l’unica differenza che gli anoressici e i bulimici si preoccupano della quantità del loro cibo, gli ortoressici della qualità.

Troppe informazioni nuociono alla salute. Ma c’è già più di un sospetto che si tratti di una nuova malattia della società globalizzata, dove tutti i cittadini sono continuamente sottoposti a un bombardamento di informazioni su ciò che fa bene o fa male alla salute. Il cibo oggi fa paura e la diffusione degli alimenti biologici ha aumentato la complessità delle decisioni da prendere su cosa mangiare. Bettina Isenschmid, consulente per i disordini alimentari presso lo “Hopital de l’Isle” di Berna, ritiene che questa attenzione ai cibi “buoni” e “cattivi” sia problematica e alimenti un rapporto più nevrotico con il cibo nella moderna società occidentale.

Per Bratman, è difficile curare e guarire queste persone, perché hanno la ferma convinzione di agire in modo corretto, sono estremamente sicuri delle loro convinzioni, e si sentono superiori alle persone che non hanno un simile autocontrollo. “Una persona che si riempie le giornate mangiando tofu e biscotti a base di quinoa – ha spiegato lo studioso – si può sentire altrettanto generosa e pia di chi ha dedicato tutta la vita ad aiutare i senzatetto”.FONTE www.repubblica.it

Cibo sano, l’ ossessione diventa malattia

I dietisti: a Milano un disturbo alimentare su quattro provocato dall’ ortoressia MODA IMPORTATA DAGLI USA Il «fondamentalismo dietetico» è nato negli Usa, dove nel 2003 è stata registrata la prima vittima ufficiale dell’ ortoressia PIÙ A RISCHIO LE RAGAZZE Come l’ anoressia e la bulimia, anche l’ ortoressia colpisce in prevalenza le adolescenti, spesso scontente del proprio corpo

Il pesce è da mettere al bando perché contiene il mercurio, lo zucchero favorisce le carie, dopo la mucca pazza prendere in considerazione la carne è impensabile, lo stesso vale per il pollo a rischio aviaria, i salumi vanno eliminati dalla dieta per evitare i brufoli, le verdure sono da scegliere accuratamente chissà mai che contengano pesticidi, e guai, in cucina, a usare il burro, alleato del colesterolo. I maniaci dei cibi sani ragionano (più o meno) così. Con il rischio di diventare vittime di un nuovo disturbo alimentare. L’ ultima ossessione a tavola si chiama ortoressia (dal greco orthòs orexis, corretto appetito). È la fissazione per un’ alimentazione genuina e naturale. Studiata a partire dal 1997 da Steven Bratman, dietologo americano autore del libro Health Food Junkies, l’ idea fissa di nutrirsi in modo salutare adesso ha contagiato anche a Milano. È una mania pericolosa: «Un regime alimentare salutista portato all’ estremo – dicono gli esperti – è dannoso per la salute». Chi soffre di anoressia e bulimia rivolge la sua attenzione alla quantità del cibo: l’ ortoressico è concentrato sulla qualità. Prima di mettere nel carrello della spesa un prodotto controlla mille volte la sua origine sull’ etichetta, i cibi geneticamente modificati gli fanno ovviamente orrore. Negli Stati Uniti il fondamentalismo dietetico ha già fatto una vittima: Kate Finn, scomparsa nel 2003. Il suo è considerato il primo caso ufficiale di morte per ortoressia. Ravizza Simona – Corriere della Sera

Dott. Roberto Cavaliere

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MOBBING

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Il mobbing è, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, etc.) perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell’insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza.

Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge ad un suo membro.

Il termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni settanta dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano in gruppo un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per allontanarlo dal branco. In etologia, particolarmente in ornitologia, mobbing indica anche il comportamento di gruppi di uccelli di piccola taglia nell’atto di respingere un rapace loro predatore.

Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo all’azienda) o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.

Per potersi parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.

Si distingue, nella prassi, fra mobbing gerarchico e mobbing ambientale; nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell’usuale dialogo e del rispetto.

Si parla di mobbing verticale quando un superiore per licenziare un dipendente in particolare perché antipatico, poco competente e produttivo; e di mobbing orizzontale[citazione necessaria] quando in ufficio un collega non è accettato per i diversi interessi sportivi oppure perché diversamente abile. Il mobbing strategico si ha quando l’attività vessatoria e dequalificante tende ad espellere il lavoratore, per far posto ad un altro lavoratore (di solito in posizioni di dirigenza o apicali)

In ogni caso, il mobbing è riferibile ad un complesso, sistematico e duraturo comportamento del datore di lavoro, che deve essere esaminato in tutti i suoi aspetti e nella loro conseguenzialità, per creare un coacervo di stimoli lesivi che non può né deve essere frazionato o spezzettato in tanti singoli episodi, ciascuno dei quali aventi un proprio effetto sanitario ovvero giuridico. Anche perché si è soliti ammantare con solide motivazioni anche gli atti peggiori, sì da dare ad essi una parvenza di legittimità.[1] Gli anzidetti concetti sono importanti per la dimostrazione giudiziale del mobbing.

La pratica del mobbing sul posto di lavoro

La pratica del mobbing consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti, dequalificanti o con scarsa autonomia decisionale) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati; interrompere il flusso di informazioni necessario per l’attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull’accesso a Internet); continue visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra). Insomma, un sistematico processo di “cancellazione” del lavoratore condotto con la progressiva preclusione di mezzi e relazioni interpersonali indispensabili allo svolgimento di una normale attività lavorativa.

Secondo L’INAIL che per prima in Italia ha definito il mobbing lavorativo qualificandolo come costrittività organizzativa le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dalla attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l’impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie, la inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, l’esclusione reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato ed eccessivo.

E’ quindi chiaro che il mobbing non è una malattia ma rappresenta il termine per indicare la complessiva attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro (pubblico o privato, da solo o in combutta) per demansionare il lavoratore, isolarlo e obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni.

Conseguenze sulla salute

Il mobbing non è una malattia ma può esserne la causa. La patologia psichiatrica più frequentemente associata è il disturbo dell’adattamento; esso si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva reattiva all’evento stressogeno. Fra le conseguenze rientrano la perdita d’autostima, depressione, insonnia, isolamento. Il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono disturbi della socialità, quindi, nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi.

1) Gennai, Stefano (6.12.2006). Bossing, mobbing, straining nel pubblico impiego. Altalex. vai al link dell’articolo

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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ANORESSIA E BULIMIA SESSUALE

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L’anoressia e bulimia sessuale al pari di quelle alimentari inizia in maniera inconsapevole. Dici a te stessa: passerà. In fondo, a chi non capita, prima o poi, di non aver voglia di fare l’ amore. E invece per una volta, questa volta, non passa. Il corpo smette di desiderare. La mente, di immaginare. Come un sottomarino, la sessualità si inabissa e cessa di trasmettere e ricevere segnali. La chiamano anoressia sessuale. Dicono che ne soffra un numero sempre maggiore di donne. Negli Usa, da una ricerca sulla popolazione del Journal of American Medical Association condotta da due studiosi come Lauman e Rosen, emerge che il 33 per cento delle donne tra i 18 e i 59 anni soffre di parziale o totale assenza del desiderio sessuale. Contro il 16 per cento dei maschi. In Italia, dove non esistono studi epidemiologici della stessa portata, sessuologi, psicologi, ginecologi concordano nel dire che a soffrirne nella forma più grave è dall’ uno al 3 per cento delle italiane, mentre un 15 per cento denuncia disturbi permanenti del desiderio. L’ anoressia sessuale è il picco più acuto della caduta del desiderio, durante il quale la donna non smette solo di avere desideri sessuali, ma non ha più sogni, né fantasie erotiche spontanee o volontarie, e tantomeno è ricettiva alle avances del partner. Dietro, c’ è quasi sempre una molteplicità di cause e certo non basta conoscerle per superare il problema. Senso di inadeguatezza, scissione tra autostima e valutazione di sé, timore di non meritare d’ essere amata… Questa donna si sente talmente vulnerabile nella vita emotiva, erotica e affettiva da riversare le proprie energia nell’ affermazione professionale, ad esempio. Lei sa che sul terreno dell’ affettività, della sensualità, non basta volere per ottenere: la volontà, il suo migliore alleato, da sola non basta. Sono donne di frequente molto intelligenti, sensibili, colte e con il culto della perfezione estetica. Donne che in psicoterapia dicono: se mi vogliono, se vogliono il mio corpo, devono passare attraverso la mia anima, misurarsi con la mia mente. Mi vuoi? – dicono – vediamo se ne sarai capace. La loro, è spesso una inconsapevole forma di ribellione a tutto ciò che le donne avvertono come uso-abuso del corpo.

Anoressia sessuale e alimentare, sesso e cibo, sono spesso legate da un filo sottile: così la donna che vive nell’ assenza del desiderio può avere momenti di bulimia erotica che non è superamento del problema, ma esasperazione di un’ angoscia che la spinge ad agire. Una trappola nella trappola.

Dott. Roberto Cavaliere

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