SENECA
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Attraverso le asperità alle stelle.
- Al saggio non può capitare nulla di male: non si mescolano i contrari. Come tutti i fiumi, tutte le piogge e le sorgenti curative non alterano il sapore del mare, né l’attenuano, così l’impeto delle avversità non fiacca l’animo dell’uomo forte: resta sul posto e qualsiasi cosa avvenga la piega a sé; è infatti più potente di tutto ciò che lo circonda.
- C’è una grande differenza tra il non volere e il non saper peccare. (dalle Epistole , 90)
- Che cosa misera è l’umanità se non si sa elevare oltre l’umano! (da Naturales quaestiones )
- Chi domanda timorosamente, insegna a rifiutare. (da Fedra, v. 593)
- Chi è nobile? Colui che dalla natura è stato ben disposto alla virtù.
- Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire. (da De brevitate vitae )
- Comportati con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore si comportasse con te.
- Dove ci porta la morte ? Ci porta in quella pace dove noi fummo prima di nascere. La morte è il non-essere: è ciò che ha preceduto l’esistenza. Sarà dopo di me quello che era prima di me. Se la morte è uno stato di sofferenza, doveva essere così prima che noi venissimo alla luce: ma non sentimmo, allora, alcuna sofferenza. Tutto ciò che fu prima di noi è la morte. Nessuna differenza è tra il non-nascere e il morire, giacché l’effetto è uno solo: non essere. (da La dottrina morale )
- Giammai sarai felice finché ti tormenterai perché un altro è più felice.
- Innanzi tutto è più facile respingere il male che governarlo, non accoglierlo che moderarlo, una volta accolto, perché, quando si è insediato da padrone in un animo, diventa più forte di chi dovrebbe governarlo e non si lascia troncare ne rimpicciolire. (da I dialoghi )
- La vera felicità è non aver bisogno di felicità. (da La dottrina morale )
- La vita è divisa in tre momenti: passato, presente, futuro. Di questi, il momento che stiamo vivendo è breve, quello che ancora dobbiamo vivere non è sicuro, quello che già abbiamo vissuto è certo.
- Le ricchezze sono al servizio del saggio, allo sciocco comandano. (da De vita beata )
- Ma se sei uomo , ammira chi tenta grandi imprese, anche se fallisce. (da De vita beata , XX, 2)
- Molte cose, non perché sono difficili non osiamo [farle] , ma perché non osiamo [farle] sono difficili.
- Muoriamo ogni giorno.
- Nessuno è infelice se non per colpa sua. (da La dottrina morale )
- Nessuno è obbligato a correre sulla via del successo.
- Nessuno mai condannò la sapienza alla povertà.
- Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare. (da Lettere a Lucilio , lettera 71; 1975, pp. 458-459)
“Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est.”
- Noi, assai dissennati, crediamo che essa [la morte] , sia uno scoglio, mentre è un porto, delle volte da cercare, ma mai da rifuggire, nel quale se qualcuno è spinto nei primi anni [di vita] , non deve lamentarsi più di chi ha navigato velocemente.
Scopulum esse illum putamus dementissimi: portus est, aliquando petendus, numquam recusandus, in quem si quis intra primos annos delatus est, non magis queri debet quam qui cito navigavit. (da Lettere a Lucilio, 70 )
- Non deviare dalla natura ed il formarci sulle sue leggi e sui suoi esempi, è sapienza. (citato in Claudio Malagoli, Etica dell’alimentazione: prodotti tipici e biologici, Ogm e nutraceutici, commercio equo e solidale , Aracne, 2006, p. 173)
- Non è mai esistito ingegno senza un poco di pazzia.
- Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto. (da De brevitate vitae , I, 1.3)
- Quando consideri il numero di uomini che sono davanti a te, pensa a quanti ti seguono.
- Quando insegnano, gli uomini imparano.
- Se vuoi credere a coloro che penetrano più profondamente la verità , tutta la vita è un supplizio. Gettàti in questo mare profondo e tempestoso, agitato da alterne maree, e che ora ci solleva con improvvise impennate, ora ci precipita giù con danni maggiori dei presenti vantaggi e senza sosta ci sballotta, non stiamo mai fermi in un luogo stabile, siamo sospesi e fluttuiamo e urtiamo l’uno contro l’altro, e talvolta facciamo naufragio, sempre lo temiamo; per chi naviga in questo mare così tempestoso ed esposto a tutti i fortunali, non vi è altro porto che la morte. (da Consolatio ad Polybium , 9)
- Un tale ordine non può appartenere a una materia che si agiti casualmente. Un incontro di elementi senza piano e senza disegno non avrebbe questo equilibrio, né una così saggia disposizione. L’universo non può essere senza Dio. (da La dottrina morale )
- LETTERE A LUCILIO
- Chi è temuto teme: non può starsene tranquillo chi è oggetto della paura altrui.
- Di tempo non ne abbiamo poco, ne sprechiamo tanto. L’uomo grande non permette che gli si porti via neanche un minuto del tempo che gli appartiene.
- Gran parte del progresso sta nella volontà di progredire.
- I mali che fuggi sono in te.
- Il destino guida chi lo segue di sua volontà, chi si ribella, lo trascina.
- Il lavoro caccia i vizi derivanti dall’ozio. (56, 9)
- L’inizio della salvezza è la conoscenza del peccato.
- L’uomo è un animale che ragiona.
- Nessuna conoscenza, se pur eccellente e salutare, mi darà gioia se la apprenderò per me solo. Se mi si concedesse la sapienza con questa limitazione, di tenerla chiusa in me, rinunciando a diffonderla, la rifiuterei.
- Nessuna cosa ci appartiene, soltanto il tempo è nostro.
- Non giova né si assimila il cibo vomitato subito dopo il pasto. […] Troppi libri sono dispersivi: dal momento che non puoi leggere tutti i volumi che potresti avere, basta possederne quanti puoi leggerne. […] Leggi sempre, perciò autori di valore riconosciuto e se di tanto in tanto ti viene in mente di passare ad altri, ritorna poi ai primi. Procurati ogni giorno un aiuto contro la povertà, contro la morte e, anche, contro le altre calamità; e quando avrai fatto passare tante cose, estrai un concetto da assimilare in quel giorno. (I, 2)
- Ogni piacere ha il suo momento culminante quando sta per finire. In mezzo agli stessi piaceri nascono le cause del dolore.
- Si volge ad attendere il futuro solo chi non sa vivere il presente.
- Ti prego, Lucilio carissimo, fa’ la sola cosa che può renderti felice: distruggi e calpesta questi beni splendidi solo esteriormente, che uno ti promette o che speri da un altro; aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è “il tuo”? Te stesso e la parte migliore di te. Anche il corpo, povera cosa, benché non se ne possa fare a meno, stimalo necessario più che importante; ci procura piaceri vani, di breve durata, di cui necessariamente ci pentiamo e che, se non li frena una grande moderazione, hanno un esito opposto. Questo dico: il piacere sta sul filo, e si muta in dolore se non ha misura; ma è difficile tenere una giusta misura in quello che si crede un bene: solo il desiderio, anche intenso, del vero bene è senza pericoli. Vuoi sapere che cosa sia il vero bene o da dove venga? Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del caso, dal tranquillo e costante tenore di vita di chi segue sempre lo stesso cammino. (23, 6-7)
- Un grande pilota sa navigare anche con la vela rotta.
- È povero non chi possiede poco, ma chi brama avere di più. (lettera 2; 1975)
- Ti dirò che cosa oggi mi è piaciuto in Ecatone. «Mi chiedi» egli scrive «quale è stato il mio progresso? Ho cominciato ad essere amico di me stesso.» Grande è stato il suo progresso: non rimarrà più solo. Sappi che tutti possono avere quest’amico. (lettera 6; 1975)
- Dice Ecatone: «Ti rivelerò un filtro amoroso, senza unguenti, senza erbe, senza formule magiche: se vuoi essere amato, ama». […]
Certo qualcosa di simile all’amicizia è nell’amore, che si potrebbe chiamare una folle amicizia. (lettera 9; 1975) - Dicono che Cratere, discepolo di quello Stilbone, da me menzionato nella precedente lettera, avendo visto un giovincello passeggiare in un luogo isolato, gli domandò che facesse lì solo. «Parlo con me» fu la risposta. E di rimando Cratere: «Sta’ bene attento, te ne prego; tu parli con un cattivo soggetto». […]
Chi è privo della saggezza non deve essere lasciato in balia di se stesso… (lettera 10; 1975) - Chi segua la sua strada ha sempre una meta da raggiungere, ma chi ha smarrito la retta via, va errando all’infinito. (lettera 16; 1975)
- Chiederò in prestito a Epicuro questa massima: «Per molti le ricchezze acquistate non hanno rappresentato la fine, ma solo un mutamento delle loro miserie». (lettera 17; 1975)
- Diverrò povero? Sarò con la maggioranza degli uomini. Andrò in esilio? Penserò di essere nato là, dove mi manderanno. Sarò messo in catene? E che? Sono orse ora veramente libero? La natura mi ha già legato a questo grave peso del corpo. Morirò? Porrò cosi fine – dirai tu – alla possibilità di cadere ammalato, di esser messo in catene, di morire…
Moriamo ogni giorno: ogni giorno, infatti, ci è tolta una parte della vita; anche quando il nostro organismo cresce, la vita decresce. Abbiamo perduto l’infanzia, poi la fanciullezza, poi la gioventù. Tutto il tempo passato fino a ieri è morto per noi: questo stesso giorno che stiamo vivendo la dividiamo con la morte. Come non vuota la clessidra l’ultima goccia, ma tutte quelle che sono già cadute, così l’ultima ora in cui cessiamo di esistere non produce, da sola, la morte, ma la compie; […]
«Non viene una sola volta la morte; quella che ci rapisce è solo l’ultima morte». […]
questa morte che tanto temiamo è l’ultima, non la sola. […]
la follia umana, è così grande, che alcuni sono spinti alla morte proprio dal timore della morte. […]
«Fino a quando sempre le stesse cose? Svegliarsi e andare a dormire, mangiare ed aver fame, aver freddo e soffrire il caldo? Nessuna cosa finisce, ma tutte sono collegate in uno stesso giro: si fuggono e si inseguono. Il giorno è cacciato dalla notte, la notte dal giorno; l’estate ha fine con l’autunno, questo è incalzato dall’inverno, che a sua volta è chiuso dalla primavera: così tutto passa per tornare. Non faccio né vedo mai niente di nuovo. Ad un certo punto, di tutto questo si prova la nausea». Per molti la vita non è una cosa penosa, ma inutile. (lettera 24; 1975) - Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire. La morte è il termine certo a cui siamo diretti e temerla è da insensato, poiché si aspetta ciò che è certo e solo l’incerto può essere oggetto di timore. La morte è una necessità invincibile e uguale per tutti: chi può lamentarsi di trovarsi in una condizione a cui nessuno può sottrarsi? […]
Ma temo che una lettera così lunga ti diventi più odiosa che la morte. Perciò concluderò: pensa sempre alla morte, se non vuoi mai temerla. (lettera 30; 1975) - Perciò non devi attribuire a Epicuro quei pensieri che t’ho inviato: sono di dominio pubblico, e soprattutto della nostra scuola. […]
Dovunque volgi lo sguardo, ti si presentano massime che potrebbero considerarsi notevoli se non si leggessero insieme con altre dello stesso valore. Perciò abbandona la speranza di poter gustare superficialmente l’ingegno dei sommi uomini; tu devi studiarlo e considerarlo nella sua unità. Ogni suo aspetto ne richiama sempre un altro, ciascuna parte, connettendosi con l’altra, dà completezza all’opera dell’ingegno umano. Niente può essere tolto senza rompere l’unità del pensiero. Non dico che non si possano considerare le singole membra, purché non si prescinda dall’intero organismo. […]
Ma per un uomo di matura esperienza è disdicevole cercare fiorellini, sostenersi con poche massime ben note e affidarsi alla memoria. È ormai tempo che uno poggi su se stesso, che esprima questi pensieri con parole sue e non a memoria. Ed è specialmente disdicevole per un vecchio o per uno che si affaccia alla vecchiaia una cultura basata su raccolte di esempi scolastici. «Questo l’ha detto Zenone». E tu che dici? «Questo l’ha detto Cleante.» E tu? Fino a quando ti muoverai sotto la guida di un altro? Prendi tu il comando ed esprimi anche qualcosa di tuo, che altri mandino a memoria. […]
Hanno esercitato la memoria sul pensiero altrui, ma altro è ricordare, altro è sapere. Ricordare è custodire ciò che è stato affidato alla memoria, mentre sapere significa far proprie le nozioni apprese e non star sempre attaccato al modello, con lo sguardo sempre rivolto al maestro. «Questo l’ha detto Zenone, questo Cleante.» Ci sia qualche differenza fra te e il tuo libro. Fino a quando penserai ad imparare? È tempo anche di insegnare. Che ragione c’è che io senta dire da te quello che posso leggere in un libro? […]
La verità è accessibile a tutti, non è dominio riservato di nessuno, e il campo che essa lascia ai posteri è ancora vasto. (lettera 33; 1975) - Perciò gli uomini si immergono nelle passioni e, una volta che ne hanno fatto un’abitudine, non possono più farne a meno; e sono veramente infelici, poiché giungono a sentire come necessarie le cose prima superflue. Non godono dei piaceri, ma ne rimangono schiavi e, quella che è la peggiore disgrazia, amano anche il proprio male. Si raggiunge il colmo dell’infelicità quando le cose turpi non solo sono gradite, ma procurano un intimo compiacimento; e non c’è rimedio quando quelli che erano sentiti come vizi diventano abitudine quotidiana. (lettera 39; 1975)
- Non si soffre, in effetti, per la mancanza di questi beni, ma per il pensiero della loro mancanza. Chi ha il possesso di sé non ha perso niente: ma quanti hanno la fortuna di possedere se stessi? (lettera 42; 1975)
- Se voglio trastullarmi con qualche buffone, non devo cercarlo lontano: rido di me. (lettera 50; 1975)
- Se mi arrenderò al piacere, dovrò arrendermi anche al dolore, alla fatica, alla povertà; anche l’ambizione e l’ira vorranno le mie energie, anzi sarò straziato fra tante passioni. Aspiro alla libertà; questo è il premio a cui sono rivolte tutte le mie fatiche. Mi chiedi che cosa sia la libertà? È indipendenza da ogni cosa, da qualunque circostanza esterna, da qualunque necessità. (lettera 51; 1975)
- Devi sapere che Ulisse non affrontò tante peripezie nella navigazione perché era perseguitato da Nettuno: egli soffriva di mal di mare. Proprio come lui, dovunque dovrò andare per mare, vi giungerò dopo vent’anni. […]
Una leggera febbretta può sfuggire all’attenzione, ma, se aumenta e diventa un’autentica febbre che brucia, anche l’uomo più resistente e più avvezzo alle sofferenze è costretto a confessare l’infermità. […]
Il contrario avviene nelle infermità che colpiscono l’animo: quanto più uno sta male, tanto meno se ne accorge. Non te ne devi meravigliare, carissimo Lucilio. Infatti, chi è appena assopito, anche durante il sonno percepisce le immagini dei sogni; e talvolta, dormendo, si rende conto di dormire. Ma un sonno pesante estingue anche i sogno e sommerge l’anima in una completa incoscienza. Perché nessuno confessa i suoi vizi? Perché è ancora sotto il loro dominio. Può raccontare i propri sogno solo chi ne è guarito. Perciò, svegliamoci, per poter prendere coscienza dei nostri errori. Solo la filosofia riuscirà a destarci, e a scuoterci dal pesante sonno: consacrati tutto a lei. Tu sei degno di lei ed ella è degna di te: abbracciatevi. (lettera 53; 1975) - Niente di più lungo di quel passaggio sotterraneo, niente di più fioco di quelle fiaccole, che servono non per vedere tra le tenebre, ma per vedere le tenebre stesse. (lettera 57; 1975)
- L’infelicità non consiste nel fare una cosa per ordine altri, ma nel farla contro la propria volontà. (lettera 61; 1975)
- L’assalto del male è di breve durata; simile ad un temporale, passa, di solito, dopo un’ora. Chi, infatti, potrebbe sopportare a lungo quest’agonia? Ormai ho provato tutti i malanni e tutti i pericoli, ma nessuno per me è più penoso. E perché no? In ogni altro caso si è ammalati; in questo ci si sente morire. Perciò i medici chiamano questo male “meditazione della morte”: talvolta, infatti, tale mancanza di respiro provoca la soffocazione. Pensi che ti scriva queste cose per la gioia di essere sfuggito al pericolo? Se mi rallegrassi di questa cessazione del male, come se avessi riacquistato la perfetta salute, sarei ridicolo come chi credesse di aver vinto la causa solo perché è riuscito a rinviare il processo. (54, 1-4)
- “Sono schiavi.” No, sono uomini. “Sono schiavi”. No, vivono nella tua stessa casa. “Sono schiavi”. No, umili amici. “Sono schiavi.” No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. (5, 47)
- Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili. (CIV, 26)
Psicologo, Psicoterapeuta
Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)
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