PLATONE
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Vada come sta a cuore al dio. Alla legge si obbedisce. Difendersi si deve. (cap. 2)
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Certamente lo conoscete Cherofonte; […] un giorno che era andato a Delfi, ebbe la faccia tosta di chiedere al dio […] se ci fosse qualcuno più sapiente di me [Socrate] e la Pizia gli rispose che non c’era nessuno. (cap. 5)
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Certo sono più sapiente io di quest’uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo. (cap. 6)
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Capii ben presto che i poeti componevano le loro opere non facendo uso del cervello ma per una certa disposizione naturale, per una sorta di ispirazione, come gli indovini e i profeti. Anche costoro, infatti, dicono molte e belle cose, ma senza rendersene conto. (cap. 7)
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Chi è quell’uomo che potrebbe credere che esistono i figli degli dei e non esistono gli dei? (cap. 15)
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Hai torto, amico, se pensi che un uomo di qualche merito debba star lì a calcolare il rischio di vita e di morte, invece di pensare se ciò che fa è giusto o ingiusto e se si è comportato da uomo onesto o malvagio. (cap. 16)
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Nessuno sa cosa sia la morte e se essa non sia il maggiore di tutti i beni; e invece gli uomini ne hanno paura, come se sapessero bene che essa è il più grande dei mali. (cap. 17)
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Mai temerò e fuggirò quelle cose che io non so se siano buone, per altre che, invece, so e riconosco cattive. (cap. 17)
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Non dalla ricchezza nasce la virtù, ma che dalla virtù deriva, piuttosto, ogni ricchezza e ogni bene, per l’individuo come per gli stati. (cap. 17)
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Nessun uomo riuscirà a salvarsi qualora vorrà opporsi lealmente a voi o al popolo e impedire che nella sua patria avvengano ingiustizie e illegalità. (cap. 19)
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La pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi. (cap. 21)
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Una vita senza ricerca non è degna per l’uomo di essere vissuta. (cap. 28)
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Nessuno, dinanzi alla giustizia o al nemico deve star lì a escogitare i mezzi per sfuggire, a tutti i costi, alla morte. (cap. 29)
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Ma badate bene, cittadini, che non sia questa la cosa più difficile, ossia sfuggire alla morte, ma che molto più difficile sia sfuggire alla malvagità. Infatti, la malvagità corre molto più veloce della morte. (cap. 29)
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Se la morte è assenza totale di sensazioni, come se si dormisse un sonno senza sogni, oh, essa sarebbe un guadagno meraviglioso. (cap. 32)
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Nessun male può accadere ad un uomo giusto, sia durante la vita che dopo la morte. (cap. 33)
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SOCRATE: Oh, Critone, come mai a quest’ora? Non è ancora presto?
CRITONE: Sì, certo.
SOCRATE: Ma che ora è, esattamente?
CRITONE: È appena l’alba.
SOCRATE: Mi meraviglio come, il custode del carcere t’abbia fatto entrare.
CRITONE: Con tutte le volte che son venuto, Socrate, me lo son fatto amico e, poi, gli ho fatto anche parecchi favori.
SOCRATE: E sei venuto adesso o eri qui da tempo?
CRITONE: Già da un pezzo.
SOCRATE: E perché non mi hai svegliato, e sei rimasto lì seduto in silenzio?
CRITONE: Santo cielo, Socrate, al posto tuo neanche io vorrei rimanermene sveglio, in una simile disgrazia. Anzi, sono rimasto, per un bel pezzo, a guardarti mentre dormivi cosi tranquillo. E non t’ho voluto svegliare proprio perché tu potessi riposare il più possibile a tuo agio. D’altro canto, io t’ho sempre ammirato, in passato, per il tuo carattere e soprattutto ora, nel vedere con quanta calma e serenità tu sopporti quello che t’è capitato. -
D’altro canto, nemmeno gli ignoranti amano la sapienza, né desiderano diventare sapienti. Proprio in questo, difatti, l’ignoranza è insopportabile, nel credere da parte di chi non è né bello né eccellente, e neppure saggio, di essere adeguatamente dotato. Chi non ritiene di essere privo, dunque, non desidera ciò di cui non crede di aver bisogno. (dal Simposio )
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E come un soffio di vento o un’eco, rimbalzando da superfici levigate e solide, viene rinviata al punto di emissione, così il flusso della bellezza, arrivando nuovamente al bell’amato attraverso gli occhi, che sono la via naturale per arrivare all’anima, come vi è giunto e l’ha eccitata al volo, irrora i condotti delle ali, stimola il formarsi delle ali e colma d’amore l’anima, a sua volta, dell’amato.
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Poiché, dunque, è figlio di Poro e di Penìa, ad Amore è toccata la sorte seguente. In primo luogo è sempre povero e ben lontano dall’essere delicato e bello, come credono i più, anzi è duro e lercio e scalzo e senza tetto, abituato a coricarsi in terra e senza coperte, dormendo all’aperto sulle porte e per le strade e, avendo la natura di sua madre, è sempre di casa col bisogno. Per parte di padre, invece, è insidiatore dei belli e dei buoni, coraggioso, audace e teso, cacciatore terribile, sempre a tramare stratagemmi, avido di intelligenza e ingegnoso, dedito a filosofare per tutta la vita, terribile stregone, fattucchiere e sofista. E per natura non è né immortale né mortale, ma ora fiorisce e vive nello stesso giorno, quando gli va in porto, ora invece muore e poi rinasce nuovamente in virtù della natura del padre. E infatti l’oggetto dell’amore è ciò che è realmente bello, grazioso, perfetto e invidiabilmente beato, mentre l’amante ha un altro aspetto, quale quello che ho esposto.
Psicologo, Psicoterapeuta
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