L’overthinking è la tendenza a rimurginare e pensare troppo ed è negativo per tutti. A spiegarlo sono gli studi di Susan Nolen-Hoeksema, Capo del Dipartimento di Psicologia presso l’Università di Yale, scomparsa nel 2013, che del fenomeno overthinking aveva fatto il centro delle sue ricerche.
Se sei donna capita più di frequente: secondo l’autrice del libro Women Who Think Too Much: How to Break Free of Overthinking and Reclaim Your Life, Donne che pensano troppo (come scappare dall’overthinking e riprendere in mano la tua vita) il pensiero ruminativo costituisce un fattore di rischio nel mantenimento della depressione.
Il lavoro di Susan Nolen-Hoeksema, che se n’è andata all’età di 53 anni in seguito a un intervento chirurgico, si era concentrato sulle differenze di genere nella depressione, e le conseguenze che i nostri pensieri e le emozioni possono avere nello stato di benessere complessivo della persona.
La malattia non è uguale per donne e uomini non solo poiché viene affrontata in modo diverso, bensì in quanto è il modo in cui affrontiamo la nostra vita emotiva e le difficoltà del quotidiano ciò che apre prospettive differenti.
Uomini e donne vivono l’essere vulnerabile in modo diverso e oggi la medicina di genere si interroga sulla possibilità di realizzare percorsi di cura che tengano conto della persona in tutti i suoi aspetti, sesso compreso, un tema che per molto tempo è stato trascurato e reso forzatamente “neutro”. Ma che cosa significa pensare troppo?
Quando ci focalizziamo sulle cause e l’analisi del problema non stiamo attuando un’azione di problem solving, cioè… non stiamo risolvendo in nessun modo il problema. Parlando di depressione maschile, il dottor Gianluigi Mansi, Responsabile dell’Unità di Psichiatria e Riabilitazione Psichiatrica presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza, racconta un fenomeno che capita di vivere a molti, soprattutto uomini padri di famiglia: per la sindrome del pescatore quando usciamo in mare affrontando le tempeste del quotidiano non possiamo tornare a mani vuote.
È il senso di responsabilità che ci fa stare all’erta. Come spiegano gli esperti, l’ansia entro certi limiti è positiva perché è una forma di attenzione, ci spinge a interrogarci e dare il meglio, pretendere di più, vedere i segnali, buttarci nella competizione. Tuttavia, l’esistenza è fatta da una serie di bivi e strade che si incrociano, sentieri che si perdono, fermate mancate, deviazioni e lavori in corso: non possiamo ridurre la nostra felicità all’idea che ci sia una strada giusta da percorrere.
In fondo, la vita non ha una meta, se non il bagaglio di esperienza che impariamo nel viaggio: un viaggiare che non arriva da nessuna parte e invece è esplorazione, curiosità verso il percorso, cadute e nuove corse.
“Se quella volta….. ”: quante volte l’hai detto o pensato? Quando ragioniamo con “avessi… fatto, detto scelto” rimaniamo bloccati nel tempo passato senza trovare nuove soluzioni per risolvere il presente. È demoralizzante e frustrante torturarsi pensando alle scelte che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Inoltre, è semplicemente falso: sei lì dove ti trovi, accettarlo è il primo passo per vedere e affrontare la realtà.
L’auto-riflessione può avere una funzione costruttiva, tuttavia spesso accade di analizzare una situazione di disagio concentrandosi sulle cause: questo aspetto è positivo solo fino a quando ti serve a mettere in evidenza lati che non avevi considerato e far emergere le tue emozioni profonde. Il rischio? A causa della tua precisione e profondità di analisi continuerai a ripetere (a te stesso e agli altri!) e raccontare la stessa situazione, concentrandoti sul problema e su quello che ti fa stare male.
STOP! Abbiamo bisogno di dare una tregua ai pensieri. Secondo Susan Nolen-Hoeksema è sempre più frequente che, durante una semplice pausa, le persone si sentano all’improvviso invase da un’ondata di preoccupazioni, pensieri e emozioni che scorrono come un fiume incontrollato e impossibile da arginare: ecco perché coltivare nuovi stili di pensiero e inziare a rallentare consapevolmente la tendenza a rimuginare significa imparare, poco a poco, a svuotare la mente.
Una mente che pensa troppo è un sabotaggio per la nostra creatività e ostacola la nostra capacità di essere nel momento presente. Il risultato? Quando ci portiamo dietro un carico di pensieri sempre più pesante finiamo per occupare tutto lo spaziodisponibile. Al contrario, fare vuoto e liberare la mente è acquistare lucidità, diventare più presenti, come animali dotati di un istinto ancestrale che ci permette di essere qui e ora, fronteggiando gli eventuali pericoli senza combattere contro vecchi fantasmi. Non solo una mente più fluida e leggera, ma la capacità di rispondere alle situazioni in modo più flessibile, dinamico e adeguato.
Dott. Roberto Cavaliere
Psicologo, Psicoterapeuta
Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)
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