TIMIDEZZA E/O FOBIA SOCIALE

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Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere. (William Shakespeare)

 

Come l’aforisma di Shakespeare il timido sa di esserlo ma non sa quello che potrebbe essere senza la timidezza che lo blocca. Ma passiamo a parlare di quest’ultima.

La timidezza è facilmente individuabile perché le principali manifestazioni, attivate dal sistema nervoso periferico, sono: rossore in viso, battito cardiaco accelerato, sudorazione, tremore, bocca asciutta, mal di stomaco nausea ansia, variando in modo differente da individuo a individuo.
Inoltre, spesso, a livello comportamentale, la persona timida:

  • cerca di evitare il contatto visivo durante uno scambio verbale;
  • presenta una certa rigidità nella forma del comportamento sociale che si manifesta con comportamenti molto formali, che seguono l’etichetta;
  • adotta un controllo rigido delle proprie reazioni emotive;
  • ha riluttanza a dialogare, proprio perché teme di sentirsi al centro dell’attenzione;
  • ha la netta convinzione che i contenuti dei suoi discorsi siano poco interessanti.

Tutto questo lo conduce ad avere scarne relazioni sociali , poiché qualsiasi situazione esterna che lo faccia sentire al centro dell’attenzione, viene evitata
A tutto ciò il timido può adottare due stili comportamentali opposti: sottomissione o aggressività. Il timido è il più delle volte una persona che arrossisce sempre e chiede in continuazione scusa, ma può essere una persona timida anche chi è deliberatamente provocatore o fa la parte del simpaticone, amico di tutti. In questi ultimi due casi tali comportamenti servono per reagire al proprio senso di inadeguatezza e insicurezza, mascherandoli con spavalderia e spacconeria.
Nel timido si hanno anche modalità di pensiero abituali, conseguenza dei comportamenti sopraccitati. Egli ha la ferma convinzione che qualsiasi cosa faccia, gli occhi di tutti sono puntati su di lui e pronti a giudicarlo negativamente. Questa convinzione, talvolta, può diventare una vera e propria ossessione di non riuscire in prestazioni eccezionali e conseguentemente fare pessime figure e sentirsi giudicato inadeguato.
Il timido può anche trasformarsi in casa. Adottando un comportamento compensatorio della sua timidezza esterna, egli può assumere dei comportamenti autoritari, a volte prepotenti, contribuendo, così, anche in casa, ad impoverire le proprie relazioni sociali.
Molti autori attribuiscono l’ origine della timidezza ad un blocco psicologico che si stabilisce in seguito a dei condizionamenti ambientali.
Se per esempio un bambino viene continuamente rimproverato per dei comportamenti ritenuti dai suoi genitori sbagliati, tali comportamenti tenderanno ad essere repressi in seguito, anche da adulto. Nello stesso modo anche l’aver ricevuto poco amore e poche attenzioni, se non rifiuto e indifferenza, può causare, paura di non piacere agli altri e senso di inadeguatezza e insicurezza. Al contrario invece, chi ha potuto sperimentare da piccolo, protezione, sicurezza e calore affettivo, ha potuto costruire una personalità forte e stabile. Queste cause della timidezza, però, non valgono sempre. Può capitare che anche chi ha ricevuto affetto e attenzioni potrebbe diventare timido. I genitori eccessivamente protettivi che cercano di evitare la minima sofferenza ed eliminare ogni più piccolo ostacolo dalla strada del loro figlio, rischiano di applicare un modello diseducativo, che non permette al giovane di sviluppare quelle difese personali alle quali farà ricorso nel procedere della sua vita. Senza l’apporto dei suoi genitori si sentirà fragile, impotente e senza risorse.
La timidezza si presenta in particolar modo nel periodo adolescenziale, quando si verifica un totale cambiamento a livello fisico e un disorientamento della propria identità a livello psicologico. L’adolescente si sente spesso insicuro perché non si riconosce nel suo nuovo corpo che si sta formando. Questa insicurezza viene generalizzata a tutti i campi e spesso si fa fatica a trovare un proprio posto dove poter star bene. Per molti è solo una fase di passaggio, per altri può diventare un carattere permanente.

Utile si rivela mettere in ordine di “gravità” le situazioni che sono più difficili per la proprio timidezza. Si partirà dalle meno “gravi” fino alle più “gravi”. Poi si inizieranno ad affrontarle nello stesso ordine. Man mano che si sarà superata una si passerà alla successiva. Occorrerà pazienza, impegno e determinazione. Gli insuccessi all’inizio saranno probabili, ma non debbono essere di scoraggiamento, ma di stimolo ad aumentare pazienza, impegno e determinazione.

La timidezza può essere anche patologica: in questo caso diventa Fobia Sociale

Secondo il DSM-IV-TR*, i Criteri Diagnostici per la Fobia Sociale sono i seguenti:

  1. Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri. L’individuo teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante o imbarazzante.
    Nota: Nei bambini deve essere evidente la capacità di stabilire rapporti sociali appropriati all’età con persone familiari e l’ansia deve manifestarsi con i coetanei, e non solo nell’interazione con gli adulti.
  2. L’esposizione alla situazione temuta quasi invariabilmente provoca l’ansia, che può assumere le caratteristiche di un Attacco di Panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione.
    Nota: Nei bambini, l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l’irrigidimento, o con l’evitamento delle situazioni sociali con persone non familiari.
  3. La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
    Nota: Nei bambini questa caratteristica può essere assente.
  4. Le situazioni sociali o prestazionali temute sono evitate o sopportate con intensa ansia o disagio.
  5. L’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella/e situazione/i sociale/i o prestazionale/i interferiscono significativamente con le abitudini normali della persona, con il funzionamento lavorativo (scolastico) o con le attività o relazioni sociali, oppure è presente marcato disagio per il fatto di avere la fobia.
  6. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
  7. La paura o l’evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale, e non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale (per es., Disturbo di Panico Con Agorafobia o Senza Agorafobia , Disturbo d’Ansia di Separazione , Disturbo da Dismorfismo Corporeo , un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo o il Disturbo Schizoide di Personalità ).
  8. Se sono presenti una condizione medica generale o un altro disturbo mentale, la paura di cui al Criterio A non è ad essi correlabile, per es., la paura non riguarda la Balbuzie , il tremore nella malattia di Parkinson o il mostrare un comportamento alimentare abnorme nell’ Anoressia Nervosa o nella Bulimia Nervosa .

Specificare se:

Generalizzata: se le paure includono la maggior parte delle situazioni sociali (prendere in considerazione anche la diagnosi addizionale di Disturbo Evitante di Personalità ).

* American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.

Libro Consigliato: A viso aperto di Nicola Ghezzani, Franco Angeli Editore (PresentazioneCopertina)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

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