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RIFLESSIONI SULLA PSICOFILOSOFIA

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La psiche in crisi ha, ovviamente, molte fantasie. Le molte dell’ellenismo e l’una dell’ebraismo non sono le uniche soluzioni al dilemma patologico della psiche. C’è la fuga nel futurismo e nelle sue tecnologie, la conversione all’Oriente e all’interiorità, il farsi primitivi e naturali, c’è l’ascesa spirituale e l’abbandono del mondo in una totale trascendenza. Ma queste alternative sono meno autentiche. Sono semplicistiche; trascurano la nostra storia e i diritti che le sue immagini hanno su di noi; inoltre, sollecitano a rifuggire l’avversità invece che ad approfondirla munendola di un retroterra culturale e di una struttura differenziata.

Le fanta-scienze e le fantasie della scienza, l’insegnamento da parte di indiani americani o di maestri orientali – per brillanti e saggi che essi siano – non ci aiutano a ricordare la nostra storia immaginale occidentale, le vere immagini che agiscono nelle nostre anime. Frustrando la nostra tradizione immaginale, essi ce ne allontanano ancor di più. E allora le vie alternative all’ebraismo e all’ellenismo operano come rimozioni, estendendo ulteriormente la mancanza d’anima a cui i loro messaggi avrebbero potuto porre rimedio. L’ebraismo non riesce a fronteggiare l’attuale dilemma semplicemente perchè é esso stesso ben radicato, troppo identico alla nostra visione del mondo: c’è una Bibbia nella stanza da letto di ogni giovane nomade, dove molto meglio figurerebbe l’Odissea. Nella tradizione conscia del nostro io non troviamo nessun rinnovamento, ma solo rinforzo per le aride abitudini di una mente monocentrica che cerca di tenere assieme il suo universo con sermoni colpevolizzanti. Ma l’ellenismo porta la tradizione dell’immaginazione inconscia: la complessità politeistica greca allude alle nostre complicate ed inesplorate situazioni psichiche. L’ellenismo favorisce il rinnovamento offrendo un più ampio spazio e un’altra specie di benedizione all’intera gamma di immagini, sentimenti e strani princìpi morali che sono le nostre vere nature psichiche. Essi non hanno bisogno di essere liberati dal male se non li immaginiamo già dall’inizio come maligni.

Se nella nostra disintegrazione non possiamo mettere tutti i nostri pezzi in un’unica psicologia egoica monoteistica, o non riusciamo più ad illuderci con il futurismo progressivo o il primitivismo naturale che un tempo funzionavano così bene, e se abbiamo bisogno di una complessità che sia pari alla nostra raffinatezza, allora ci rivolgiamo alla Grecia. “Nessun’altra mitologia a noi nota – evoluta o primitiva – può vantare un grado di complessità e sistematicità tanto elevata quanto quella greca”. La Grecia fornisce un modello policentrico che é il frutto del politeismo più riccamente elaborato di tutte le culture, e così può contenere il caos delle personalità secondarie e degli impulsi autonomi di una disciplina, di un’epoca, o di un individuo. Questa varietà fantastica offre alla psiche multiformi fantasie atte a riflettere le sue molte possibilità.

Dietro e dentro tutta la cultura greca – nell’arte, nel pensiero e nell’azione – c’è il suo sfondo mitico policentrico. Qesto era il mondo psichico immaginale da cui venne quella “gloria che fu la Grecia “. Questo sfondo mitico era forse meno legato al rituale e agli effettivi culti religiosi che non le mitologie di altre culture superiori. In altre parole, il mito greco serve meno specificamente come una religione e più generalmente come una psicologia, operando nell’anima in pari tempo come lo stimolo e il differenziato contenitore della straordinaria ricchezza psichica dell’antica Grecia.

Ma la “Grecia” alla quale noi ci volgiamo non è letterale; essa comprende tutti i periodi dal minoico all’ellenistico, tutte le località dall’Asia Minore alla Sicilia. Questa “Grecia” rimanda ad una regione psichica storica e geografica, ad una Grecia fantastica o mitica, ad una Grecia interiore della mente che è soltanto indirettamente connessa con la geografia e le storie effettive – talchè queste perdono allora il loro valore: “… prima del Romanticismo, la Grecia era soltanto un museo abitato da gente priva di qualsiasi interesse”. Petrarca, che nel secolo quattordicesimo si adoprò più di chiunque altro per riportare in vita la letteratura classica, non sapeva leggere il greco. Winckelmann che, nel diciottesimo, più d’ogni altro si batté per riportare in vita il classicismo e che inventò il moderno culto della Grecia, non vi mise mai piede e con ogni probabilità non ebbe mai occasione di vedere l’originale di una della grandi sculture greche. Né vi andarono Racine, Goethe, Hölderlin, Hegel, Heine, Keats e neppure lo stesso Nietzsche. Nondimeno essi tutti ricostituirono la “Grecia” nelle loro opere. Byron é l’assurda – e fatale – eccezione. Ovviamente, la lingua e la letteratura greca erano conosciute durante quei secoli. Socrate era venerato, si copiava la statuaria, l’architettura e la metrica, ma pochi si recarono nella Grecia empirica e raramente si arrivava a consultare i testi greci originali. Era l'”immagine emotivamente carica della Grecia” che dominava. E questa immagine ha mantenuto la sua carica d’emozione per mezzo di un corpo ininterrotto di miti (i ‘miti greci’ e la metafora ‘Grecia’), permanendo nella cosicenza dai tempi post-ellenici fino ad oggi.

La “Grecia” permane come un paesaggio interiore piuttosto che come un paesaggio geografico, come una metafora del regno immaginale che ospita gli archetipi sotto forma di Dei. Possiamo perciò leggere tutti i documenti e i frammenti del mito rimasti dall’antichità anche come resoconti o testimonianze dell’immaginale. L’archeologia diventa archetipologia, più che una storia letterale essa rivela le eterne realtà dell’immaginazione, e ci parla di ciò che é in atto ora nella realtà psichica.

Il ritorno alla Grecia non è né ad un tempo storico nel passato né ad un tempo immaginario, ad una utopica Età dell’Oro che fu o può ancora ritornare. La “Grecia”, al contrario, ci offre una possibilità per correggere le nostre anime e la psicologia per mezzo di luoghi e persone immaginali invece che di date e personaggi storici, ci delinea uno spazio piuttosto che un tempo. Noi usciamo completamente dal pensiero temporale e dalla storicità, e muoviamo verso una regione immaginale, un differenziato arcipelago di ubicazione, dove gli Dei sono e non quando essi furono o saranno.

(…)James Hillman, Saggio su Pan

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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