ALCOLISMO – DIPENDENZA DA ALCOL
Secondo il DSM IV TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) per poter dire che un uomo o una donna sono alcoldipendenti è necessario che si verifichino almeno 3 delle seguenti condizioni riscontrabili in un periodo di almeno 12 mesi:
- Tolleranza: la necessità di aumentare la quantità di alcol per mantenere gli effetti desiderati
- Sintomi da astinenza o necessità di ingerire alcol per evitare sintomi da astinenza
- Ingestione di quantità d’alcol maggiori o per periodi di tempo più lunghi di quanto pensato
- Desiderio persistente o tentativi di ridurre o controllare la quantità di alcol assunta
- Impegno di tempo per procurarsi e bere alcol o per riprendersi dai suoi effetti
- Abbandono di attività sociali, lavorative o ricreazionali a causa del bere
- Persistenza del bere nonostante la consapevolezza di avere problemi sociali, psicologici e fisici legati al bere
Tutto ciò succede in genere, ma non sempre, al di fuori della consapevolezza; l’Alcolista cioè molto difficilmente si rende conto di ciò che gli sta succedendo, nega di avere questi problemi, di vivere quelle difficoltà, nasconde a se stesso la realtà e possibilmente scarica sugli altri le responsabilità di ciò che gli succede; altre volte si rende conto di ciò che sta succedendo ma non riesce a smettere comunque a causa dell’impulso compulsivo che prova nell’assumere alcol.
Il NOA dell’ASL Città di Milano effettua la seguente distinzione:
Bevitore adeguato
Uomo
2,5 bicchieri di vino a 12° – 2 lattine di birra a 5° – 2 bicchierini di superalcolici a 40°
Donna
1,5 bicchieri di vino a 12° – 1 lattina di birra a 5° – 1 bicchierino di superalcolici a 40°
Abusatore
(oltre le quantità sopraddette all’interno dei pasti)
Bevitore eccessivo
(oltre le quantità sopraddette anche al di fuori dei pasti, con la possibilità di incorrere in disturbi di tipo fisico)
Bevitore problematico
(utilizza l’alcol per sfruttare gli effetti farmacologici)
Alcoldipendente
Colui che non riesce a smettere anche quando comincia a capire che l’alcol per lui è un danno, che gli comporta o gli comporterà seri problemi di natura fisica.
Dott. Roberto Cavaliere
Psicologo, Psicoterapeuta
per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email: cavalierer@iltuopsicologo.it
RIFLESSIONI SULL’ALCOLISMO DI BATESON
Orgoglio di un alcolizzato
1. É chiaro che quel principio della vita di un alcolizzato che l’A.A. chiama ‘orgoglio’ non è strutturato contestualmente intorno a successi avuti in passato. Essi non usano il termine per indicare orgoglio per qualcosa che si è compiuto; l’accento non è sull’ ‘Io sono riuscito…’, ma piuttosto sull’ ‘Io sono capace…’. Si tratta dell’accettazione ossessiva di una sfida, un ripudio della frase ‘Io non sono capace
2. Dopo che l’alcolizzato ha cominciato a soffrire — o a essere biasimato — per il suo alcolismo, questo principio di ‘orgoglio’ viene mobilitato dietro la proposizione ‘Sono capace di mantenermi sobrio’. Ma, si noti bene, il successo in questa impresa distrugge la ‘sfida’; l’alcolizzato diventa troppo sicuro di sé, rilassa la sua determinazione; si arrischia a bere un goccio e finisce col prendere una sbornia. Si può dire che la struttura contestuale della sobrietà cambia per il fatto stesso di riuscire a restare sobri. La sobrietà, a questo punto, non è più l’ambito contestuale appropriato per l’ ‘orgoglio’: ora è il rischio costituito dal bere che getta la sfida e provoca il fatale ‘Io sono capace…’.
3. Quelli dell’A.A. fanno di tutto per far capire che questo cambiamento nella struttura contestuale non avverrà mai. Essi ristrutturano l’intero contesto ripetendo continuamente che « Una volta alcolizzati, si è alcolizzati per sempre ». Essi tentano di far sì che l’alcolizzato assuma l’alcolismo all’interno del proprio io, come un analista di scuola junghiana cerca di far scoprire al paziente il suo ‘tipo psicologico’ perché egli possa poi imparare a convivere con le forze e le debolezze di quel tipo. Per contro, la struttura contestuale dell’ ‘orgoglio’ dell’alcolizzato colloca l’alcolismo fuori dell’io: « Io sono capace di oppormi al bere ».
4. La componente di sfida presente nell’ ‘orgoglio’ dell’alcolizzato è connessa con il correre il rischio. Questo principio si potrebbe esprimere così: “Io sono capace di fare una cosa dove il successo è improbabile e l’insuccesso disastroso”. É chiaro che questo principio non potrà mai servire a mantenere una sobrietà permanente: appena il successo comincia ad apparire probabile, l’alcolizzato deve sfidare il rischio di un bicchierino. L’elemento di ‘scalogna’ o ‘probabilità’ di insuccesso pone l’insuccesso al di là dei limiti dell’io. «L’insuccesso, se ci sarà, non sarà dovuto a me.. L’ ‘orgoglio’ dell’alcolizzato restringe via via il concetto di ‘io’, situando gli eventi fuori della sua portata.
5. Il principio dell’ ‘orgoglio nel rischio’ si rivelerà quasi suicida. Niente di male se per una volta sfido l’universo per vedere se esso è dalla mia parte, ma se questa sfida la ritento continuamente e in modo sempre più incalzante, m’imbarco in un’impresa il cui unico risultato sarà di dimostrare che l’universo mi odia. Eppure, nonostante tutto, i resoconti dell’A.A. mostrano ripetutamente che, al colmo della disperazione, l’orgoglio talvolta impedisce il suicidio. La quietanza definitiva di morte non dev’essere rilasciata dall’ “io”.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 355
Un breve periodo di lotta vittoriosa indebolisce la sua determinazione, ed egli ci ricasca
Diciamo subito che, in Occidente, nelle normali abitudini relative al bere vi è una tendenza molto forte verso la simmetria. A parte i casi di alcolismo, due individui che bevano insieme sono spinti dall’uso a restar pari, un bicchiere a te, un bicchiere a me. A questo stadio, l’ ‘altro’ è ancora reale, e la simmetria, o rivalità, tra i due è di natura amichevole.
Quando invece l’alcolizzato cerca di resistere al bere, egli comincia a trovar difficile resistere al contesto sociale secondo cui egli dovrebbe restar pari con gli amici nel bere. L’A.A. dice: “Il cielo sa con quanta forza e per quanto tempo noi abbiamo tentato di bere come gli altri!”.
Man mano che le cose peggiorano, l’alcolizzato diventa solitamente un bevitore solitario ed esibisce l’intera gamma di reazioni alla sfida. La moglie e gli amici cominciano a insinuargli che il suo bere è una debolezza ed egli può reagire, in modo simmetrico, sia irritandosi con loro sia affermando la sua forza nel resistere alla tentazione dell’alcool. Ma, com’è caratteristico delle reazioni simmetriche, un breve periodo di lotta vittoriosa indebolisce la sua determinazione, ed egli ci ricasca. Uno sforzo simmetrico richiede un antagonismo continuo da parte dell’avversario.
A poco a poco, il punto focale della battaglia cambia, e l’alcolizzato si trova impegnato in un nuovo e più esiziale tipo di conflitto simmetrico: ora deve dimostrare che l’alcool non può ucciderlo. “Sanguina la sua testa, ma non si piega”: egli è ancora “il capitano della sua anima”, per ciò che vale…
Nel frattempo i suoi rapporti con la moglie, col capufficio e con gli amici sono andati guastandosi. Non gli era mai piaciuta la posizione complementare del suo capufficio, in quanto autorità; e ora, man mano che egli va in rovina, anche sua moglie è sempre più costretta ad assumere una parte complementare: sia che essa cerchi di imporglisi o di mostrarsi protettiva o tollerante.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 359
TOCCARE IL FONDO
Toccare il fondo esemplifica la teoria dei sistemi a tre livelli:
1. L’alcolizzato rimugina sugli sconforti della sobrietà fino a un punto di soglia, dove gli si rivela il fallimento dell’epistemologia dell’ ‘autocontrollo’. Allora si ubriaca perché il ‘sistema’ è più grande di lui — e quindi tanto vale arrendersi ad esso.
2. Si abbandona ripetutamente all’ubriachezza finché dimostra che c’è un sistema ancora più grande. Allora sperimenta il panico di ‘toccare il fondo’.
3. Se amici e terapisti lo rassicurano, può anche darsi che egli raggiunga una nuova precaria situazione di equilibrio — intossicandosi del loro aiuto — finché dimostra che questo sistema non funziona e di nuovo ‘tocca il fondo’, ma a un livello più basso. In questo, come in tutti i sistemi cibernetici, il segno (positivo o negativo) dell’effetto di una qualunque intrusione nel sistema dipende dall’istante in cui essa ha luogo.
4. Infine, il fenomeno di toccare il fondo è collegato in modo complesso all’esperienza del doppio vincolo. Bill W. racconta di aver toccato il fondo quando nel 1939 si sentì dire dal dottor William D. Silkworth di essere un alcolizzato senza speranza; questo evento è considerato l’inizio della storia dell’A.A. Il dottor Silkworth, inoltre, “ci forni gli strumenti con cui trapassare l’ego dell’alcoIizzato più coriaceo, quelle frasi sconvolgenti con cui descriveva la nostra malattia: l’ossessione della mente che ci spinge a bere e l’allergia del corpo che ci condanna alla pazzia o alla morte ». Questo è un doppio vincolo fondato correttamente sull’epistemologia dell’alcolizzato, che è imperniata sulla dicotomia mente-corpo. L’alcolizzato è spinto da queste parole sempre più indietro, fino al punto in cui solo un cambiamento involontario nell’epistemologia dell’inconscio profondo — un’esperienza spirituale — renderà per lui irrilevante questa descrizione letale.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 365
Psicologo, Psicoterapeuta
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