TERAPIA DI GRUPPO

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A prescindere dall’orientamento di base del gruppo terapeutico, alcune funzioni sono presenti in ciascuna terapia di gruppo. Secondo Yalom, i fattori terapeutici generali validi per tutti gli approcci gruppali sono:

– universalità : il paziente trae beneficio dal rendersi conto che tutti i suoi sintomi possano essere condivisi;
– acquisizione di nuove informazioni: la pluralità che caratterizza il gruppo è fonte, inevitabilmente, di notizie e chiarimenti sui problemi condivisi;
– instillazione di speranza : il farsi coraggio vicendevolmente mobilità l’ottimismo tra i partecipanti e la sensazione di potercela fare;
– cambiamento del copione familiare : il gruppo consente la messa in scena, attraverso un delicato gioco di transfert e controtransfert, di vecchi drammi familiari, che con la presenza esperta del terapeuta possono essere rivisitati e cambiati al fine di raggiungere migliori livelli di benessere;
– altruismo : i partecipanti al gruppo sperimentano l’importante vissuto di essere non solo bisognosi ma anche competenti e in grado di soddisfare richieste altrui, attraverso le loro indicazioni o suggerimenti;
– sviluppo di tecniche di socializzazione : il gruppo svolge una fondamentale funzione di specchio. I partecipanti attraverso feedback e risposte aiutano e sono aiutati nell’acquisizione di una più accurata autopercezione. La nuova consapevolezza è alla base per un successivo cambiamento di interazione sociale;
– comportamento imitativo : ogni paziente ha la possibilità di osservare e prendere a modello gli aspetti positivi del comportamento degli altri partecipanti e del terapeuta;
– apprendimento interpersonale : ogni partecipante, per migliorare la propria patologia, deve attraversare diversi stadi. In primo luogo è indispensabile rendersi conto delle proprie modalità di interazione sociale e delle conseguenze che esse hanno sugli altri e su se stesso, quindi, deve modificare tali modalità, attraverso la sperimentazione, nel gruppo, di nuovi comportamenti e infine deve verificare se essi risultano effettivamente più adeguati e rispettosi per tutti;
– coesione di gruppo : i partecipanti sperimentano la sensazione che qualcosa di importante sta per avvenire all’interno di un contesto protetto e accogliente. La coesione di gruppo altro non è che la percezione dell’esistenza di un setting o un contenitore le cui “pareti” sono formate dai vari membri e dalla loro voglia di far parte del gruppo;
– catarsi : il contesto gruppale sviluppa la potenzialità liberatoria attraverso l’immedesimazione nell’altro e nelle sue problematiche;
– fattori esistenziali : non costituiscono di per se un fattore di cambiamento ma una consapevolezza necessaria affinché gli eventi avversi della vita possano essere vissuti con meno drammaticità. Essi comprendono la responsabilità, la solitudine, il senso dell’esistenza, la morte.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

TECNICHE COGNITIVO-COMPORTAMENTALI

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I 45 OBIETTIVI

PER CHI HA DECISO DI DARE FINALMENTE UNA “SVOLTA ALLA PROPRIA VITA”

Obiettivi da fissare in 5 giorni

1° giorno: scrivi 15 obiettivi/desideri per la tua nuova vita

Scrivi IN POSITIVO, spiegando chiaramente quelllo cui stai pensando (15 sono tanti, ma devono essere tanti, ricordando che devono essere obiettivi TUOI

2 giorno: senza leggere quello che hai scritto ieri, scrivine 12 con le stesse modalità

3 giorno: sempre senza leggere quello che hai scritto nei giorni precedenti, scrivine 9, ampliando e arricchendo la descrizione dei tuoi obiettivi

4 giorno: come sopra, ma ne vanno scritti solo 6

5 giorno: scrivi solo 3 obiettivi, saranno quelli reali su cui il tuo cervello, la tua anima ed il cosmo intero lavoreranno in tutto il periodo che ti sei concesso per il loro raggiungimento (almeno un anno). Scrivili in maniera chiara, precisa, dettagliata, in positivo ed usando il VOGLIO.

E’ importante scrivere (meglio se si prende un quaderno o si apre un file “privato”). E’ importante farlo subito tutti e 5 i giorni senza saltarne nemmeno uno. E’ importante essere precisi, completi, descrittivi nella definizione dei propri obiettivi.

In bocca al lupo

PRENDERE UNA DECISIONE IN 5 PUNTI

•  Prima di prendere qualsiasi decisione, piccola o grande che sia, è necessario distaccarsi da tutto il resto, cercare di calmarci, rilassarci. Se nonostante queste condizioni non riusciamo a decidere, vorrà dire che non è ancora il momento ed il tutto dovrà essere rinviato quando siamo davvero pronti.

•  Nel frattempo cerchiamo di fornire a noi stessi tutte le informazioni utili sulla decisione da prendere. Ad esempio se dobbiamo separarci, cerchiamo e vagliamo tutte le informazioni di tipo pratico, legale, psicologico che s’innescano in questo processo. L’avere ed il vagliare queste informazioni ci condurrà alla decisione migliore.

•  Cerchiamo di bloccare inquietudini ed ossessioni che ci assalgono di fronte ad una decisione, e bombardiamoci di pensiero positivo. Leggiamo di tutto di più al riguardo. Man, mano il pensiero positivo che ci apparrà estraneo, diventerà nostro patrimonio.

•  Non lasciamo che gli altri decidano per noi. Assumiamoci la responsabilità delle nostre scelte. Se delegare ci de-responsabilizza abbassa allo stesso tempo la nostra autostima e non ci permette di crescere

•  Se anche dovessimo prendere una decisione sbagliata, sarà almeno una nostra decisione, e ne trarremo lezione per il futuro. Ricordatevi che si impara di più da una sconfitta che da una vittoria.

IO MI APPROVO E MI ACCETTO

Per le prossime 4 settimane ripetete a voi stessi, in qualsiasi momento libero della giornata “IO MI APPROVO E MI ACCETTO”.

  • Ripetete questa affermazione, il più possibile senza timore di esagerare, senza aver il timore di sembrare stupidi o di considerare stupida l’affermazione. Se anche avrete questa sensazione all’inizio, col tempo e colla “ripetizione” sentirete l’affermazione come vostra, vi apparterrà naturalmente.
  • Il ripetere l’affermazione farà riemergere tutte le affermazioni al “negativo” che vivono dentro di voi.
  • Man mano che riemergono le affermazioni negative del tipo: “Sei uno stupido”, “Non piaci fisicamente alle persone”, “Meglio che rimani da solo” , affrontatele, mettetele in discussione. Ditevi: “Non è vero” seguito dalla vostra affermazione.
  • Se le vostre affermazioni “negative” sono più forti, lasciatele fluire all’inizio. Col tempo e coll’esercizio perderanno sempre più vigore.
  • Affermate la vostra approvazione ed accettazione, indipendentemente dal giudizio altrui.
  • Liberarci dal giudizio degli altri permette di esprimere la propria individualità. La nostra individualità e la migliore risorsa che abbiamo per affrontare le difficoltà della vita.
  • Non accettate incondizionatamente i consigli altrui. Potrebbero procurarvi, involontariamente, effetti negativi sulla vostra personalità, sviluppare un senso di dipendenza dagli altri. E’ una forma mascherata del non accettarsi. A chi è prodigo di consigli nei vostri confronti ripetetegli la massima di Galilei: “Non puoi insegnare nulla ad un uomo, puoi solo aiutarlo a scoprire ciò che ha dentro di sé”.
  • Non cercate di somigliare a nessun’altro, rispettatevi ed amatevi nella vostra individualità.
  • Ricordate che se non ci approviamo ed accettiamo noi per primi, difficilmente potranno farlo anche gli altri. Noi trasmettiamo, incosapevolmente, alle persone che ci circondano la stessa idea che abbiamo su di noi. Se ci approviamo ed accettiamo anche gli altri percepiranno ciò di noi.

LA GIUSTA STRADA

Capitolo primo Cammino lungo una strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. Ci casco dentro. Sono perduto, non posso farci nulla, non è colpa mia. Ci metto una vita per uscirne.

Capitolo secondo Cammino lungo la stessa strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. Faccio finta che non ci sia. Ci casco dentro. Non posso credere di essere ancora nello stesso posto. Ma non è colpa mia. Mi ci vuole un sacco di tempo per uscirne.

Capitolo terzo Cammino lungo la stessa strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. La vedo benissimo. Ci casco dentro di nuovo; è un’abitudine. Ma i miei occhi sono aperti: so dove sono. E’ colpa mia. Ne esco immediatamente.

Capitolo quarto Cammino lungo la stessa strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. Ci cammino intorno.

Capitolo quinto Me ne vado per un’altra strada.

(AUTOBIOGRAFIA IN CINQUE CORTI CAPITOLI Portia Nelson )

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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TERAPIA RAZIONALE EMOTIVA (RET)

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Albert Ellis è stato lo psichiatra americano che ideò la terapia razionale emotiva nel 1955.

La RET attribuisce un importanza preminente al fatto che esseri umani tendono a pensare in maniera irrazionale, ad avere convinzioni irrazionali, a usare male i principi della logica e del ragionamento, a formarsi una visione del mondo poco realistica.

In tal modo si procurano emozioni e stati d’animo spiacevoli, e mettono in atto comportamenti disadattanti, autolesivi o palesemente assurdi.

Secondo Ellis se noi elaboriamo pensieri irrazionali, questi influenzeranno non solo le nostre emozioni che distorceranno la realtà facendola percepire in maniera non obiettiva, ma saranno conseguenza di comportamenti negativi, non oggettivi, conducendo il soggetto a vere e proprie forme di psicopatologie.

Il suo approccio mette in relazione tre elementi:

  • Il comportamento;
  • Le emozioni;
  • Le cognizioni.

Tale metodo indica una strada per modificare le emozioni.

Secondo Ellis, infatti, una emozione negativa può essere correlata a tutta una serie di pensieri negativi.

Attraverso il processo di analisi introdotto dallo studioso, si evidenziano quei pensieri che risultano parte di una dimensione irrazionale, quindi del tutto inconsistente e non obiettivi rispetto alla realtà.

Un processo di razionalizzazione può restituire una giusta dimensione alla realtà, andando a modificare una infondata emozione negativa.

In sostanza ciascuno di noi nell’affrontare degli eventi negativi, mette in atto una serie di strategie, dove la più razionale ci permette di aderire meglio alla realtà e trovare una soluzione .

Il metodo di Ellis consiste proprio nella “ rielaborazione ” della rappresentazione dei significati della realtà: portare i pensieri in una dimensione razionale che permetta di cambiare non solo le emozioni ma anche le azioni.

Il processo della RET intende strutturare un dialogo con noi stessi, consistendo in una vera e propria autoterapia.

RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA

  • Le convinzioni irrazionali sono di solito apprese durante l’infanzia, poi consolidate dalla cultura dominante della società e perpetuate da un sistema autoreferenziale con cui è organizzata la rappresentazione di sé e della conoscenza.
  • Imparando a riconoscere, capire e confutare tali convinzioni noi ritroviamo noi stessi e le emozioni giuste per affrontare la vita.
  • Di fronte ad ogni convinzione bisognerebbe chiedersi: quali prove la sostengono.

Alcuni pensieri “automatici” vengono generati da un concetto, ovvero da una convinzione legata ad un sistema di modello su cui si è strutturata la nostra personalità.

Il modello di Ellis insegna a capire e confutare le convinzioni errate, portando il soggetto ad una giusta valutazione di se stesso e quindi alle giuste emozioni per affrontare la vita.

PRINCIPI TEORICI FONDAMENTALI

  1. Il modo in cui ci sentiamo emotivamente dipende da come pensiamo.
  2. Quando proviamo sofferenza emotiva tanto da bloccare le nostre azioni è perché prevalgono pensieri disfunzionali;
  3. I pensieri disfunzionali che conducono alla sofferenza emotiva possono essere identificati e razionalizzati;
  4. Sebbene il disagio degli esseri umani ha numerose determinanti, il loro mantenimento dipende da ciò che l’individuo continua a pensare;
  5. Il modo più efficace per ridurre la sofferenza emotiva consiste nel cambiare il proprio modo di pensare.

IDEE IRRAZIONALI

  • Io devo avere sempre l’approvazione e l’amore di tutte le persone che considero importanti o significative.
  • Io devo dimostrarmi sempre competente e adeguato in tutto quello che faccio.
  • Mi considero debole ed inadeguato, quindi ho bisogno di dipendere dagli altri.
  • Io non devo sentire ansia, depressione, colpa, vergogna, rabbia, e se invece mi succede, allora sono una persona debole e da condannare.
  • Se gli altri mi trattano male devo essere severamente puniti . devo fare in modo tale che mi prima o poi la scontino.
  • La mia infelicità dipende dagli altri e io devo continuare a restare ansioso e depresso se gli altri non cambiano.
  • I miei genitori avrebbero dovuto trattarmi diversamente da bambino ed ora i miei guai dipendono dal mio passato.
  • Le cose devono andare come voglio io perché ho assoluto bisogno di avere quello che desidero e se non lo ottengo allora la mia vita è orribile.
  • Se mi capita qualche cosa di spiacevole o dannoso, io non posso fare assolutamente nulla per migliorare la situazione, quindi devo soffrirne per sempre e allora la mia vita non è più degna di essere vissuta.
  • Io devo trovare soluzioni perfette ai miei problemi e a quelli degli altri, altrimenti succederanno catastrofi e orrori.

Successivamente Ellis si rese conto che era possibile considerare tutte le convinzioni irrazionali come derivate da, tre DOVERIZZAZIONI DI BASE:

Doverizzazioni su se stessi : ( “io devo agire bene ed essere approvato da tutte le persone per me significative, altrimenti sono completamente un incapace e ciò è terribile”).

Doverizzazioni sugli altri : (“gli altri devono trattarmi bene ed agire come io penso che debbano assolutamente agire, altrimenti meritano di pagarla “).

Doverizzazioni sulle condizioni di vita: ( “le cose che mi succedono devono essere proprio come io pretendo che siano, altrimenti la vita è insopportabile”).

Nello specifico Ellis afferma:

1.  “Devo, assolutamente, avere successo nella maggior parte delle mie azioni e relazioni: altrimenti come persona sono del tutto inadeguato e inutile!”. Risultato: sensazioni di grave ansietà, depressione, disperazione, inutilità. Atti de fuga, rinuncia, abbandono, dipendenza.

2.  “Il resto della gente deve, assolutamente, trattarmi con considerazione, giustizia, rispetto e amabilità; altrimenti, non sono così buoni come dicono e non meritano di raggiungere la felicità durante la vita”. Risultato: sentimenti di ira, rabbia, risentimento. Atti di lotta, inimicizia, violenza, guerre, genocidi.

3.  “Le condizioni in cui vivo devono essere assolutamente confortevoli, piacevoli e di pregio: altrimenti sarà orribile, non lo sopporterò e tutto questo maledetto mondo sarà uno schifo!” Risultato: sentimenti di autocommiserazione, ira e bassa tolleranza alla frustrazione. Atti di abbandono, lamentela continua e dipendenze .

Da queste principali convinzioni irrazionali possono scaturire altre categorie di pensieri irrazionali. Esse sono:

Pensiero catastrofico :consiste nell’esagerare l’aspetto terribile di certi eventi. Esempio: “E’orribile essere criticati”.

Intolleranza : si tratta di pensieri che denotano una bassa tolleranza alla frustrazione. Consistono nel ritenere che certi eventi obiettivamente spiacevoli non possono essere sopportati, ad esempio:

“ Non posso tollerare di essere preso in giro”. “Non posso tollerare di fare quello che non mi piace”.

Svalutazione globale di sé o degli altri . Consiste nel ritenere che poiché non si è riusciti bene in qualcosa, allora si è un fallimento totale. Oppure la svalutazione globale può essere rivolta agli altri, ritenendo che poiché uno o più aspetti del comportamento di una persona sono negativi, allora l’intera persona è negativa. Esempi di entrambi i tipi di svalutazione globale potrebbero essere: “Siccome ho agito in modo insensato sono stupido ed incompetente”.

Indispensabilità, bisogni assoluti : è un modo di pensare che ci porta erroneamente a considerare indispensabile ciò che è desiderabile, auspicabile, utile, ma di cui possiamo fare a meno, pur con qualche inconveniente. Con questa forma di pensiero trasformiamo certi eventi, certe persone o certi oggetti in un sine qua non per la nostra felicità. È come se dicessimo “posso essere felice solo se avrò questo”, ma così facendo ci costruiamo la nostra stessa infelicità.

IL MODELLO ABC

Il modello A-B-C, riguarda essenzialmente il livello cognitivo della terapia razionale emotiva.

Nella terminologia A sta per Activating event (evento attivante), vale a dire azioni o attività che si possono identificare fornendo delle risposte alle seguenti domande:

Dove mi trovavo?

Con chi mi trovavo?

Che cosa stavo facendo?

Cosa è accaduto?

B sta per Belief System (sistema di convinzioni) vale a dire pensieri, idee che formano la base cognitiva dell’individuo. Si possono individuare fornendo delle risposte alle seguenti domande:

Cosa stai pensando di te?

Che cosa mi fa capire di me stesso?

Che cosa significa riguardo a me, alla mia vita e al mio futuro?

Che cosa temo possa accadere?

Se è vero qual è la cosa peggiore che potrebbe accadermi?

Che cosa gli altri possono pensare di me?

Quali immagini o ricordi mi fa venire in mente questa situazione?

C sta per Consequences (conseguenze) di natura emotiva e comportamentale. Si possono individuare rispondendo alle seguenti affermazioni:

Descrivi il tuo stato d’animo ( nervosismo, panico, paura, tristezza, rabbia, ansia).

Valuta da 0 a 100 il tuo stato d’animo

Descrivi il tuo comportamento.

Il modo in cui si possono capire e confutare i pensieri irrazionali presenti in B che originano stati emotivi esagerati e di conseguenza comportamenti disfunzionali è dando risposta alle seguenti domande:

Questo pensiero corrisponde alla realtà dei fatti? Ho vissuto un’esperienza che dimostri che questo pensiero non è sempre completamente vero?

Serve a farmi sentire come vorrei essere?

Serve a farmi raggiungere i miei scopi presenti e futuri?

Mi aiuta a difendermi da qualcosa?

Gli obiettivi dell’A-B-C sono:

  • Trasformazione della convinzione irrazionale in razionale.
  • Positivizzazione del pensiero.
  • Interiorizzazione autoistruzionale e autoconvincimento attraverso il dialogo interno.
  • Definizione di obiettivi realistici.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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SHIATSU E YOGA

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YOGA e SHIATSU

CORSI DI PERFEZIONAMENTO PER LA PRATICA E L’INSEGNAMENTO

Il corso tenuto dagli insegnanti federali presso la scuola Siddharta, si prefigge di facilitare l’apprendimento dello yoga ma anche di creare una mentalità aderente alla filosofia tradizionale dello yoga indiano integrato però nella civiltà d’occidente.

Il programma sviluppa attraverso l’apprendimento delle tecniche complesse della respirazione, degli stati di alterazione mentale controllati e delle posizioni secondo un tipo di pedagogia dinamica esperienziali che consta di lezioni frontali teoriche e pratiche.

PARTE PEDAGOGICA OCCIDENTALE

PRATICA FISICA

FASE STATICO ATTIVA

Consiste nell’assumere una ben precisa posizione e mantenerla rilassando il muscolo interessato per un certo tempo 20-30 sec minimo, mantenendo il controllo del respiro e di un certo stato mentale. Questo tipo di allungamento prevede due fasi:

•  fase di pre-allungamento, in cui si assume la postura lentamente, inspirando prima del movimento ed espirando durante il movimento per assumere la postura voluta. Raggiunta la posizione, va mantenuta senza raggiungere l’allungamento massimo del muscolo interessato

•  fase di sviluppo, in cui, in seguito alla prima fase, si porta il muscolo interessato al massimo allungamento, senza oltrepassare la soglia del dolore, inspirando prima del movimento ed espirando durante il movimento e assunta la posizione di massimo allungamento la si mantiene per un tempo stabilito dal livello di allenamento raggiunto.

FASE ISOMETRICA

E’ un tipo di allungamento molto usato nella danza, nelle arti marziali e nella ginnastica artistica per ottenere la massima scioltezza muscolare. Questo metodo fu elaborato in principio dal neurofisiologo Herman Kabat alla fine degli anni ’40 come rieducazione neuromuscolare e poi adottato successivamente come tecnica di allenamento. Esistono veri metodi di stretching isometrico: il PNF (Proprioceptive Neuromuscolar facilitation, ovvero facilitazione propriocettiva neuromuscolare), il CRAC ( contract Relax Antagonist Contract, cioè “contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti”), il CRS ( “ Contract Relax Stretch) cioè “contrazione, rilassamento e stretching)

EFFETTI DELLO STIRAMENTO

In generale lo stretching riduce la tensione muscolare, migliora la coordinazione e la propriocezione ( cioè la presa di coscienza del proprio corpo), previene traumi muscolari e tendinei e favorisce l’escursione articolare.

Tuttavia l’allenamento a mantenere un allungamento per lunghi periodi genera una assuefazione del fuso del muscolo, riducendo il segnale che genera il riflesso dell’allungamento. Riducendo la soglia del riflesso miotatico vi è la potenziale possibilità di favorire certi tipi di traumi, specialmente se si effettua lo stretching prima di una gara.

STRETCHING ISOMETRICO

Secondo uno studio dell’esercito statunitense gli sportivi molto flessibili e quelli scarsamente flessibili hanno una probabilità più che doppia di incorrere in infortuni rispetto a chi ha una flessibilità nella media. Dunque è ragionevole suggerire una moderazione nelle attività di allungamento ed un controllo del programma di allenamento da parte di personale qualificato.

PSICOLOGIA DEL MOVIMENTO E TRAINIG MENTALE

IPNOSI E STATI ALTERATI DI COSCIENZA

PARTE PEDAGOGICA ORIENTALE

MEDITAZIONE

ANATOMIA ENERGETICA

FISIOLOGIA ENERGETICA

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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PSICOTERAPIA FAMILIARE

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La psicoterapia familiare si è affermata nella seconda metà degli anni Cinquanta, prima negli Stati Uniti (specialmente nel famoso Mental Health Research Institute di Palo Alto, in California) e poi rapidamente anche in Europa.

Essa parte dall’assunto che ogni individuo nasce, cresce e costruisce la propria storia in famiglia: con i genitori, i fratelli e gli altri parenti significativi. La storia che si è costruito la porterà sempre con sé e i legami vissuti all’interno della famiglia costituiranno un modello per tutte le relazioni successive. Anche nel momento in cui, una volta adulti, una persona dà vita ad una nuova famiglia, questa diventa il risultato di un incontro non solo di due individui – i due partner -, ma anche di due storie familiari; ognuno dei due ha nella propria mente il “modello familiare” che ha appreso nella sua famiglia di origine, nel bene e nel male: negli aspetti che egli ritiene positivi e buoni – quindi da imitare e riproporre al partner – e negli aspetti che giudica negativi e non buoni – quindi da non imitare e da non ripetere. La famiglia d’origine è come una borsa che ci portiamo con noi nella vita: essa è piena di tante cose, molte di queste saranno preziose, altre buone e utili, qualche altra costituirà un pesante fardello del quale non sarà facile riuscire a fare a meno.

I comportamenti attuali di una persona sono come “metafore relazionali”, cioè come segnali indiretti di bisogni e coinvolgimenti emotivi che hanno radici nel passato, ma che trovano lo spazio e il tempo di manifestarsi concretamente nelle relazioni presenti. La costruzione di nuovi legami affettivi e la loro evoluzione sono legate alla possibilità di separarsi da questi vincoli del passato. Queste brevi riflessioni ci fanno dire che per comprendere la situazione attuale che una persona sta vivendo abbiamo bisogno di incontrare e conoscere la sua storia familiare. Così come per affrontare una situazione problematica che rischia di bloccarne la crescita, abbiamo bisogno di attingere alle risorse della famiglia. La famiglia, quindi, se da una parte è il luogo in cui certe problematiche nascono e si strutturano, dall’altra è anche il luogo in cui ricercare le risorse per la cura, cioè per affrontare quei problemi che impediscono una crescita sufficientemente sana di qualcuno dei suoi membri. La famiglia, dunque, come è presente nel processo di formazione dei problemi così riteniamo che debba esserlo nel processo di cura. Terapia Familiare, o psicoterapia familiare, non significa psicoterapia della famiglia, ma psicoterapia con la famiglia: la famiglia cioè è un soggetto attivo nel processo di cura. L’obiettivo della terapia è quello di costruire una storia tra il terapeuta e la famiglia che renda possibile attivare un nuovo apprendimento: come muoversi verso la ricerca di significati diversi negli eventi e nei comportamenti reciproci, sperimentando nuove modalità di rapporto. Attraverso il processo terapeutico i membri della famiglia apprendono una “metodologia di lavoro” che permetta loro di conciliare l’essere di ciascuno, in tutta la sua originalità, con l’appartenere alla medesima storia evolutiva. La famiglia viene sollecitata a riattivare le proprie potenzialità perché possa in prima persona diventare artefice del cambiamento. Nella relazione terapeutica il terapeuta è come il regista che aiuta la famiglia a riscrivere il copione della propria storia e i singoli membri a dar vita a dei racconti personali. Una volta appreso, la famiglia potrà continuare questo lavoro con le proprie energie anche fuori dalla relazione con il terapeuta. La famiglia è risorsa educativa e terapeutica. Concretamente la terapia si svolge con incontri periodici (uno/due incontri mensili) della famiglia con un terapeuta (o con una coppia di terapeuti), nei quali possono essere coinvolti, di volta in volta, tutti o soltanto alcuni dei componenti.
La psicoterapia familiare è una tecnica di trattamento psicologico dei disturbi e dei problemi della famiglia: secondo questo approccio teorico e metodologico infatti, non si possono studiare dati e persone senza considerare la dinamica interattiva e il contesto in cui hanno vita gli scambi relazionali.

Una famiglia si compone di diverse unità, che si relazionano all’intero ‘sistema famiglia’, stimolandolo, ed essendone stimolati. Ogni unità, pur condividendo con i familiari una vita di relazione, conduce anche esperienze esterne alla famiglia (scuola, lavoro, tempo libero etc.), ma i comportamenti individuali sono comunque regolati dall’organizzazione-famiglia, che può essere più o meno aperta alle informazioni e alle energie provenienti dal mondo esterno.

Questa prospettiva considera limitate sia le teorie psicoanalitiche (la personalità si delinea in base al superamento dei traumi infantili) che quelle comportamentiste (la personalità si forgia sulla base dei condizionamenti prodotti dall’ambiente) perché esse, pur se molto diverse fra loro, hanno in comune il fatto che considerano ogni evento come consequenziale all’altro, in modo lineare (es. il fenomeno A causa il fenomeno B).

La scuola sistemica prevede invece, per uno stesso effetto, tante cause in relazione fra loro, secondo un sistema di causalità circolare per cui la causa e l’effetto non hanno più una linearità ma l’effetto si ritorce sulla causa e da effetto diventa causa es.(il fenomeno A e il fenomeno B costituiscono un insieme organizzato, all’interno del quale sia l’uno sia l’altro sono, di volta in volta e reciprocamente, causa di qualche effetto).

Da un punto di vista clinico questa impostazione influenza il terapeuta in una sorta di ‘pregiudizio relazionale’, nel senso che la ricerca del problema si indirizza subito verso una eventuale relazione disfunzionale fra i membri della famiglia del paziente.

Per questo la terapia consiste nella convocazione della famiglia al completo, con l’obiettivo di mettere in luce tutti i conflitti più evidenti fra i membri, per correggere gli atteggiamenti anomali di ciascun componente, migliorando la formula di convivenza e liberando così il ‘malato’ (cioè il familiare che è stato in qualche modo designato ad esprimere i disagi vissuti da tutto il gruppo-famiglia) dalle tensioni legate alla sua condizione di ‘paziente designato’.

Altro obiettivo è quello di migliorare la comunicazione all’interno del gruppo-famiglia, cioè le modalità con le quali soggetti si scambiano messaggi verbali e non verbali, influenzandosi reciprocamente, al fine di rendere stabili i cambiamenti ottenuti.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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LA PSICOTERAPIA

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Per illustrare che cos’è la psicoterapia ci riferiamo a  Socrate che lo illustra nel dialogo di Platone, Alcibiade primo, in questi termini:


«SOCRATE. […] ci siamo trovati d’accordo che dobbiamo prenderci cura della psiche, e rivolgere ad essa la nostra attenzione. ALCIBIADE. È chiaro. SOCR. E che va lasciata agli altri la sollecitudine per il corpo ed il denaro. ALC. Certo. SOCR. In qual modo potremmo conoscere il più chiaramente possibile la nostra psiche? Giacché, con questa conoscenza, potremo evidentemente conoscere noi stessi. Per gli dèi! Comprendiamo bene quel giusto consiglio dell’iscrizione delfica {conosci te stesso] ricordata ora? ALC. Con quale intenzione lo dici, o Socrate? SOCR. Ti dirò cosa sospetto che questa iscrizione ci voglia realmente consigliare. Perché si dà il caso che ad intenderla non vi siano molti esempi di confronto, tranne quello solo della vista. ALC. Cosa vuoi dire con questo? SOCR. Rifletti anche tu. Se l’iscrizione consigliasse l’occhio, come consiglia l’uomo, dicendo: “guarda te stesso”, in che modo e cosa penseremmo che voglia consigliare? Non forse a guardare verso qualcosa guardando la quale l’occhio fosse in grado di vedere se stesso? ALC. Certo. SOCR. Ecco: indaghiamo quale oggetto c’è che a guardarlo possiamo vedere lui e noi stessi. ALC. È chiaro, Socrate, gli specchi e oggetti simili. SOCR. Esatto. Non c’è forse anche nell’occhio, con il quale vediamo, qualcosa dello stesso genere? ALC. Certo. SOCR. Hai osservato poi che a guardare qualcuno negli occhi si scorge il volto nell’occhio di chi sta di faccia, come in uno specchio, che noi chiamiamo pupilla, perché è quasi un’immagine di colui che la guarda. ALC. È vero. SOCR. Dunque se un occhio guarda un altro occhio e fissa la parte migliore dell’occhio con la quale anche vede, vedrà se stesso. ALC. Evidentemente. SOCR. Ma se l’occhio guarda un’altra parte del corpo umano o degli oggetti, ad eccezione di quella che ha simile natura, non vedrà se stesso. ALC. È vero. SOCR. Se allora un occhio vuol vedere se stesso, bisogna che fissi un occhio, e quella parte di questo in cui si trova la sua virtù visiva; e non è questa la vista? ALC. Sì. SOCR. Ora, caro Alcibiade, anche la psiche, se vuole conoscere se stessa, dovrà fissare una psiche […]» (Platone, Alcibiade primo, XXVII 132c – XXVIII 133b).


Il concetto di cos’è la psicoterapia è in questo passaggio: “SOCR. Ora, caro Alcibiade, anche la psiche, se vuole conoscere se stessa, dovrà fissare una psiche […]”

La psicoterapia è la cura dei disturbi psichici mediante appropriati procedimenti di rappresentazione ed azione, generalmente utilizzando lo strumento verbale ed in situazioni di relazione interpersonale. Suo scopo è quello di indurre, attraberso l’uso esclusivo o prevalente di mezzi psicologici, cambiamenti in meglio nei “vissuti” e nei comportamenti del paziente sofferente dei vari disturbi psichici con eziologia e patogenesi d’ordine psicologico.

Circa la finalità del “provocare un miglioramento” si possono avere due diversi livelli. Si può cercare di ottenere una modifica di particolari settori del comportamento, in modo tale da eliminare il singolo sintomo e conseguentemente il senso di disagio associato. O si può andare più in “profonndità” e proporsi come scopo una rsitrutturazione globale della persona, la quale, modificata internamente, si modifica anche nei suoi rapporti con l’esterno, sia nel senso di correggere illusioni o deformazioni che ha della realtà esterna, sia nel senso di adattare la realtà esterna alla propria persona.

Varie sono le forme di psicoterapia e variano in base a diversi fattori che possono essere: modalità del rapporto interpersonale, tipo di comunicazione, ruolo del terapista, oggetto della terapia, individuali o di gruppo. E adesso passeremo ad una disamina delle principali forme di psicoterapia, che possono essere sia individuali che di gruppo, in base ai vari fattori elencati, rimandando per approfondimenti alle singole pagine.

LA TERAPIA PSICANALITICA

E’ la prima forma di psicoterapia che è nata per opera di S.Freud (rimandiamo all’apposita pagina su di lui). Scopo di questa terapia come diceva lo stesso Freud “è rendere conscio l’inconscio”, ed è appunto l’indagare le motivazioni inconscie delle’esperienze e dei comportamenti attraverso l’uso delle libere associazioni verbali, dell’interpretazioni dei sogni e delle fantasie, l’analisi delle “resistenze” e dei “transfert”..

LA TERAPIA FAMILIARE (o sistemico-relazionale)

In questa forma di psicoterapia viene trattato l’intero sistema relazionale familiare del paziente perchè la causa del suo malessere è da ricercare nell’intera famiglia che è a sua volta disturbata o disfunzionale. In questo caso il paziente è portatore di un sintomo che è un “sintomo della famiglia” ed il lavoro del terapeuta è orientato a ridefinire l’intero sistema familiare e le sue realazioni. Le sedute sono prevalentemente di gruppo.

LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

Questa forma di psicoterapia si occupa solo del comportamento manifersto e ha il fine di eliminare il sintomo. Tale forma di psicoterapia si serve della conoscenza e della utilizzazione di specifici processi psichici dette “leggi dell’apprendimento” e non è esente dagli effetti del contatto profondo che si stabilisce fra paziente e terapista.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

PSICODRAMMA E SOCIODRAMMA

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Psicodramma, Sociodramma e Sociometria debbono la loro origine e la loro prima diffusione nel mondo alla persona di J.L. Moreno , psichiatra di origine romena, che svolse la sua pratica e ricerca professionale prima nella Vienna degli anni ‘20 e successivamente negli Stati Uniti d’America.

Riferimenti storici: j.l. Moreno

J.L.Moreno nacque a Bucarest nel 1889 ma trascorse l’infanzia e la prima giovinezza a Vienna dove ebbe la sua formazione culturale e professionale, studiando dapprima filosofia e laureandosi successivamente in medicina. Uomo portato a condividere il clima ed i fermenti culturali della Vienna degli anni ’20, fondò insieme a Martin Buber e ad altri intellettuali viennesi la rivista “Daimon” ed iniziò le prime esperienze di avanguardia teatrale alternandole al lavoro clinico come medico psichiatra. Nel 1925 si trasferì negli Stati Uniti a causa del clima politico ed autoritario che si andava profilando in Europa e che non facilitava lo sviluppo delle sue idee e dei suoi progetti. Lavorò dapprima con lo Psicodramma con i bambini del Plymouth Institute of Brooklyn e con gli adulti alla clinica psichiatrica dell’ospedale Monte Sinai di New York. Continuava nel frattempo il lavoro di integrazione di teatro e Psicodramma all’Improptu Group Theatre presso la Carnegie Hall (New York).

Nel 1936 aprì una clinica privata a Beacon (vicino a New York) dove realizzò il primo teatro di Psicodramma. Gradualmente Beacon divenne un centro di formazione per Direttori di Psicodramma e punto di incontro e formazione per clinici provenienti da tutto il mondo. Oltre a “Il teatro della spontaneità” (scritto negli anni di Vienna), pubblicò “Psycodrama I”, “Psychodrama II”, “Psychodrama III” (opere sistematiche sullo Psycodramma) e “Who shall survive?”, opera nella quale sistematizza le ricerche e le esperienze sociometriche, sociodrammatiche e terapeutiche svolte presso il riformatorio femminile di Hudson. Fu il fondatore della prima organizzazione internazionale di terapia di gruppo (lo I.A.G.P. = International Association of Group Psychotherapy), che attualmente riunisce terapeuti e conduttori di gruppo dei più diversi orientamenti teorici. Nel maggio 1974 moriva a Beacon.

Teatro della spontaneità e giornale vivente

I presupposti della nascita di psicodramma e sociodramma vanno ricercati nell’intersezione dei due orientamenti culturali e ideali compresenti in Moreno:

? l’interesse per la sperimentazione teatrale ad orientamento sociale;

? l’interesse per la sofferenza psichica.

Negli anni venti Moreno creò un gruppo teatrale che realizzava rappresentazioni con il pubblico, senza utilizzare copioni, sceneggiature, ma creando al momento l’azione drammatica a partire da tematiche sociali rilevanti o da temi suggeriti dal pubblico. Nasceva il teatro della spontaneità, matrice di fertili intuizioni creative sul ruolo e sul funzionamento della dinamica psichica, sulla funzione della spontaneità e della creatività, sul gruppo e su tutti quei concetti sui quali si edificherà lo psicodramma.

” Il giornale vivente ” è il prototipo del teatro della spontaneità. Gli attori con l’ausilio del pubblico rendevano concreti, percepibili e ”drammatici” alcuni fatti e situazioni di cronaca, oggetto d’interesse e dibattito per il pubblico.

Il teatro della spontaneità si orientò successivamente alla rappresentazione ed alla elaborazione, mediante il coinvolgimento del pubblico, di problemi e situazioni esistenziali emergenti “in situ” dai partecipanti. Gli attori si trasformavano progressivamente da “dramatis personae” in IO ausiliari, specchi stimolanti per i drammi reali della vita di tutti i giorni delle persone. Il pubblico da una posizione passiva si trasformava in attore partecipe, assumendo il ruolo di contenitore o di cassa di risonanza, come nel coro della tragedia greca.

E’ in questo ambito di fermento creativo che Moreno scopre la valenza terapeutica dei metodi di azione . E’ noto a tal riguardo il caso di Barbara, che consentì a Moreno di sviluppare la metodica dello psicodramma terapeutico. Barbara, giovane attrice del “Teatro della spontaneità”, si era da poco sposata con uno scrittore, George. Ella ricopriva sempre il ruolo di fanciulle gentili ed ingenue. Un giorno il marito George, in preda a disperazione, si confidò con Moreno rilevandogli che a casa la moglie si mostrava una donna intrattabile, dal linguaggio volgare, che addirittura lo picchiava quando cercava di fare l’amore con lei.

Qualche giorno dopo il giornale riporto in cronaca nera la notizia dell’assassinio di una prostituta per mano del suo protettore. Moreno ebbe un’intuizione: convincere Barbara a rappresentare la parte della prostituta. Così fece: ed ella ricoprì quel ruolo con tale forza, stimolando l’attore che faceva da protettore ad una risposta così frenetica che al culmine della scena del delitto il pubblico si alzò in piedi gridando: “basta!”.

A casa, dopo lo spettacolo, temporaneamente liberata della sua carica aggressiva, Barbara fu insolitamente tenera con George. Moreno continuò a farle rappresentare caratteri violenti, ed ella diventava sempre più trattabile quando si allontanava dal teatro. Un giorno Moreno invitò George sul palcoscenico accanto a Barbara, per duplicare gli episodi della loro vita privata. “Alcuni mesi più tardi” – egli racconta – “essi si sedevano con me in teatro, pieni di gratitudine. Avevano riscoperto se stessi e il loro rapporto”.

L’episodio di Barbara aveva concretizzato un elemento che rimane fondamentale nello psicodramma, un elemento già noto agli antichi drammaturghi greci: la “catarsi”.

Lo psicodramma

Psicodramma deriva dai termini greci “PSYCHE'” (psiche o anima) e ”DRAMA” (azione). E’ quindi quel metodo che consente di esplorare il mondo psichico attraverso l’azione. Fu negli Stati Uniti, a contatto con le problematiche della malattia mentale, che lo psicodramma si strutturò come metodo terapeutico-curativo. Inizialmente le sessioni si realizzavano con uno o pochi pazienti ed uno staff di IO ausiliari professionisti che avevano la funzione di esternare il mondo reale e fantasmatico dei pazienti.

Successivamente lo psicodramma si strutturò sempre più (fino ad assumere le caratteristiche attuali) come terapia di gruppo, ove la funzione di IO ausiliario viene assunta dai pazienti stessi, rendendo non più necessaria la presenza di IO ausiliari professionisti.

Lo psicodramma manteneva tuttavia collegamenti con ambiti extra-terapeutici, sia nelle sessioni aperte (incontri di psicodramma aperti al pubblico, ove era il pubblico stesso ad entrare in azione) sia nello psicodramma addestrativo (rivolto ad allievi e professionisti), che possedeva somiglianze con le metodologie attuali di supervisione con modalità psicodrammatiche.

Il sociodramma

Il sociodramma nasce dall’esigenza di confrontarsi con quelle contraddizioni sociali e culturali che rimandano contemporaneamente sia alla dimensione psicologica intrapsichica che a quella social-culturale.

Negli Stati Uniti, in particolare, era cruciale la problematica razziale, con le sue implicazioni di pregiudizio, paura, difesa e discriminazione sociale. Il sociodramma, come strumento di intervento sui grandi gruppi, si prestava ad elaborare costruttivamente le problematiche cruciali di una comunità (sesso, conflitto generazionale o razziale, pregiudizio verso determinate categorie quali carcerati, malati di mente, ecc.). A differenza dello psicodramma, il sociodramma non si interessa tanto al mondo interno del singolo, quanto a quelle dimensioni che appartengono e trapassano trasversalmente gli individui di una determinata categoria o realtà sociale. Detto in altre parole, il sociodramma si occupa di ruoli sociali e delle loro rappresentazioni interne e culturalizzate.

L’addestramento al ruolo

L’interesse per l’addestramento e la formazione è dato in Moreno dalla prima esperienza del Teatro della spontaneità. Si trattava in questo contesto di addestrare l’attore alla spontaneità e alla creatività, alla capacità di inventare il ruolo e di sapere fronteggiare e concretizzare in modo spontaneo le imprevedibili situazioni proposte dal pubblico.

La preoccupazione principale era il superamento delle “CRISTALLIZZAZIONI CULTURALI” (stereotipi e rigidità di ruolo) per giungere alla condizione di spontaneità, premessa alla possibilità di creatività nella realizzazione del ruolo. Questo lavoro di preparazione dell’attore richiama alcune delle tecniche tuttora utilizzate nell’addestramento e nella formazione (le simulazioni e le attività di warming-up, o riscaldamento).

Fu però soprattutto nel lavoro con la comunità femminile di Hudson che Moreno utilizzò le tecniche di azione con finalità di addestramento professionale e di elaborazione delle dinamiche di gruppo delle ragazze ospiti. Queste ragazze adolescenti provenivano da esperienze di criminalità e prostituzione e si poneva alla struttura che le ospitava il compito di reinserirle nella società, fornendo loro competenze sociali e professionali, oltre che una possibilità di riequilibrio psico-affettivo. Moreno lavorò con loro con i metodi del Role-playing, dell’anticipazione delle situazioni future e anche con interventi di psico-terapia di gruppo.

L’accento era posto sull’intreccio di acquisizione di specifiche competenze di ruolo lavorativo e di formazione di una personalità capace di interazione positiva e di spontaneità.

“Un adattamento ottimale a più ambienti richiede una personalità adattabile e spontanea. […] Il nostro metodo ha parecchi vantaggi su quello consistente nel formare gli individui ad un buon adattamento sociale mediante la diretta esperienza di situazioni di vita reale. […] Prima di tutto, la serietà delle situazioni reali impedisce all’individuo di prendere coscienza dei suoi errori : la sua ansia gli farà ripetere gli stessi errori quando si ritroverà di fronte a situazioni analoghe. […] In secondo luogo le situazioni reali creano in numerosi individui una specie di inerzia affettiva dovuta al fatto che, essendo riusciti positivamente in un certo ruolo, si comportano come se non venisse loro richiesto qualcosa di più . […] Inoltre, se le situazioni reali formano un individuo in modo che possa adattarsi perfettamente ad un certo ruolo, […] tendono ad escludere dal suo orizzonte altri orizzonti. […] Per tutto ciò l’apprendimento della spontaneità, in quanto METODO DI SVILUPPO, è superiore all’apprendimento che può venire offerto dalla vita. […] Il problema dell’apprendimento non sta più nel suscitare o nel mantenere delle abitudini, bensì nel formare la spontaneità, nello sviluppare negli uomini l’abitudine a tale spontaneità ” (Moreno, 1980: 165)

La sociometria

L’interesse per la misurazione e la rilevazione qualitativa e quantitativa delle relazioni nei piccoli e nei grandi gruppi ha sempre contraddistinto il lavoro di Moreno. Tuttavia è solo nel 1934, con la pubblicazione di “Who Shall Survive?”, che Moreno sistematizza quella che lui definisce sociometria.

La sociometria moreniana (o misurazione dei rapporti sociali) ha avuto un’ampia diffusione in ambito educativo e nella ricerca sociale. Anche in questo caso, come per numerose tecniche dello psicodramma, e avvenuto una specie di “saccheggio” di fertili intuizioni operative, riutilizzate in campo sociale, educativo e terapeutico da operatori che facevano riferimento a modelli teorici anche lontani dallo psicodramma.

La sociometria, intesa come mera tecnica di rilevazione o “diagnosi statica” (che produce grafici, sociogrammi e dati numerici), è molto distante dal significato operativo e trasformativo che Moreno aveva inteso dare. Per Moreno, infatti, la sociometria è uno strumento volto alla comprensione degli spostamenti relazionali all’interno di un gruppo, in funzione di una trasformazione evolutiva delle possibilità del gruppo stesso e delle persone. La vera sociometria moreniana è la “sociometria d’azione”, fotografia immediata e mutevole delle relazioni gruppali, con l’intento di agire subito in modo spontaneo e creativo sui nodi critici di tali relazioni.

E’ tale l’uso che Moreno fece della sociometria nella comunità di Hudson sopracitata. In questa realtà Moreno utilizzò il sociogramma come strumento per modificare e migliorare le relazioni fra le giovani ospiti di Hudson: le ragazze grazie all’indagine sociometrica avevano la possibilità di strutturare la vita quotidiana in funzione combinata dei loro bisogni affettivi e degli obiettivi futuri di reinserimento sociale.

ELEMENTI CARDINE DELLA TEORIA MORENIANA

Teoria del ruolo

Per capire a fondo il significato di “RUOLO” nella teoria moreniana occorre subito differenziare tale concetto dalle due accezioni di ruolo più diffuse:

Ruolo in senso sociologico;

Ruolo in senso teatrale.

Il ruolo sociologico fa riferimento soprattutto alle concrete realizzazioni sociali dei ruoli, rimandando a categorie culturali e sociali di rappresentazione della vita sociale. Un ruolo sociale (es.: vigile, medico) ha determinati confini prestabiliti, compiti, sanzioni e gerarchie di status ecc., che prescindono dall’individuo e dalla persona che deve assumere questo ruolo.

Il ruolo in senso teatrale si riferisce immediatamente al concetto di “MASCHERA”, finzione ed illusione. In questo caso si parla di recitare un ruolo o una parte, non di essere quella parte.

In entrambi i casi, sia che si parli di ruolo sociale “appiccicato” ad un individuo, sia che si parli di recitare un ruolo, vi è una separazione tra la soggettività e l’apparenza .

La specificità dell’apporto moreniano alla teoria del ruolo riguarda da un lato l’estensione del concetto di ruolo a tutti gli ambiti del comportamento umano, dall’altro il collegamento ad aspetti corporei, soggettivo-intrapsichici e sociali.

Moreno definisce il ruolo come:

“ La forma operativa che l’individuo assume nel momento specifico in cui reagisce ad una situazione specifica nella quale sono coinvolte altre persone od oggetti ” (Moreno, op. cit., pag. 158) .

Per capire come i ruoli siano interconnessi con l’individuo e non siano soltanto una sovrapposizione esterna, bisogna pensare alla funzione strutturante del ruolo per la personalità. E’ l’IO che emerge dai ruoli e non viceversa. L’esperienza diretta di molteplici ruoli da parte del bambino appena nato struttura una percezione corporea, emotiva e successivamente rappresentativa del suo sé e della sua collocazione nel mondo. Il lattante sperimenta gradualmente vari ruoli, di succhiatore, di dormitore, di cucciolo coccolato, accettato o rifiutato, ecc. e sarà la confluenza e l’unificazione corporeo-emotiva e rappresentativa di tali esperienze a fare emergere l’IO.

In tal senso è evidente come l’IO si sviluppa mediante e grazie ad una notevole penetrazione del sociale nell’individuale. Moreno individua quattro categorie di ruoli che si sovrappongono successivamente nello sviluppo dell’essere umano:

•  ruoli psicosomatici (corporei), sono i primi ad emergere nello sviluppo del bambino. Sono tutti quei ruoli che riguardano le funzioni corporee (mangiare, dormire, sensazioni propriocettive, ecc.);

•  ruoli fantasmatici o psicodrammatici. Iniziano a comparire prestissimo quando si abbozza la vita rappresentativa nel bambino. Sono quei ruoli che riguardano il mondo interno della persona e racchiudono la peculiarità fantastica ed emotiva di ogni essere umano (il ruolo di “bambino ubbidiente” o cattivo, di sognatore, magico, ruoli fantastici di fate e di streghe, fantasmi divoratori e immagini oniriche…);

•  ruoli sociali . Esperienzialmente compaiono alla nascita (infatti un lattante vive già il ruolo sociale di figlio anche se non ne è cosciente), però la loro strutturazione interna rappresentativa (intesa come capacità di percepire gli individui come appartenenti a categorie sociali) data all’inizio della scuola elementare. Sono quei ruoli che appartengono alla società nella quale l’individuo vive e si sviluppa. Essi vengono codificati culturalmente e socialmente (ruoli di figlio, genitore, maschio o femmina, lavorativo ecc…).

N.B.: Per chiarire ulteriormente: se parliamo DEL genitore (il suo ruolo, i suoi compiti) ci riferiamo ad un ruolo sociale; se parliamo di UN genitore specifico, per come è vissuto, concettualizzato ed interpretato da un singolo individuo, ci riferiamo ad un ruolo psicodrammatico.

•  ruoli valoriali (o trascendentali). Hanno la loro comparsa ed esplosione “emotiva” nell’adolescenza (tempo elettivo di sogni, illusioni, progetti e “filosofia di vita”). I ruoli valoriali concernano il senso e la finalità dell’operato dell’uomo: sono il contenitore che orienta la vita attraverso gerarchie di valori, utopie e progettualità esistenziali.

N.B.: I ruoli valoriali sono connessi fortemente sia ai ruoli psicodrammatici che ai ruoli sociali: infatti da un lato rappresentano la specificità esistenziale dell’individuo (i suoi valori), dall’altro sono anche il prodotto di rappresentazioni sociali (ad esempio il ruolo di educatore porta con sé una serie di valenze valoriali quali: l’aiutare gli altri e riparare ciò che non è giusto, ecc…).

I l fattore S-C (spontaneità-creatività)

I riferimenti filosofici dello psicodramma rimandano ad una concezione dell’uomo come essere capace di liberarsi dai limiti impostigli dalla sua condizione, e capace di liberare spontaneità e creatività.

Da questo punto di vista l’orientamento psicodrammatico può essere inquadrato come finalistico, espansivo, volto alla valorizzazione delle risorse dell’essere umano; l’orientamento psicoanalitico, al contrario, può essere visto come deterministico e centrato maggiormente sui limiti ed i segni lasciati nella persona dalla sua storia.

L’ipotesi teorica ed immediatamente operativa dello psicodramma postula la compresenza nell’esperienza in ogni individuo (e nei gruppi) di due dimensioni intimamente collegate: la spontaneità e la creatività. Ogni essere è dotato della possibilità di essere spontaneo e di un certo grado di creatività.

Per evitare fraintendimenti è necessario chiarire che cosa intende Moreno per spontaneità. Essa non è ciò che il linguaggio comune definisce: un comportamento privo di regole che fa uscire in modo incontrollato emozioni, pensieri o azioni indipendentemente dalle esigenze della. La spontaneità è piuttosto una condizione che può essere creata in ogni individuo, uno stato interno che può essere prodotto e che costituisce la base per l’espletarsi della creatività.

La spontaneità è pertanto un catalizzatore per la creatività e l’una senza l’altra portano conseguenze negative e non produttive. Moreno definisce due estremi a tal riguardo:

? il deficiente spontaneo , colui che in uno stato perenne di “spontaneità”, ma privo di risorse creative, fornisce in continuazione risposte inadeguate all’ambiente e dettate solo da bisogni e stati interni;

? il creatore disarmato , colui che, ricco di potenzialità creative, non riuscendo a creare in sé uno stato di spontaneità, resta paralizzato e non riesce ad esternare le potenzialità creative (al pari della parabola evangelica dei talenti, nella quale il servitore con tanti talenti non necessariamente li mette a frutto).

E’ importante sottolineare che la spontaneità può essere educata, sviluppata e ricreata mediante un processo di riscaldamento.

La metodologia psicodrammatica parte dal presupposto che la spontaneità può manifestarsi in determinate situazioni (esempio uso del corpo, umorismo, situazioni di intimità e di contatto con l’altro, ecc.) e in tutte le persone, anche quelle più limitate o malate. E’ per questo che metodologicamente la fase di riscaldamento (o warming-up) è particolarmente curata nei gruppi di psicodramma.

Da questo punto di vista quello che il formatore è chiamato a fare, in psicoterapia, in formazione e nelle situazioni di apprendimento, non è altro che una risposta creativa scaturita dopo una fase di incubazione, in un momento di adeguata spontaneità.

Un buon equilibrio del fattore S-C porta da un lato alla capacità di dare risposte adeguate ad una situazione nuova e imprevista, e dall’altro di saper dare una risposta nuova e creativa ad una situazione vecchia e cristallizzata.

Tele e incontro

Sviluppando operativamente gli apporti filosofici di MAX BUBER, Moreno individua nella possibilità di INCONTRO (inteso come capacità dell’essere umano di entrare in relazione emotiva con i suoi simili, in modo autentico e non distorto) la chiave di lettura della salute mentale e dell’equilibrio della personalità. La capacità d’incontro presuppone che siano attivi i processi di tele .

TELE significa “a distanza”, ed indica la capacità presente in ogni individuo fin dalla nascita di entrare in relazione emotiva con gli altri esseri umani. Il tele si differenzia dall’empatia, la quale e un processo ad una via (una persona è empatica verso un’altra, ma non necessariamente tale atteggiamento viene corrisposto). Potremmo definire il tele come un’empatia a doppia via, ove centrale diventa le reciprocità. A tale riguardo la poesia di Moreno INCONTRO pubblicata in apertura dell’articolo esprime in modo figurato il processo attivato dal tele.

Il tele si differenzia notevolmente dal transfert, processo chiave del trattamento psicoanalitico. Il tele precede storicamente il transfert che del tele è la manifestazione patologica. Potremmo dire che man mano che crescono le relazioni teliche diminuiscono le relazioni transferali, e viceversa un ampio spazio alle relazioni transferali riduce la possibilità di incontro autentico e profondo.

Ancora una volta notiamo come operativamente lo psicodramma punti maggiormente allo sviluppo della capacità telica, rispetto alla elaborazione delle distorsioni transferali.

II.2.4. Teatro terapeutico e catarsi

Fin dai tempi antichi il teatro ha avuto funzioni educative, sociali e terapeutiche per la comunità.

Aristotele nelle sue riflessioni sulla funzione della tragedia sostiene che la stessa “purifica” lo spettatore poiché mobilita la compassione ed il terrore. Il pubblico, partecipando alle vicende dei personaggi del dramma, identificandosi nelle loro valenze paradigmatiche e simboliche (vedi la tragedia di Edipo), ricostruisce la sua identità personale e sviluppa la sua appartenenza alla comunità.

La grande innovazione di Moreno è stata lo spostamento del focus dal pubblico all’attore. Non è più solo lo spettatore che trae beneficiò dalla partecipazione emotiva alle vicende delle DRAMATIS PERSONAE, (catarsi indiretta), ma è soprattutto l’attore in quanto protagonista che, grazie all’azione scenica, può rivivere e ricreare il suo dramma esistenziale, cercando creativamente le soluzioni e gli sviluppi più consoni ai suoi bisogni e desideri (catarsi del protagonista). A tal riguardo è utile richiamare l’aneddoto del giovane Moreno che alla domanda di Freud che gli chiedeva che cosa facesse, rispose: ” cominciò da dove lei finisce Professore. Lei insegna alla gente a capire i suoi sogni, io cerco di dare alle persone il coraggio di sognare ancora ” (Moreno, 1987: 26).

Un’ultima cosa è necessario dire sul concetto di catarsi, per i frequenti fraintendimenti che questo termine produce. Lo psicodramma non è tout-court un “Teatro della catarsi”, anche se il processo di catarsi ha un suo ruolo specifico ed una sua funzione sia in terapia che in formazione.

La catarsi non è la semplice liberazione emotiva di sentimenti né lo scaricamento compensatorio di frustrazioni accumulate nell’ambiente di vita o lavorativo. Per Moreno la catarsi e un processo in due fasi strettamente connesse fra di loro:

? una fase di abreazione emotiva di un affetto o di un contenuto interno rimasto imbavagliato nella vita quotidiana;

? una fase di integrazione di questo nuovo contenuto nel sistema di riferimenti relazionali ed oggettuali della persona.

Da questo punto di vista la catarsi non coincide con l’abreazione, ma diventa un processo integrativo e ristrutturante. E’ più corretto allora parlare di integrazione catartica nello psicodramma più che di catarsi in senso stretto.

PSICODRAMMA E SOCIODRAMMA IN AZIONE

Le considerazioni fatte nei punti precedenti rendono evidente che, per la base filosofica e per il tipo di visione dell’uomo da parte della teoria moreniana, non è corretto parlare di tecniche psicodrammatiche avulse dal loro contesto, ma e più opportuno parlare di modalità psicodrammatiche . Questo non significa che le tecniche psicodrammatiche non possano essere usate al di fuori del loro contesto teorico; significa solo che le potenzialità di queste tecniche si esaltano se il contesto formativo o terapeutico fa riferimento anche ad alcuni aspetti della “filosofia” psicodrammatica.

Cercherò ora brevemente di illustrare alcuni aspetti operativi e tecnici dello psicodramma per rendere più esplicito il particolare setting formativo di cui stiamo parlando.

Azione e riscaldamento

La caratteristica centrale delle modalità psicodrammatiche è sicuramente l’attenzione a tradurre in “AZIONE” quanto rischierebbe di rimanere su un piano di “RACCONTO”, razionalizzazione o intellettualismo.

Azione nello psicodramma non significa però né agire incontrollato né fare senza pensare. Si parla piuttosto di “contesto di azione”, che significa inserire i contenuti emotivi e razionali in un contesto situazionale che renda percepibile plasticamente e comunicabile, mediante un linguaggio diretto, tali contenuti.

Per fare un esempio: è sostanzialmente diverso che un operatore “racconti” il suo rapporto professionale con un utente, oppure che in un contesto psicodrammatico entri nei panni dell’utente, e da quel punto di vista descriva come sente e valuta quell’operatore…

Nel primo caso prevale il racconto e il filtro razionale, nel secondo caso prevale l’azione intesa come confluenza di dati spaziali, situazionali, corporei, razionali ed emotivi.

Il contesto di azione è sempre attivo e solitamente precede il contesto di verbalizzazione, intellettualizzazione e sistematizzazione teorica che viene comunque tenuto presente.

Vi è quindi una spirale continua che parte dal racconto all’azione e dall’azione all’intellettualizzazione per ritornare all’azione, se si rende ancora necessaria…

Direttamente collegato al concetto di azione vi è quello di “ riscaldamento ” (o warming-up). L’azione da un lato è “riscaldamento” o preparazione all’emergenza della spontaneità e della creatività; d’altra parte è necessario in un gruppo creare gradualmente le condizioni (relazionali ed emotive) affinché l’azione possa espletarsi in tutte le sue potenzialità formative e terapeutiche.

E’ per questo che un’attività di riscaldamento precede e crea le condizioni per l’espletarsi dell’attività formativa: infatti vi è un’equazione che vede da un lato spontaneità e riscaldamento e dall’altro ansia e assenza di riscaldamento. Citando Moreno possiamo dire che:

“L’ansia è in funzione della spontaneità.

La spontaneità, secondo la nostra definizione, è la risposta adeguata alla presente situazione. Se la risposta alle circostanze è adeguata, se c’è “pienezza” di spontaneità, l’ansia decresce e scompare.

[…] Partire dall’aspetto negativo, dall’ansia sarebbe un errore dialettico .

Il problema vero sta nell’individuare il fattore dinamico che fa insorgere l’ansia.

L’ansia si manifesta quando fa difetto la spontaneità: non è l’ansia che compare per prima e che comporta a causa della propria comparsa l’attenuazione della spontaneità ”.

(J.L. Moreno, 1980: 185-186).

Direttore

La definizione più corretta del ruolo di conduttore di gruppi terapeutici o formativi con modalità psicodrammatiche è quella di “DIRETTORE”. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista, è proprio la valorizzazione delle dimensioni di “spontaneità” e “creatività” che richiede un atteggiamento direttivo da parte del conduttore.

Preoccupazione principale del direttore di psicodramma è quella di creare un contesto con alcune regole certe ed alcuni riferimenti spazio-temporali che fungano da contenitore per l’ansia che le situazioni di gruppo o non strutturate potrebbero potenzialmente indurre. Solo se l’ansia viene attenuata, in un contesto di gruppo caldo e contenitivo, è possibile portare a buon fine le potenzialità dei partecipanti e la realizzazione degli obiettivi formativi.

Questo non è un processo magico o mistificante: semplicemente il direttore deve evitare di indurre ansie aggiuntive o situazionali quando esse non sono necessarie. L’atteggiamento di fondo del direttore di psicodramma rimanda al parametro paterno, unendo in sé direttività, empatia, genuino calore umano, unito a capacità d’individuazione.

Se vogliamo usare ancora parametri di tipo familiare, potremmo dire che alle caratteristiche paterne del direttore, nello psicodramma si devono affiancare le caratteristiche “materne” e contenitive del gruppo.

Gruppo

Il gruppo nello psicodramma è concepito in due prospettive:

•  la prima come contenitore positivo dei bisogni, desideri ed ansie dei suoi membri;

•  la seconda come terreno composito di relazioni teliche (o non teliche) perennemente in movimento ed in evoluzione.

Pertanto si rende continuamente necessario operare a due livelli:

à da un lato costruire un gruppo che nell’insieme “contenga” i suoi membri;

à dall’altro operare, soprattutto con l’ausilio delle tecniche sociometriche, per rendere trasparenti e passibili di modificazione ed evoluzione positiva le relazioni fra i singoli membri del gruppo.

IO ausiliario

L’io ausiliario è una persona del gruppo che riveste in un determinato momento dell’azione psicodrammatica il ruolo di un altro significativo del mondo relazionale (e/o professionale) o del mondo interno del protagonista (= la persona che è in quel momento al centro dell’azione).

Forse un esempio può far capire che cosa è concretamente l’IO ausiliario nello psicodramma. In una situazione di supervisione, un educatore (il protagonista) rappresenta le difficoltà di rapporto con un ragazzo disabile. In questa situazione altri membri del gruppo possono diventare IO ausiliari, entrando nei panni degli altri “significativi”: il ragazzo disabile la madre, il collega, il responsabile della struttura, ma anche personaggi interni quali il padre dell’educatore stesso, la cui presenza interna determina i vissuti e i comportamenti dell’educatore nei confronti del disabile .

L’IO ausiliario può anche rappresentare parti simboliche o fantastiche: ad esempio nel caso di prima può diventare il “senso del dovere dell’educatore”, oppure il senso di “peso sulle spalle” che fisicamente la relazione con il disabile dà all’educatore. L’IO ausiliario ha pertanto la funzione di rendere percepibili e visibili (e pertanto passibili di interazione e di confronto) gli altri reali e fantasmatici che popolano l’esperienza del protagonista.

L’IO ausiliario dal punto di vista del direttore ha la funzione di prolungamento dell’intenzionalità terapeutica o formativa; d’altro canto l’IO ausiliario fa’ da protezione alla trasposizione di attributi transferali sul conduttore. Nello psicodramma infatti il transfert viene agito sugli IO ausiliari e non sul terapeuta o formatore.

II.3.5. Le tre tecniche-chiave dello psicodramma: Doppio, Specchio, Inversione di ruolo

Doppio . Per capire che cosa si intende per doppio nello psicodramma basta pensare a ciò che la madre fa con il neonato quando tenta di intuire e rispondere ai suoi bisogni. La madre è il primo IO ausiliario della storia personale e sociale del bambino: una madre riesce a rispondere ai bisogni del suo bambino se riesce a “doppiarlo”, cioè a dare voce a quanto il bambino sente, desidera, teme ecc…

Il termine doppio rimanda al duplice significato di “doppiaggio cinematografico” (= dare voce a…) e di doppio nel senso di “altro uguale a me che vive accanto a me le stesse mie esperienze” (è frequente nei bambini la creazione del doppio immaginario fantastizzato, che li affianca nelle esperienze di vita). La tecnica del doppio consente in un gruppo di far percepire la universalità del percepire e far esaltare contenuti interni inespressi.

Specchio . Anche in questo caso è utile ricorrere all’immagine della figura materna che, dopo una prima fase nella quale deve soprattutto “doppiare” il bambino, inizia a fargli da specchio, rimandandogli la sua immagine e ristrutturando con dati di realtà la percezione egocentrica del bambino.

La tecnica dello specchio consiste nel riprodurre una scena o una postura del protagonista (ad esempio un atteggiamento perplesso di un educatore di fronte ad un collega) da parte degli Io ausiliari in modo che il protagonista stesso possa vedersi dall’esterno.

Si ha una situazione di specchio e di rispecchiamento nello psicodramma sia quando un membro del gruppo ha la possibilità di vedersi dall’esterno (percependo talvolta aspetti inediti o sconosciuti di sé), sia quando il rimando di realtà degli altri membri del gruppo (“Io ti vedo così…”) favorisce un insight di realtà e di maggiore consapevolezza dell’etero-percezione.

Inversione di ruolo : è la tecnica chiave dello psicodramma. Nello sviluppo psico-affettivo del bambino la capacità di inversione di ruolo (mettersi nei panni degli altri, vedere le cose dal loro punto di vista) segna il passaggio dall’egocentrismo alla capacità di relazione sociale e d’intimità. La tecnica dell’inversione di ruolo consente di allargare la consapevolezza delle proprie relazioni psicosociali ed al tempo stesso favorisce la capacità di individuazione dell’altro: non vi è infatti completa conoscenza di sé senza una almeno parziale uscita da sé, che consente un decentramento percettivo. L’inversione di ruolo è uno strumento potentissimo di ristrutturazione delle relazioni fortemente condizionate da elementi transferali, poiché avvicina alla vera umanità dell’altro, al suo peculiare modo di vedere la vita. Parafrasando il Vangelo Moreno dice: ” Ama il prossimo tuo attraverso l’inversione di ruolo “

( Moreno, 1984: 158)

Realtà, semi-realtà e plus-realtà

E’ necessario definire questi tre termini poiché nel contesto psicodrammatico essi si alternano e si integrano in fasi successive. Gli spazi di realtà sono quelli nei quali il gruppo e il singolo si confrontano con problemi di realtà, con contenuti intellettuali o con piani di relazione reale (IO operatore X di fronte a te operatore Y). Solitamente si parte in un gruppo di formazione da un piano di realtà, che ricompare altre volte nel corso del lavoro e diventa centrale nella fase conclusiva.

La semi-realtà : è la condizione nella quale il gruppo o l’individuo si trova quando ci si sposta in un piano di gioco “come se”. In questo caso si parla di semi-realtà poiché le situazioni sono fittizie (l’IO ausiliario fa la parte del bambino disabile ma non è il bambino disabile ) ma le emozioni e i vissuti sono veri ed autentici. Quando vengono introdotte le tecniche psico- drammatiche si passa automaticamente ad un piano di semi-realtà.

Plus-realtà : è una “realtà arricchita” dal desiderio o da risorse aggiuntive (Moreno deriva questo concetto da un parallelo col plus-valore di marxiana memoria). E’ utile sia in formazione che in terapia provare a sperimentare come sarebbe o potrebbe essere la realtà se si modificassero alcune condizioni. In tal senso entrare in un piano di plus-realtà significa esplorare il mondo del possibile, del desiderato, del realistico e dell’irrealistico.

Dott.ssa Flavia Accini

Formatrice, Psicodrammatista, esperta in tecniche di conduzione di gruppo.

Per contatti 338-4942645 email: flavia.accini@aliceposta.it

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

PSICONCOLOGIA

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La psiconcologia è una branca della psicologia applicata all’oncologia.

La sofferenza psicologica che si manifesta a seguito della diagnosi e della cura di una malattia oncologica può essere definito come una “normale” reazione a suddette diagnosi e cure.

I principali sintomi che si manifestano al cospetto di una diagnosi oncologica sono:

  • ansia,
  • depressione,
  • collera,
  • sbalzi d’umore,
  • negazione,
  • isolamento,
  • pensieri di suicidio,
  • regressione,
  • confusione mentale,
  • disturbi del ciclo sonno\veglia,
  • disturbi alimentari,
  • sensi di colpa,
  • razionalizzazione,
  • alexitimia,
  • proiezione,
  • spostamento,
  • formazione reattiva

sono le più frequenti manifestazioni psico-fisiologiche che hanno un’importante funzione adattativa.

Non sempre è facile capire se le reazioni del paziente alla diagnosi sono reazioni normali, fisiologiche, oppure se si tratta di sintomi di una situazione di patologia psicologica, che richiede un supporto adeguato al paziente, sia di tipo psicologico che di tipo psichiatrico.

Il sintomo “acuto” o “fisiologico” si distingue da quello “cronico” o “patologico” sulla base della qualità, della quantità, dell’intensità, verificando da quanto tempo si manifesta e che intensità ha, e quanto influisce sulla vita della persona e sulle sue relazioni.L’importanza di una corretta diagnosi psicologica o psicopatologica permette di aiutare il paziente stesso nel processo di cura e di guarigione, ove possibile.

Di seguito un breve e sintetico elenco dei principali disagi psicopatologici più frequenti nel paziente oncologico

  • Disturbi depressivi
  • Disturbi dell’adattamento
  • Disturbo acuto da stress
  • Fobie
  • Disturbi somatoformi

I disturbi depressivi rappresentano i disturbi più frequenti in oncologia e sono anche i più difficili da diagnosticare correttamente. Infatti i segnali corporei della depressione (alterazione della memoria, astenia, alterazioni del peso corporeo, della libido) sono spesso conseguenza della patologia neoplastica e del trattamento medico, per cui l’unica possibile diagnosi è attraverso i sintomi della sfera affettiva (tono dell’umore, interesse, sensi di colpa, sensi di inutilità). Solo attraverso un’attenta valutazione dell’intensità dei sintomi permette di arrivare ad una diagnosi corretta.

I disturbi dell’adattamento si manifestano come risposta all’evento stressante malattia ed il soggetto presenta difficoltà emotive e relazionali. I sintomi più comuni sono ansia, demoralizzazione, irritabilità, aggressività e collera, labilità emotiva e disturbi del comportamento. Disturbi d’ansia che più frequentemente si manifestano nel paziente oncologico sono il Disturbo Acuto da Stress, Disturbo Post Traumatico da Stress e Fobie.

Il disturbo acuto da stress di solito si manifesta entro 4 settimane dall’evento stressante ed è caratterizzato da intense manifestazioni d’ansia, incubi notturni, ricordi angoscianti, sensazione dell’imminente ripetersi dell’evento, sintomi dissociativi (assenza di reattività emozionale, riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante, derealizzazione, depersonalizzazione, amnesia dissociativa), comportamenti di evitamento degli stimoli che portano un ricordo al trauma. Se i sintomi invece si manifestano da più di 4 settimane, allora il quadro clinico muta in Disturbo Post Traumatico da Stress. Il quadro sintomatico è caratterizzato da un accentuarsi dei sintomi precedenti, con inoltre disturbi del ciclo sonno\veglia, irritabilità e collera, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.

Le fobie sono manifestazioni d’ansia eccessiva ed ingiustificata che si manifestano, esclusivamente o prevalentemente, al verificarsi di situazioni od oggetti specifici, e che porta all’evitamento degli stessi.

I disturbi somatoformi (ipocondria, somatizzazione, dimorfismo corporeo) sono “primariamente espressioni di fondo della malattia stessa”, dato che è una patologia che colpisce il corpo ed il cui trattamento ha pesanti ripercussione sulla sfera corporea, l’eccessiva attenzione sul proprio funzionamento somatico assume livelli patologici in quei ex-pazienti che sono stati dichiarati “fuori pericolo” dopo i 5 anni di monitoraggio, o che, pur avendo subito un intervento invasivo, avevano una patologia neoplastica benigna.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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PSICOFARMACI

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Vengono definiti “psicofarmaci” i farmaci usati per curare i disturbi mentali che agiscono sul sistema nervoso.

Allo stesso modo in cui l’aspirina fa abbassare la febbre (il sintomo) senza intervenire sull’infezione (la causa) che sta alla base, gli psicofarmaci agiscono migliorando la sintomatologia senza intervenire su ciò che causa il disturbo mentale. Il fatto che gli psicofarmaci siano essenzialmente sintomatici, non significa che essi siano poco utili; al contrario, spesso migliorano notevolmente le condizioni di vita in cui si trovano le persone che soffrono di un disturbo mentale. Si comprende facilmente quanto, per esempio, sia importante per una persona ansiosa che soffre d’insonnia, riuscire a riposare la notte, sia pure facendo ricorso ad un sonnifero; oppure, per una persona che è notevolmente depressa e non ha nessuna voglia di comunicare con gli altri, riuscire a parlare con uno psicoterapeuta, sia pur facendo prima ricorso ad un antidepressivo.

L’azione sintomatica degli psicofarmaci, dovrebbe spingere le persone a non considerarli come l’unica scelta terapeutica a disposizione quando si è in presenza di un disturbo mentale; in molti casi la psicoterapia può essere veramente d’aiuto ad arrivare al cuore del problema (ciò che determina o peggiora lo stato ansioso o depressivo).

La durata del trattamento ed il tipo di risposta agli psicofarmaci (dal lieve miglioramento alla completa remissione dei sintomi), dipendono da una serie di fattori come: l’età, il sesso, il peso corporeo, la dieta, l’essere o meno fumatore, dalla presenza/assenza di patologie e di altri trattamenti farmacologici.

Esistono quattro grandi gruppi di psicofarmaci:

  • ansiolitici;
  • antidepressivi;
  • antipsicotici;
  • stabilizzanti dell’umore.

Ansiolitici

Appartengono a questo gruppo i farmaci (tranquillanti ed ipnotici) efficaci nel trattamento dei disturbi d’ansia. Questi farmaci, di solito, hanno effetto nel breve termine ma assai meno nel lungo termine; talvolta, come conseguenza del loro uso si può avere un peggioramento della sintomatologia (il cosiddetto effetto rebound) e lo svilupparsi di una certa dipendenza. Anche in considerazione di questi effetti, gli ansiolitici dovrebbero essere prescritti soltanto nei casi di ansia o insonnia grave e comunque per periodi brevi.

I farmaci più usati sono le benzodiazepine (Tavor, Xanax, Valium, Ansiolin, En, Frontal, Lexotan, Prazene, Control, Lorans, ecc.).

Antidepressivi

Appartengono a questo gruppo, i farmaci efficaci nel migliorare l’umore negativo e gli altri sintomi tipici della depressione e perciò detti antidepressivi. Esistono tre sottogruppi di antidepressivi: gli inibitori delle mono-amminossidasi (IMAO), i triciclici e gli inibitori selettivi del recupero della serotonina (ISRS). Questi farmaci sono generalmente efficaci, ma possono indurre effetti collaterali, che però tendono a scomparire nel corso del trattamento. Generalmente, il rischio di effetti collaterali si può ridurre, cominciando il trattamento con dosi basse e incrementandole gradualmente. A differenza degli ansiolitici, gli antidepressivi non creano dipendenza. Gli antidepressivi devono essere assunti con regolarità e, in alcuni casi, è necessario aspettare alcune settimane, prima di ottenere benefici. Inoltre, alcuni farmaci devono essere sospesi gradualmente, per dare modo all’organismo di adattarsi alla nuova condizione.

Gli antidepressivi più usati sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) è sono suddivisi in da molecole principali: Fluoxetina (Prozac, Fluoxerene, Fluoxetina), Fluvoxamina (Maveral, Fevarin, Dumirox), Paroxetina (Sereupin, Seroxat, Eutimil, Daparox), Sertralina (Zoloft, Tatig), Citalopram (Elopram, Seropram) ed Escitalopram (Entact, Cipralex).
Sono tutte caratterizzate da un meccanismo di azione comune, rappresentato dall’inibizione, a livello dei recettori nervosi presinaptici, del riassorbimento della serotonina . In pratica, nell’arco di qualche settimana, aumenta la disponibilità della serotonina, uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso umano, negli spazi deputati alla trasmissione nervosa (sinapsi).

Fluoxetina (Prozac, Fluoxerene, Fluoxetina). Molecola dotata di notevole azione disinibente che trova largo impiego nei disturbi depressivi (range terapeutico 20-80 mg.), nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo (40-80 mg.), nella Bulimia (60-80 mg.) e nel Disturbo da Abbuffate (60-80 mg.).
Fluvoxamina (Fevarin, Dumirox, Maveral). Molecola che associa all’azione antidepressiva un effetto ansiolitico. Risulta quindi particolarmente utile nelle forme di depressione ansiosa (300 mg.). Inoltre la fluvoxamina può essere considerata un farmaco di notevole efficacia nella terapia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (250-300 mg.) e nelle depressioni in corso di psicosi, così come nelle manifestazioni di deficit del controllo degli impulsi.
Paroxetina (Sereupin, Seroxat, Eutimil, Daparox). Farmaco antidepressivo recentemente introdotto in commercio in Italia che trova indicazione nei Disturbi di Panico e nelle Distimie. Generalmente ben tollerato, può determinare la comparsa di nausea e di tremori a fini scosse agli arti superiori. Il range terapeutico e’ compreso tra 20 e 30 mg.
Sertralina (Zoloft, Tatig). La Sertralina risulta essere estremamente utile, all’incirca nel 70% dei soggetti con Disturbo da Abbuffate e nei pazienti obesi, nel potenziare la sensazione di sazietà e, conseguentemente, nel determinare una notevole riduzione dell’assunzione di cibo, con conseguente perdita di peso. Generalmente ben tollerata, presenta come principale effetto collaterale la nausea, che tende ad attenuarsi dopo i primi giorni di terapia.
Citalopram (Elopram, Seropram). Il Citalopram è la molecola più recente e, a detta di numerosi studi, la più selettiva e, di conseguenza, quella che presenta meno effetti collaterali. Viene largamente impiegato, data la sua elevata tollerabilità, nelle sindromi depressive lievi e nel disturbo di panico a dosaggi compresi fra i 20 e i 40mg.
Escitalopram (Entact, Cipralex). L’Escitalopram è l’evoluzione del Citalopram e, di conseguenza, ancora più selettivo e con meno effetti collaterali, almeno in teoria, secondo quanto dichiarano i produttori. Ha gli stessi impieghi del Citalopram.

Antipsicotici

I farmaci antipsicotici, chiamati anche neurolettici o tranquillanti maggiori, sono usati per il trattamento della schizofrenia, delle fasi maniacali del disturbo bipolare, e di quei disturbi in cui sono presenti sintomi psicotici.Gli antipsicotici sono capaci di migliorare sensibilmente la sintomatologia (allucinazioni e deliri) tipica della schizofrenia, ma provocano anche effetti collaterali, che di regola sono reversibili, cioè terminano con la sospensione del trattamento. Un’eccezione alla regola è rappresentata dalla discinesia tardiva (cioè movimenti involontari dei muscoli della lingua e della bocca), un effetto collaterale che si presenta in seguito a trattamento prolungato con farmaci antipsicotici. Questi farmaci non creano dipendenza. L’uso di alcuni antipsicotici comporta controlli periodici.

Stabilizzanti dell’umore

Appartengono a questo gruppo i farmaci efficaci nel trattamento del disturbo bipolare.Uno dei farmaci più potenti, appartenente a questa categoria, è il litio. Pur essendo un farmaco efficace, il litio presenta un inconveniente non trascurabile: può essere tossico se raggiunge determinati livelli nell’organismo. Per questo motivo è necessario tenere sotto controllo periodicamente (di solito ogni 3-6 mesi) la sua concentrazione nel sangue.

Dott. Roberto Cavaliere

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LA PSICOANALISI

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La psicoanalisi (da psico-, psiche, anima, più comunemente “mente”, e -analisi : analisi della mente) è nata ad opera di Sigmund Freud ed è una teorizzazione sulla psicologia umana su cui si fondano una prassi e una disciplina psicoterapeutiche.

Innanzitutto la psicoanalisi è una “teoria dell’inconscio” perché nell’indagine dell’attività mentale umana essa si rivolge soprattutto a quei fenomeni psichici che risiedono al di fuori della coscienza.

In secondo luogo la psicoanalisi è una prassi terapeutica. Essa quindi nasce come tecnica di cura; nello specifico come cura dei disturbi mentali e, all’origine, come cura dell’isteria e successivamente dei fenomeni psicopatologici chiamati nevrosi.

La psicoanalisi, dunque, nasce per curare determinati disturbi mentali indagando le dinamiche inconsce dell’individuo. Fino alla fine dell’800 tali disturbi venivano trattati da psichiatri e neurologi tramite ospedalizzazioni a scopo rieducativo o con l’utilizzo dell’ipnosi. Freud (neurologo e fruitore dell’ipnosi) ipotizzò che alla base dei disturbi mentali fosse riscontrabile un conflitto tra richieste psichiche contrarie. Egli formulò tre ipotesi, una successiva all’altra, riguardo la genesi del conflitto: 1) tra principio di piacere e principio di realtà (cioè tra la necessità di soddisfare il “piacere” interno e il necessario confronto con il mondo reale); 2) tra pulsioni sessuali e pulsioni di autoconservazione (o dell’Io); 3) tra pulsioni di vita e pulsioni di morte.
Come prassi terapeutica, quindi, la psicoanalisi pone tra gli obiettivi principali la risoluzione di tale conflitto, possibile attraverso l’indagine dell’inconscio del paziente. Principali metodi per affrontare tale indagine sarebbero l’analisi delle associazioni libere, degli atti mancati e dei sogni. Attraverso essa sarebbe possibile accedere ai “contenuti rimossi dalla coscienza” che si suppone generino il conflitto. Successivamente furono elaborati altri concetti chiave come quello di transfert, controtransfert, resistenza (e in generale meccanismo di difesa), tutti considerati fondamentali per un corretto processo terapeutico.

Con l’avanzare delle conoscenze nel campo e in campi limitrofi (psicologia, neuroscienze, psichiatria, infant research, teoria dell’attaccamento, social cognition…) la teoria classica è andata incontro a rimaneggiamenti e ampliamenti. Da essa si sono staccate diverse costole che hanno dato vita a nuove scuole di pensiero riconducibili al filone psicoanalitico. Tra queste ricordiamo la psicologia analitica di Carl Gustav Jung e la psicologia individuale di Alfred Adler, entrambi eminenti allievi di Freud. In più è doveroso ricordare le tre grandi scuole di psicologia derivate direttamente dalla teoria classica: la psicologia dell’Io (guidata in particolar modo dalle teorie di Anna Freud, figlia di Sigmund), la psicologia delle relazioni oggettuali (con a capo le teorie di Melanie Klein e Wilfred Bion, da cui poi si staccò il gruppo della cosidetta “scuola indipendente”) e la psicologia del Sé (concepita da Heinz Kouht), che si focalizzano maggiormente su altri aspetti della vita psichica intra- ed inter-soggettiva. La concezione originale di Freud, comunque, per quanto sottoposta anch’essa a revisioni e ampliamenti (si pensi alle teorie di Heinz Hartmann o Edith Jacoboson), è tutt’ora seguita e utilizzata da numerosi psicoanalisti.

Dott. Roberto Cavaliere

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