L’ANSIA SAREBBE EREDITARIA

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L’Università del Wisconsin, dopo aver osservato il cervello di 400 primati, attribuisce la ‘colpa’ della maggior parte delle apprensioni e delle preoccupazioni ai geni

Le persone particolarmente ansiose lo hanno a lungo sospettato, ma ora la conferma arriva anche dalla scienza: l’ansia sarebbe ereditaria. Secondo una ricerca condotta dall’Università del Wisconsin a Madison, negli Usa, dunque, la ‘colpa’ della maggior parte delle apprensioni e delle preoccupazioni sarebbe scritta nei geni. Attraverso uno studio, effettuato osservando il cervello di centinaia di scimmie, infatti, è stata identificata la regione del cervello che ne causerebbe i sintomi. Un’area che si trasmette dai genitori ai figli.

L’amigdala crea apprensione nei primati
Basandosi su risultati raccolti da ricerche precedenti, il Dottor Ned Kalin e la sua squadra di ricercatori hanno osservato gli effetti causati dagli stati di ansia, analizzando il cervello di quasi 400 primati. Lo studio, pubblicato di recente sulla rivista JNeurosci, si è concentrato sull’inibizione comportamentale e sui temperamenti ansiosi che appaiono già in giovane età. Il dott. Kalin e il suo team sono così riusciti a individuare le reti cerebrali che ricoprono un ruolo fondamentale nella manifestazione di un comportamento eccessivamente ansioso.
Facendo ricorso a una scansione a risonanza magnetica, è emerso come le scimmie con livelli più elevati di ansia avessero anche una maggiore attività in una precisa area del cervello: l’amigdala. Questa si divide in due parti, il nucleo centrale (Ce) e il vicino nucleo del letto dello stria terminale (BST). In altre parole, la quantità di attività in queste due aree è in grado di determinare quanto ansioso potrà essere un soggetto.
I giovani primati sono stati valutati al loro livello di ansia naturale. Esponendoli a un fattore stressante, rappresentato dalla presenza di un intruso umano, questi hanno reagito in maniera assai differente: quelli più ansiosi sono rimasti quasi immobilizzati davanti al pericolo.

I primati scelti per l’esperimento erano tutti legati da una sorta di grado di parentela. Questo ha permesso ai ricercatori di calcolare quanto il manifestarsi di stati d’ansia sia ereditario e quanto si abbini o meno al cambiamento dell’attività cerebrale. Come spiegato dagli stessi autori, i livelli di connettività tra Ce e BST sono fortemente ereditabili: “Le analisi hanno dimostrato che la connettività funzionale Ce-BST e il temperamento ansioso sono trasmessi insieme all’albero genealogico”.
Si tratta dunque di una scoperta assai interessante anche in prospettiva futura. Poiché l’ansia nell’infanzia è in grado di predire la salute mentale in età avanzata, capire come si sviluppi potrebbe impedire che quest’ultima peggiori ulteriormente nel corso del tempo.

Ciò non toglie che anche se è provata un origine ereditaria dell’ansia, i fattori ambientali possono ridurre o amplificare l’influenza dell’ereditarietà e le varie forme di psicoterapie che curano l’ansia si muovono in tale direzione.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

DIPENDENZA DA VIDEOGIOCHI E DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’

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Uno studio condotto dai ricercatori della Loma Linda University, conferma che il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) è associato all’uso smodato dei videogiochi. La ricerca dell’università californiana, “Video game addiction, Adhd symptomatology, and video game reinforcement”, pubblicata lo scorso 6 giugno sull’American Journal of Drug and Alcohol Abuse, rileva, infatti, l’associazione tra gravità dell’Adhd e gravità della dipendenza da videogame e mostra che il rischio di dipendenza esiste indipendentemente dal tipo di videogioco usato o preferito.

“Il risultato è coerente con la nostra ipotesi e con una ricerca precedente, e suggerisce che le persone con maggiore gravità dei sintomi di Adhd possono essere maggiormente a rischio di sviluppare abitudini di gioco problematiche”, ha affermato Holly E. R. Morrell, professoressa della Loma Linda University School of Behavioral Health e ricercatrice principale del progetto.

Lo studio è uscito nel periodo in cui la dipendenza da videogiochi è stata riconosciuta un problema di salute pubblica internazionale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto la voce “gaming disorder” nell’undicesima edizione della Classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Diseases), pubblicata il 18 giugno.

L’esito di ricerche precedenti ha mostrato che il 23% dei giocatori di videogame presentavano sintomi di dipendenza tali da produrre effetti negativi su salute, benessere, sonno, studio e socializzazione.

Nella ricerca della Loma Linda University, il numero di ore trascorse a giocare è stato associato alla gravità della dipendenza. I maschi hanno mostrato maggiore gravità di dipendenza rispetto alle femmine. La prof.sa Morrell e il suo team hanno testato circa 3.000 giocatori tra i 18 e i 57 anni. L’età non costituiva un fattore di studio.

Esperta nel campo della dipendenza, la prof.sa Morrell ha pubblicato di recente uno studio a più mani, intitolato “Cyberpsychology, Behaviour e Social Networking”, in cui descrive alcuni dei rischi associati alla dipendenza da videogame: problemi di salute fisica e mentale, ma anche sociali e di operatività professionale.

Dott. Roberto Cavaliere

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LA DIPENDENZA SESSUALE E’ UN DISTURBO MENTALE

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L’Oms ha annunciato che la dipendenza da rapporti sessuali rientra tra i disordini di tipo mentale. Infatti il disordine sessuale compulsivo è entrato a far parte della lista internazionale delle malattie appena aggiornata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). L’elenco in questione è stato aggiornato più precisamente a giugno ed è un documento di primaria importanza per medici e studiosi che vogliano aiutare i pazienti con dei seri problemi.

In base a quanto afferma l’Oms, questa tipologia di dipendenza per essere tale deve creare disturbi importanti alla vita della persona.

Il paziente affetto da questa problematica non riesce a controllare i propri impulsi [VIDEO] che sono intensi e ripetitivi, ma deve per forza di cose dar ‘sfogo’ ai sui desideri. L’attività sessuale diventa così di fondamentale importanza, tanto da portare il paziente a far trascurare il proprio stato di salute, i propri interessi ed il lavoro.

Per essere diagnosticato come un disturbo, l’evento deve avere una durata di almeno sei mesi. Bisogna specificare che la problematica non dipende dalla quantità di persone con cui si hanno rapporti sessuali o da quante volte lo si fa, ma piuttosto da quanta pressione faccia questo desiderio sulla propria vita tanto da arrivare a rovinare anche le interazione interpersonali.

Non tutti sono però concordi sul fatto che questa tipologia di comportamento rientri nella categoria di disturbi mentali.

Secondo alcuni esperti infatti, non sussistono sufficienti prove scientifiche [VIDEO] che dimostrino quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Alcuni credono che la dipendenza dal sesso sia un disturbo autonomo, altri credono invece che la problematica possa essere molto seria come la dipendenza dal gioco. A livello nazione, non sussistono ancora ricerchi che affermino quante siano le persone che soffrono di tale disturbo.

In base a delle indagine sia regionali che locali, è però emerso che la dipendenza sessuale potrebbe interessare il 5% della popolazione. Ciò vuol dire che esistono più persone che combattono con tale problematica rispetto a quanti soffrono di disturbi come la schizofrenia o il gioco d’azzardo patologico. Nel corso degli ultimi anni sicuramente si avranno dei dati più precisi al riguardo.

Dott. Roberto Cavaliere

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IL BRANO MUSICALE CHE RIDUCE L’ANSIA

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I neuroscienziati nel Regno Unito hanno trovato che un singolo brano musicale provoca una drastica riduzione del 65 per cento dell’ansia generale.

I ricercatori di Mindlab International nel Regno Unito volevano sapere che tipo di musica indurrebbe il più grande stato di rilassamento. Lo studio ha coinvolto i partecipanti a cercare di risolvere un puzzle difficile – che inevitabilmente ha innescato un certo grado di stress – il tutto mentre erano collegati a dei sensori. Allo stesso tempo, i partecipanti hanno ascoltato una serie di brani mentre i ricercatori misuravano la loro attività cerebrale, la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e il tasso di respirazione.

Quello che hanno scoperto è che una canzone ha portato ad una riduzione del 65 per cento dell’ansia complessiva dei partecipanti e una riduzione del 35 per cento dei normali tassi di riposo fisiologici.

È interessante notare che la canzone è stata appositamente progettata per indurre questo stato estremo di rilassamento. Creato dalla Marconi Union, i musicisti hanno collaborato con terapisti per organizzare con cura accordi di armonia, ritmi e linee di basso, che a sua volta rallentano la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna dell’ascoltatore, riducendo altresì gli ormoni dello stress come il cortisolo .

Infatti, la musica è così efficace, che molti partecipanti hanno mostrato segni di sonnolenza- al punto che il ricercatore Dr. David Lewis-Hodgson ha consigliato di non ascoltarlo durante la guida.

Il brano in questione è questo,provare per credere:

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LIBRO: SE NON MI AMO, NON TI AMO

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IL NUOVO LIBRO DEL DOTTOR ROBERTO CAVALIERE SULLA DIPENDENZA AFFETTIVA IN VENDITA IN TUTTE LE LIBRERIE ED ONLINE

“Andare a letto, ogni sera, con un pensiero fisso, placare la stanchezza emotiva per qualche ora con un sonno comunque agitato, svegliarsi al mattino ancora stanchi e trovare quel pensiero, ricaricato di forza e crudeltà. Un altro giorno di mal d’amore. Se fosse reciproco, potrebbe essere anche romantico. Ma, il più delle volte, non è così. Alle persone che “amano troppo” le rassicurazioni dell’altro non bastano mai, persi come sono in un polverone di tempesta emotiva. Questo libro rappresenta un po’ la “formula magica” per capire e superare il proprio disagio affettivo e relazionale, capovolgendo il “non posso stare né con te, né senza di te” (Ovidio) in “posso stare con te e senza di te”. Esplorando la forma primaria del mal d’amore, la dipendenza affettiva, in tutte le sue sfaccettature e in tutte le varie modalità con cui si manifesta sia a livello del singolo che della coppia, l’autore chiarisce qui le dinamiche e vi offre preziose indicazioni terapeutiche e suggerimenti finalizzati al superamento del vostro disagio affettivo e relazionale.”

vedi pagina fb https://www.facebook.com/senonmiamonontiamo/?pnref=story

Scheda del libro al seguente indirizzo: https://www.francoangeli.it/ricerca/Scheda_libro.aspx?id=24127

Leggi le prime 20 pagine del libro al seguente indirizzo : https://www.francoangeli.it/Area_PDFDemo/239.312_demo.pdf

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I VANTAGGI DEL PENSIERO NEGATIVO

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Oggi tutti parlano ‘positivamente’ del ‘pensiero positivo’.

Siti internet, social network, psicologi, coach, counselor, e via dicendo, tutti a declamare i vantaggi del pensiero positivo, ad invitare a vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto.

Ma è effettivamente così positivo il pensiero positivo ? (scusate il gioco di parole)

Lo studioso Burkeman O.nel libro ” La legge del contrario” edito da Mondadori (2015) (che invito a leggere) è appunto di parere contrario e riporto di seguito dei brani tratti dal libro che possono servire a comprendere le sue motivazioni.

La formula generale, al di là delle differenze nell’approccio dell’argomento trattato, sembra essere questa: se ti sforzi di pensare alla positività e al successo, di concentrarti sul raggiungimento degli obiettivi, felicità e successo arriveranno da sé.
Ma il lavoro di svariati studiosi in questo ambito ci suggerisce anche un ‘alternativa più promettente ovvero un approccio alla felicità che potrebbe assumere una forma completamente diversa. Il primo passo è dare un taglio alla ricerca della positività ad ogni costo, al contrario, diversi autori della “via negativa” sostengono, in modo paradossale ma persuasivo, che accogliere deliberatamente ciò che riteniamo negativo sia una precondizione della vera felicità. L’ottimismo incondizionato non fa che acuire lo shock quando le cose vanno per il verso sbagliato: sforzandoci di nutrire esclusivamente convinzioni positive sul futuro, il pensatore positivo finisce per essere meno preparato e più vulnerabile agli (inevitabili) eventi che non riesce a classificare come auspicabili. Voler vedere sempre il bicchiere mezzo pieno richiede uno sforzo costante e faticoso. Se il nostro impegno fallisce o si dimostra insufficiente a reggere uno shock imprevisto, ricadremo in una depressione forse ancora più nera.

La capacità negativa non è sempre superiore al suo opposto. L’ottimismo è meraviglioso, gli obiettivi possono talvolta rivelarsi utili, e persino il pensiero positivo e la visualizzazione positiva hanno i loro vantaggi. Il punto è che nel rapportarci alla felicità abbiamo sviluppato l’abitudine di sopravvalutare sistematicamente la positività e la dimensione del fare, sottovalutando la negatività e la dimensione del non fare insite per esempio nell’accettazione dell’incertezza e della vulnerabilità.

La capacità negativa è l’abilità che metti in campo quando ti dedichi a un progetto – o alla tua vita – in assenza di obiettivi specifici, quando hai il coraggio di riflettere sui tuoi insuccessi, quando rinunci a neutralizzare l’insicurezza e quando lasci perdere le tecniche motivazionali per darti da fare sul serio. Certo, puoi decidere di votarti allo stoicismo (…). Oppure potrai avere un’esperienza alla Eckhart Tolle, di quelle che ti ribaltano la vita. Ma puoi anche trattare queste idee come cassette portautensili dalle quali estrarre gli attrezzi che ti servono. Ognuno di noi può diventare moderatamente stoico, un po’ più buddista o praticare il memento mori con più frequenza: a differenza di tanti metodi di self help che pretendono di essere manuali di vita onnicomprensivi, la via negativa alla felicità non è un pacchetto “tutto o niente”

Personalmente condivido e faccio mia la massima latina che afferma che “La verità sta nel mezzo”

Infine invito a riflettere su questo breve racconto che, indirettamente, la dice lunga sull’utilità dei seminari di crescita personale

Una volta Buddha si trovava in una città, ed un uomo gli si avvicinò. Gli chiese se Dio esistesse e Buddha rispose: “Ovviamente si.” L’uomo se ne andò pensieroso. Poco dopo un altro uomo si avvicinò al Buddha, e gli fece la stessa domanda. Il Buddha rispose: “No, Dio non esiste.” Anche quest’uomo se ne andò pensieroso.

Un discepolo si avvicino a Buddha e gli chiese come mai avesse dato due risposte diverse alla stessa domanda e il Buddha rispose: “Il primo era ateo, mentre il secondo era un profondo credente. Entrambi stavano cercando una conferma alle loro credenze, e speravano che io gli dessi la risposta giusta. Ma la vera risposta giusta non gliela posso dare io, devono scoprirla da soli facendo un percorso di ricerca personale che io non gli posso insegnare.”

Dott. Roberto Cavaliere

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5 ALIMENTI CHE AUMENTANO L’ANSIA

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Ci sono alimenti comuni e sostanze che possono inasprire i sintomi di ansia. Evitando questi cibi possiamo ridurla.

1. Cereali

I cereali possono essere uno dei motivi che creano maggiormente ansia e si è ansiosi si può provare ad evitarli.

Tuttavia i cereali come riso, crusca, frumento, segale, avena hanno un alto contenuto di fibre.

Ma contengono anche una sostanza chiamata acido fitico, un anti-nutriente che blocca l’assorbimento del corpo di zinco, ferro, calcio e magnesio con conseguente aumento dell’ansia.

2. Lo zucchero

 

Lo zucchero fa parte di questa lista. Pur avendo un debole per i dolci, di tanto in tanto possono aiutarvi ad avere meno stress ma i cibi che contengono zucchero raffinato possono farvi sentire nervosi. Tra l’altro è meglio stare alla larga il più possibile dagli zuccheri raffinati ( zucchero bianco ) e dolcificanti artificiali. Cercate di limitarne il consumo.

3. La caffeina

Alcune persone hanno bisogno di una tazza di caffè per affrontare il mattino. Ad altri potrebbe causare attacchi di panico. Bevande energetiche, bibite, tè, o qualsiasi altra bevanda con caffeina potrebbero svegliarvi, ma anche dare un effetto abbastanza simile ad un attacco di panico, quali, nervosismo, insonnia.

Infatti la caffeina aumenta la frequenza cardiaca, dà tremolii, irrequietezza, agitazione, ansia, eccitazione, insonnia, vampate di calore al viso, aumento della minzione, disturbi gastrointestinali e tanti altri. Bere con moderazione, una tazza di caffè al giorno può essere utile, ma se si hanno difficoltà a dormire o si verificano questi sintomi, è il caso di non assumerne.

4. L’alcol

Si sa che l’alcol è un sedativo, bere un bicchiere di vino o una bottiglia di birra dopo una lunga giornata può solo peggiorare le cose. Troppo alcol, infatti, può causare un altro elenco di problemi che danno origine ad ansia.

Bere alcol porta alla disidratazione, destabilizza l’equilibrio del nostro intestino (soprattutto se è fatto con alcuni cereali), interferisce con l’uso del corpo della serotonina ( “ormone del buonumore”) e scombina i livelli di zucchero nel sangue. Non c’è da meravigliarsi se il corpo entra in modalità panico quando si beve alcol!

5. Intolleranze Alimentari

Se sa già che si è intollerante ad alcuni cibi, non vanno mangiati! Se non si sa a quali cibi si è intollerante, facendo una dieta di eliminazione può essere un modo per scoprirlo.

I principali colpevoli da eliminare sono mais, uova, glutine, latticini e soia. Iniziate  il test aggiungendo lentamente uno di questi alla vostra dieta e valutate la vostra ansia. Se è già stata provata una dieta di eliminazione e non avete ancora risolto il problema con l’ansia, rivolgetevi a un dietologo o un nutrizionista.

Una dieta per ridurre l’ansia (evitare di aumentare l’ansia)

Fortunatamente, semplici ma sani cambiamenti di dieta possono aiutare a ridurre l’insorgenza di panico e ansia e portare ad un aumento della salute. Bere molta acqua mantiene il corpo idratato ed elimina la rabbia, l’irritabilità e la tensione.

Mangiare frutta fresca e verdura aiuta l’organismo ad assorbire il nutrimento di cui ha bisogno e combatte le carenze vitaminiche che portano ai sintomi di ansia. Aggiungendo al vostro organismo cibi ad alto contenuto di acidi grassi Omega-3, il triptofano, o di magnesio può anche contribuire a ridurre l’ansia.

Dott. Roberto Cavaliere

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L’INFLUENZA PSICOLOGICA DELLE EMOTICON

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Le emoji e le emoticon fanno ormai parte integrante del nostro modo di comunicare. C’è chi le usa in ogni messaggio che manda, e c’è invece chi le usa molto raramente, ma a tutti noi capita di utilizzare quelle simpatiche “faccine” per rafforzare il senso di un messaggio, o anche solo per esprimere un’emozione (divertimento, stanchezza, tristezza e così via). Più del 90% della popolazione on-line utilizza le emoticon, ed i ricercatori si chiedono ora che cosa può rivelare sul comportamento umano questa particolare tendenza. Le emoticon possono forse fornire approfondimenti sulla personalità dell’utente, o anche informazioni che potrebbero interessare discipline come linguistica e marketing?

A rispondere alla domanda è un lavoro pubblicato su Trends in Cognitive Sciences, secondo cui emoji ed emoticon possono effettivamente rappresentare degli strumenti per valutare come ci rapportiamo gli uni agli altri nella nostra era digitale.

Le emoticon, secondo gli esperti, possono rappresentare uno strumento per compensare l’assenza di linguaggio non verbale tipica delle interazioni attraverso email ed sms, linguaggio che invece emerge nelle conversazioni “faccia a faccia”, o anche nelle video-chiamate.

Gli esperti ritengono dunque importante capire come la comunicazione tramite emoji ed emoticon possa fornire indizi in merito alle interazioni on line. Le persone possono giudicarci basandosi anche sulle “faccine” che utilizziamo, e non sempre questi giudizi sono infatti accurati. Tali giudizi possono variare a seconda di dove o con chi si utilizzano quegli emoji, come ad esempio sul posto di lavoro o tra i membri della famiglia.

Dott. Roberto Cavaliere

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CHRISTMAS BLUES: LA MALINCONIA DEL NATALE

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Il fenomeno del “Christmas Blues” è quel velo di tristezza e malinconia che attanaglia tante persone con l’approssimarsi delle festività natalizie e durante il loro decorso.
Tristezza e malinconia dovuta, il più delle volte, ad eventi del passato che hanno caratterizzato in senso negativo questo periodo o ad eventi recenti, come un lutto o una separazione, che acuiscono il senso della perdita e della mancanza durante festività che andrebbero vissute con i propri affetti.
E’ anche dovuto a quel senso di felicità forzata che il clima natalizio vorrebbe imporre e che non si riesce ad avere a causa dei problemi e dei disagi vissuti che non possono scomparire a comando.
Alla fine chi vive questa malinconia aspetta solo che le festività passino del tutto

Dott. Roberto Cavaliere

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C’E’ ASSOCIAZIONE TRA DISTURBI PSICOLOGICI E MALATTIE FISICHE

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Da uno studio pubblicato dai ricercatori dell’Università di Basilea (Svizzera) emergerebbe  un’associazione tra disturbi mentali e patologie fisiche. 

La ricerca è stata condotta sulle condizioni sanitarie di 6.483 ragazzi di età compresa tra 13 e 18 anni, che risiedevano negli Stati Uniti. L’analisi ha permesso di scoprire che nei giovani alcune malattie fisiche tendevano a verificarsi più frequentemente, se in precedenza i partecipanti avevano sofferto di alcuni disturbi mentali. Allo stesso modo, specifici problemi mentali tendevano a verificarsi con maggiore frequenza dopo l’insorgenza di particolari patologie fisiche.

Gli scienziati hanno, infatti, osservato che la depressione era spesso seguita da artrite e malattie del sistema digestivo, mentre l’ansia dalle patologie cutanee. Ma è anche emerso che le possibilità di soffrire di ansia erano maggiori nei soggetti che in passato avevano sofferto di malattie cardiache. Inoltre, per la prima volta è stata rilevata una stretta associazione tra l’epilessia e il successivo sviluppo di disturbi alimentari. 

“Per la prima volta, abbiamo scoperto che l’epilessia è associata a un aumento del rischio di soffrire di disturbi alimentari – spiega Marion Tegethoff, che ha diretto lo studio -. Si tratta di un fenomeno che in precedenza era stato osservato sono in singoli casi. Questo suggerisce che il trattamento dell’epilessia potrebbe essere indirizzato anche alla prevenzione dei disturbi alimentari”.

Lo studio, secondo gli esperti, evidenzierebbe quindi l’esistenza di una relazione causale tra disturbi mentali e malattie fisiche. Pertanto, potrebbe aiutare a migliorare la conoscenza e la cura di questi due tipi di patologie. Inoltre, i risultati suggeriscono che il trattamento dei disturbi mentali e quello delle malattie fisiche dovrebbero essere strettamente interconnessi, fin dalla giovane età.

Dott. Roberto Cavaliere

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